Adoro gli anniversari. Perché sono un’occasione per riflettere e provare a capire. Penso diano un senso meno effimero al nostro lavoro di giornalisti, permettendoci di organizzare dati, eventi e ricordi con più libertà, senza i lacci che impone la cronaca dell’oggi e con l’unico intento di organizzare una prospettiva valida attraverso cui legare passato, presente e futuro. Se l’anniversario poi è il decennale della Guerra d’Iraq - quella di Bush jr, iniziata il 20 marzo del 2003- c’è solo da divertirsi: perché farne un bilancio, dieci anni dopo, serve non solo a mettere i puntini sulle i di un intervento militare fra i più controversi di sempre, ma anche a capire il destino del Medio Oriente, che resta l’area più critica del nostro pianeta: la Madre di tutte le Instabilità.
Che
il dopo non sia affatto migliore del prima lo dimostrano poi, meglio
delle analisi, le tante “storie”
che i cronisti hanno trovato in giro per Baghdad. Come quella
di Kaddum
al Jabouri,
l’iracheno che sbullonò con la forza delle sue mani (e del suo
martello) la statua diSaddam
Hussein il
giorno dell’arrivo in città dei marines.
Col senno di poi, vorrebbe non averlo mai fatto, dice
alGuardian. ”Perché
niente è cambiato – e tutto sembra peggio di prima“. La
sua storia fa il paio con quella raccontata su Repubblica oggi
da Vittorio
Zucconi: la
storia del soldato americano che tirò fuori la bandiera a stelle e
strisce che venne schiaffata sul faccione diSaddam mentre Kadom ne
sbullonava la statua di bronzo. Anche lui non se la passa
bene: Stress post-traumatico. E a leggere il suo
diario non viene certo da difenderla, quella guerra, che in
pochi ormai difendono.
Ci
provano gli ex-consiglieri di Bush convocati
da Foreign
Policy in
una tavola rotonda dal titolo molto interessante, “Ends
and means”. Ma
sono costretti a incredibili slalom per giustificare un intervento
che l’opinione pubblica internazionale non ha mai capito né
accettato e che fece impennare alle stelle l’odio nei confronti
degli Stati
Uniti e
dei suoi alleati. Con conseguenze che stiamo ancora pagando.
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