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IL NON PONTE – Il ponte di Messina rappresenta, più dell’autostrada Reggio Calabria o della Tav Torino-Lione, lo specchio di un paese fatto di promesse anni novanta, in virtù del rilancio economico del Sud e di una miglior vivibilità della penisola. Promesse che però hanno un conto salato. Alla fine, o quasi, della giostra il non-ponte è già costato a noi cittadini, centinaia di milioni di euro. Oltretutto il bilancio, rigorosamente negativo, dovrà esser aggiornato di tutte quelle penali che lo Stato dovrà pagare a varie società, proprietari terrieri ed esperti per la mancata costruzione. E la politica dell’ultimo ventennio ha le sue grandi responsabilità, che siano evidenti, come nel caso di Berlusconi, o negligenti, come nel caso di Prodi e, per ultimo, di Monti. Ma facciamo un punto della situazione.
DAL 1971 AL 2013 – E’ il lontano 1981 e nasce la società Stretto di Messina, a capitale pubblico, ma già nel 1971, dieci anni prima, il Ponte viene dichiarato “opera di preminente interesse nazionale”. Molti anni dopo, nel 2003, Il Cipe approva il progetto preliminare, che stima il costo di realizzazione in 4,7 miliardi e l’investimento totale in 6,1 per effetto dell’inflazione e degli oneri finanziari durante il lavoro. Nel 2006, poi, la società edile Impregilo vince la gara come capofila del raggruppamento di società edili costituite ad hoc nella Eurolink, per 3,9 miliardi. Contemporaneamente le elezioni politiche sono cinte dal centrosinistra guidato da Romano Prodi, che, come nuovo premier, dichiara “non più prioritaria” l’opera. Ma, nonostante ciò, non cancella il progetto.
Con le nuove elezioni del 2008 vinte, di nuovo, da Berlusconi la giostra riparte: l’opera è di nuovo strategica. Nel 2009 viene assegnato alla “Stretto spa” un contributo di 1,3 miliardi e si aggiornano i contratti con l’impresa a 6,3 miliardi (già 200 milioni in più rispetto alle stime effettuate). A questo punto, vi è una netta accelerata sui lavori e il 20 dicembre 2010 Eurolink consegna il progetto definitivo. Inizia l’iter finale per ricevere le attestazioni di validità da società indipendenti e Comitato scientifico. L’approvazione definitiva del progetto avviene nel luglio del 2011. Ma l’investimento complessivo, nel frattempo, è salito a 8,5 miliardi per nuovi lavori ferroviari e per il centro direzionale di Libeskind (lo studio dell’architetto Daniel Libeskind da cui far partire le direttive per il cantiere) a Reggio Calabria.
Nel 2011 il governo Pdl-Lega cade e sale il tecnico Monti che cancella i fondi. Ma non lo fa nei tempi nei termini contrattuali e il 4 ottobre 2012 Eurolink, la società appaltatrice, apre la procedura per inadempienza contrattuale. Arrivando ai giorni d’oggi, ecco quello che secondo indiscrezioni ancora in pochi sanno: l’ex premier Monti, nel tentativo di fermare la società Eurolink nell’apertura della procedura per inadempienza contrattuale, ha congelato il contratto in questione con la società appaltatrice fino a marzo 2013. In questo modo, fino a quella data, dovrebbe rinunciare alle pretese e firmare un nuovo accordo: anche se quest’ultima possibilità è improbabile, il progetto del ponte sullo Stretto potrebbe essere tutt’altro che archiviato. Una polpetta avvelenata per il nuovo governo.
IL CONTO DEI CONTI – Vediamo quanto ci è costata la falsa promessa. Dopo il blocco ai lavori imposto da Prodi, il governo Berlusconi, per rilanciare l’idea ponte, avrebbe pagato, secondo la (ex) legge di bilancio, intorno ai 700 milioni di euro. In più ci sono da pagare i proprietari dei terreni che sono stati vincolati per dieci anni alla costruzione del Ponte. Circa mille soggetti che chiederanno i danni per essere stati bloccati inutilmente. Inoltre, ci sono i 300 milioni investiti nel capitale della società Stretto da Anas, Rfi, Regione Siciliana e Calabria, che di fatto diventano carta straccia, senza contare la trentina di milioni spesi per il monitoraggio ambientale dell’area che non servirebbe più se l’opera non venisse costruita. E già così siamo ad oltre un miliardo di euro.
Come botta finale, la già citata Eurolink, dove al 42% conta la società Impregilo, ha portato il Governo Italiano di fronte alla Corte di giustizia europea e al Tar per violazione degli impegni contrattuali, come si è detto. E si appresta a batter cassa con una salatissima richiesta di penali per 450 milioni. Soldi che sono più di quelli che avrebbe guadagnato costruendo il ponte stesso. A nulla serviranno i disperati tentativi di trovare un partner privato disposti a integrare il 40% messo dal governo per finanziare l’inutile opera.
I cittadini pagherà, in tempo di austerità, un miliardo e mezzo di euro un’opera di cui non si è posata neanche la prima pietra. Tra F-35, sottomarini, Tav Torino-Lione e ponte di Messina, la bugia della mancanza di fondi per istruzione e welfare è sempre grande. Questo è il costo delle promesse e dell’impossibile. Attenzione alla campagna elettorale…
Fonte:http://dailystorm.it/2013/01/18/il-non-ponte-di-messina-1-miliardo-di-euro/
http://systemfailureb.altervista.org/quanto-ci-costa-il-non-ponte-di-messina/
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