http://dailystorm.it
MERITO O ME-LO-MERITO? – La nostra riflessione sul concetto di meritocrazia parte da un articolo pubblicato lo scorso 25 novembre da un blogger de Il Fatto Quotidiano: Antonio Nicita. Il post del Professore di Politica economica, verte sulla distinzione tra merito concreto e merito percepito (quello che lui definisce il “me-lo-merito”). Chi è vittima del merito percepito? Tutta quella parte della popolazione che, pur professando il dogma della meritocrazia, non intuisce che la realizzazione di tale aspettativa indurrebbe alla propria stessa esclusione dalla “società dei migliori”. Perché? Perché tutti, o quasi, ci riteniamo meritevoli di qualcosa. E in virtù di questo arrogante presupposto consideriamo che sia giusto tifare in favore di una tale utopia, convinti che ne gioveremmo in prima persona.
Il
pericolo principale, secondo il Professore, consiste
nella manipolazione che
la politica può attuare nei confronti di questa malriposta speranza:
vendere la promessa di una società meritocratica può, per un
candidato politico, garantire un certo consenso nel momento in cui
gli elettori, ammaliati da un’ars oratoria convincente e dalla
promessa di un futuro “inclusivo”, potrebbero votarlo proprio in
virtù di questa speranza. È risaputo quanto, specie in Italia,
l’elettorato voti su base emotiva e
non razionale. Per questo la campagna elettorale si traduce in una
scontro dialettico vinto a suon di promesse e di sogni: più le
promesse saranno generali (tipo, garantire una società più
meritocratica) e più sarà possibile non rispettarle una volta
eletti, proprio perché data
la loro intangibilità il cittadino poi non potrà recriminare.
.
ESSERE
LAUREATI SIGNIFICA “MERITARE UN LAVORO”? –
Passiamo ora al secondo punto, quello inerente al merito concreto. A
ben vedere, oltre al merito immaginario esisterebbe anche un merito
tangibile, riscontrabile e misurabile nella nostra società. Ma è
davvero così? Esistono
criteri empirici di valutazione del merito o questo concetto
rappresenta una mera astrazione culturale? Analizziamo
il luogo comune più esemplificativo.
«È
meritevole chi consegue un titolo di studio». L’aumento di
laureati (in
relazione ad un’offerta di lavoro in costante diminuzione) ha
depotenziato questo titolo nell’ambito lavorativo. Da quando sono
state istituite le lauree triennali in
alternativa a quelle quinquennali, il numero dei titolati si è
impennato per ovvi motivi: molti sono più spronati ad intraprendere
il percorso, in realtà anche controvoglia, pur di dare una minima
gioia ai genitori (o come passatempo, per “sembrare”
universitari), illudendosi poi di avere il lavoro in tasca una volta
ottenuta la propria laurea breve. Questo perverso ragionamento fa
comodo agli atenei: più studenti, più rette universitarie. Ma come
qualunque bene in eccesso (dove “per eccesso” si intendono tutte
quelle lauree che, dati Ocse alla mano, non porteranno a nessun
lavoro), questo titolo di studio ha perso
valore.
Il motivo? Un’idea sbagliata di “status” sociale in qualche
modo connesso al semplice possedere un pezzo di carta, da avere per
poter contare qualcosa in una società competitiva come la nostra.
Senza
considerare che nel reale mondo lavorativo, un mono-laureato con 5
anni di esperienza lavorativa alle spalle risulterà avere ben più
valore per un teorico datore di lavoro, rispetto ad un tri-laureato
con tanta
teoria in mano e zero pratica all’attivo.
Qui si apre un’altra criticità: il titolato sarà davvero più
efficiente come lavoratore? Molto spesso alcune leggi di Stato
richiedono titoli specifici più per questioni formali che di
sostanza. Un’intraprendente autodidatta potrebbe surclassare, in
quanto a lena ed ingegno, un laureato svogliato o completamente
distaccato dalla realtà lavorativa. E qui si torna alla riflessione
del primo paragrafo: molti titolati ritengono di possedere
illasciapassare per
una élite. Anche se, a conti fatti, proprio in quella leggendaria
società meritocratica avere una laurea in tasca non equivale a
“meritare un lavoro”. Perché se è vero che il lavoro (in
generale) è un diritto, è anche vero che tutti i laureati si
aspettano di trovare occupazione nel settore (specifico) di
competenza. Il che sarebbe sacrosanto qualora il singolo avesse
compiuto un percorso
qualitativamente pregevole.
Nel caso di un percorso di “sopravvivenza” (magari una triennale
presa per hobby in 5-6 anni) è bene che il titolato non si faccia
carico di alcun merito.
.
LA
SOCIOLOGIA SI OPPONE: I LATI OSCURI DELLA MERITOCRAZIA –
Comunemente, si ritiene che la parola meritocrazia possa avere solo
un’accezione positiva. Questo è paradossale se si pensa alle sue
origini storiche: il primo a parlare di questo concetto fu il
sociologo Michael Youngche
nel ’58 descrisse, in un suo saggio intitolato The
Rise of the Meritocracy,
un futuro distopico in cui i migliori (per quoziente intellettivo)
avrebbero preso il sopravvento sul resto della popolazione. L’autore
profetizzava due risvolti oscuri. Innanzitutto l’impossibilità di
sancire, davvero, l’intelligenza di una persona in quanto i criteri
di rilevazione sarebbero
stati sempre e comunque arbitrari e
non oggettivi: basti pensare ai tanto discussi test d’ingresso per
le università o ai quiz proposti per i concorsi pubblici (scremano
davvero la massa per ottenere il meglio possibile?). Infine, si
denunciava il fatto che una “minoranza creativa” si sarebbe
imposta, dall’alto della propria arroganza e compiacenza,
distaccandosi dai reali interessi del popolo eperpetuando
logiche di potere e di discriminazione contro
la massa stolta. «Every selection of one is a rejection of many»:
darwinismo sociale allo stato puro.
Un
altro sociologo britannico, Laurie Taylor,
ha ammesso la presenza di un’altra declinazione negativa per il
concetto di meritocrazia: «the hideous thing about meritocracy» sta
nel fatto che, implicitamente, essa tenda a difendere lo status quo,
ovvero l’ordine precostituito delle cose, facendo in modo che le
persone al potere sono e resteranno lì. Hai fatto di tutto nella
vita per arrivare al “top” ma hai fallito? Banchieri, politicanti
e businessman vari sono rimasti al loro posto? È colpa tua:
forse eri geneticamente troppo
stupido per arrivare in vetta.
Sarebbe poi interessante declinare il concetto di “vetta”: un
trader che specula in Borsa o un manager di una grande multinazionale
di tabacco, socialmente,
sono considerate persone giunte al top.
Anche se poi, nel concreto, non fanno altro che far girare denaro con
effetti alquanto discutibili sulla qualità della vita del resto
della popolazione, quella appunto non al top.
.
BUONI
PROPOSITI –
La meritocrazia, in sostanza, non tiene conto delle variabili
socio-culturali che impediscono, ad esempio, ad una persona povera
alla nascita di avere le stesse possibilità di una benestante. Per
questo, già di partenza, è impossibile ritenere che tutti
possiedano gli stessi strumenti.
Dunque, se non si ottengono i risultati sperati, la causa non è da
riscontrare nella mancanza di impegno personale (fattore interno,
gestibile) ma nell’ingiustizia sociale di base (fattore esterno,
incontrollabile). Senza maggiori uguaglianza ed equità, insomma, non
potrà mai esservi vero merito: oggettivo e riconosciuto socialmente
in base, appunto, ad una diversa idea di “vetta” da costruire in
termini di utilità collettiva.
La
questione è spinosa e non
è certo in questa sede che si tireranno le somme di un dibattito
sociologico-filosofico che va avanti da decenni.
Una società meritocratica può esistere? Il concetto stesso di
meritocrazia può davvero avere delle accezioni positive? O
rappresenta solo l’astrazione buonista di una società
irrealizzabile? La questione è aperta ma a giudicare dalla realtà
quotidiana non solo la meritocrazia sembra non poter essere applicata
ma risulta anche essere deleteria, per la politica (come arma di
distrazione di massa) e per la società (come speranza fittizia). Una
trappola, più che un valore, come molti lo disegnano sbagliando.
Quel che, per ora, ci è concesso, è divalutare
le fallacie argomentative riguardo
alla difesa di uno di quei concetti che viene dato
per scontato ed
elogiato anche se, in realtà, meriterebbe più di un
approfondimento. Aspetta, ho detto “meriterebbe”?
Ciao, sono Nicolò Boggian, Direttore del Forum della Meritocrazia, sono un sociologo e credo che aldilà delle sottigliezze siamo tutti d'accordo su cosa sia invece la demeritocrazia, tanto la vediamo praticata intorno a noi. Superare questo stato non è facile innanzitutto per questioni intellettuali e culturali. il lavoro è lungo, ma l'intuizione ci sembra corretta. per quanto riguarda l'istruzione, sono d'accordo che non è sempre un buon "termometro" del merito. il problema non è solo italiano, ma ne sanno qualcosa anche all'estero e coinvolge non solo gli italiani, ma anche le minoranze. soddisfatti della risposta? probabilmente no. fa lo stesso. l'importante è ragionarci su. nicolò
RispondiEliminaCiao e grazie per il commento,sono d'accordo quando dici che viviamo in un sistema "demeritocratico" ,o meglio,"peggiocratico".Per quanto riguarda la meritocrazia(o almeno ciò che si definisce con la stessa),essa è una parola,un concetto inflazionato e in molti casi "ambiguo".Sarei molto lieto di sapere la tua/vostra (in quanto "Forum della Meritocrazia") concezione della meritocrazia,grazie. Saluti.
RispondiEliminaGrazie, sul sito www.forumdellameritocrazia.it trovi tanti scritti. Puoi leggere i libri di Roger abravanel, che immagino conosci già . Concordo anche con una parte di argomenti dell'ultimo libro di Carlo barone. Sentiamoci . Nicolo
RispondiElimina