Di Gian Piero De Bellis
Una delle canzoni più celebri di Luigi Tenco, che ha accompagnato tristezze e nostalgie di molti di noi, è una composizione della metà degli anni ’60 che conteneva questi versi:
vedrai, vedrai
vedrai che cambierà
forse non sarà domani
ma un bel giorno cambierà
Il cambiamento a cui Tenco faceva riferimento riguardava la vita scialba e deludente di una persona. Due anni dopo, il 27 gennaio 1967 Luigi Tenco si uccideva nella sua camera d’albergo sparandosi un proiettile alla tempia. Così facendo era come se dichiarasse apertamente che nulla cambiava, che nulla sarebbe mai cambiato, nella sua vita e nei rapporti con gli altri, e che dunque era meglio andarsene, sbattendo la porta dell’esistenza terrena.
In Italia stanno accadendo, negli ultimi tempi, cose tragiche: imprenditori che si uccidono schiacciati dal peso delle tasse, produttori rovinati perché lo stato non ha ancora pagato loro beni e servizi fatturati, lavoratori dipendenti che vedono la metà del loro salario assorbito dallo stato in cambio di prestazioni sociali inesistenti o estremamente dubbie nel futuro.
Una persona che focalizzasse la sua attenzione esclusivamente su questi fatti avrebbe la fondata impressione che in Italia nulla cambia e nulla cambierà mai, se non in peggio. In altre parole, che il potere statale e quello delle combriccole ad esso associate diventeranno sempre più arroganti, sempre più opprimenti, sempre più maledettamente disgustanti.
Quelli che pensano così però vedono, a mio avviso, solo una parte del quadro, cioè hanno gli occhi rivolti solo ad una sezione, e per di più a quella meno importante, di un grande affresco che sta prendendo forma sotto i nostri occhi. È come se queste persone vivessero ai tempi della rivoluzione industriale e vedessero solo i fumi delle ciminiere che ammorbano l’aria o altri aspetti molto negativi, e tralasciassero tutto ciò che avrebbe portato in seguito ad una riduzione della povertà e a un miglioramento generale delle condizioni di vita.
Queste persone, per le quali nulla sta cambiando, se non in peggio, probabilmente osservano solo il mondo della politica o della finanza. E in quel mondo, esse vedono il peggio del passato che avanza e domina. Eppure, se guardassero bene, si renderebbero conto che questo mondo più che avanzare e dominare sta sprofondando e scomparendo, immobile nella sua incapacità totale ad evolvere.
Per cui, in un certo senso è vero che, in certi settori, nulla sta cambiando, ma la spiegazione è che quei settori stanno morendo; e quando uno sta morendo non cambia ma, semplicemente, scompare.
Purtroppo questa visione parziale porta molte persone a reazioni monche e, a mio avviso, del tutto inconcludenti, che rischiano di prolungare, tra convulsioni e sussulti, la vita dell’organismo più decrepito di tutti, lo stato nazionale territoriale, che è arrivato alla fase terminale della sua esistenza.
Queste reazioni sono:
la rabbia impotente che logora il fisico e la morale;
le contrapposizioni che annebbiano il cervello e non offrono nessuna prospettiva nuova.
E questo è proprio quello che il potere morente vuole perché solo così un organismo, per quanto debole, malandato e discreditato, può continuare a esercitare il suo dominio: dividendo i suoi avversari e tenendoli in scacco uno a uno.
Allora cerchiamo di mostrare brevemente su che cosa occorrerebbe focalizzare l’attenzione e le energie, in modo da trasformare la rabbia in progettualità e le contrapposizioni in collaborazioni.
Innanzitutto va detto che il potere si perpetua attraverso il controllo dell’informazione e delle conoscenze che devono per questo restare di appannaggio dei grandi sacerdoti dell’intellighenzia politica, amministrativa, scientifica.
Adesso tutto questo sta andando in frantumi. Si sta completando il processo che, attraverso i caratteri mobili di Gutenberg e la diffusione dei libri stampati, ha minato alla base il potere terreno della Chiesa e che ora, attraverso nuovi potenti strumenti di comunicazione a livello individuale-globale, sta distruggendo il potere dello Stato. Infatti agli occhi di moltissimo che sono collegati in rete e che sanno usare la rete, lo stato appare, ogni giorno di più, come un re nudo.
Negli ultimi decenni del secolo XX la rete mondiale che va sotto il nome di Internet si è via via diffusa attraverso tre supporti principali:
cavi di collegamento a livello planetario (connessioni in rete)
un protocollo standardizzato di comunicazione (IP: Internet Protocol)
una interfaccia grafica che semplifica le relazioni tra utenti (world wide web)
All’inizio le caratteristiche della rete erano le seguenti:
l’informazione era prodotta da milioni di webmasters ed esplorata da miliardi di navigatori;
la comunicazione era costituita essenzialmente da pagine web statiche (rapporti unidirezionali) e da messaggi e risposte (e-mail) di un soggetto verso un altro soggetto (rapporti bidirezionali).
Tutto ciò ha rappresentato un enorme passo in avanti verso lo sviluppo dell’autonomia degli individui che, attraverso tale tecnologia, hanno iniziato a liberarsi dal dominio degli strumenti di comunicazione di massa in cui l’informazione e la comunicazione partivano da un centro (la radio di stato, la televisione di stato) o da pochi centri (i giornali, le radio e le tv private), e veniva assorbita da larghissime masse, con un totale squilibrio nei flussi informativi.
Con il Web invece milioni e poi miliardi di persone sono diventate produttrici e consumatrici di informazione in un flusso multidimensionale e multidirezionale a livello planetario.
Ma la storia non finisce qui. Già verso la fine del secolo scorso e sempre più dall’inizio di questo secolo, il web è diventato un gigantesco organismo di collaborazione nella produzione e nel consumo di beni e di servizi. Siamo in sostanza entrati in quello che taluni chiamano il Web 2.0 che è un caratterizzato da:
open source software
users generated content
trust based relationships
Esempi di tutto ciò sono:
un programma come Drupal che offre strumenti per la gestione a più voci dell’informazione all’interno di una comunità;
il modello Wiki che supera la divisione tra produttore e consumatore di conoscenze, e i siti di social networking (tipo Facebook o MySpace) o di presentazione di video (YouTube) foto (Flickr) o di vendita (eBay, iStockphoto) in cui tutto il contenuto è generato dagli utenti;
il fenomeno dello sharing (condivisione) and caring (cura) per cui idee, oggetti, risorse, vengono messi in comune, gratuitamente o dietro un compenso pattuito, sulla base di una fiducia reciproca (regolata e rafforzata dal sistema dei giudizi resi pubblici).
Termini correnti che caratterizzano questi sviluppi delle relazioni sociali supportate e agevolate dal web sono:
Collective intelligence e crowdsourcing: l’expertise di milioni di persone è messa in comune nel senso che una folla di produttori/utilizzatori del Web partecipa alla elaborazione di informazioni, idee, soluzioni.
Collaborative consumption e crowdfunding: un insieme di risorse (appartamenti, stanze, auto, strumenti di lavoro, fondi monetari, ecc.) è messa dai proprietari a disposizione di altri, o gratuitamente, o dietro pagamento di altri beni e servizi, o di denaro, o di quote di partecipazione in futuri ricavi.
Tutto ciò, che ne siamo consapevoli o no, sta spazzando via il vecchio mondo.
Le persone che stanno operando questi cambiamenti non lo fanno avendo come obiettivi prioritari il profitto o il potere. Anzi, questi cambiamenti distruggono le concentrazioni di potere e di profitti (assai spesso basate sulla politica); al loro posto subentrano l’influenza associata alla reputazione e il guadagno assegnato al merito. Un guadagno che può essere anche consistente ma che deriva sempre dalla produzione di beni e servizi richiesti a scala planetaria.
In linea generale, come già detto altrove, coloro che progettano e attuano il nuovo sono mossi e sono contraddistinti da tre qualità:
thrill (entusiasmo) : dimensione emotiva
skill (capacità) : dimensione cognitiva
will (energia) : dimensione volitiva
Queste realtà, che taluni hanno caratterizzato con il termine coopetition (cooperative competition – la competizione cooperativa), sono lontane anni luce dalle contrapposizioni e dalla rabbia di cui siamo stati o siamo tuttora portatori o spettatori, e che sono l’altra faccia del mondo statalizzato in cui, come tanti topolini, corriamo verso il nostro sfiancamento e la nostra rovina.
Infatti, se non riusciamo a indirizzare per il meglio la nostra vita nel futuro non è la distruzione (effettiva o metaforica) di una persona che è in gioco ma il suicidio di una intera generazione. Ed è per questo che mi va di pensare che le parole della canzone di Tenco (vedrai vedrai, vedrai che cambierà …) si possano trasformare, attraverso il nostro agire attuale, in un messaggio in cui si parla di un cambiamento nel presente piuttosto che di una speranza di un cambiamento in un indefinito futuro.
In questo scritto breve si è voluto e potuto toccare solo la superficie di un fenomeno molto ricco che sta trasformando la nostra vita e il modo in cui viviamo. Chi volesse approfondire questi temi potrebbe iniziare facendo riferimento a questi testi e a questi siti web:
Jeff Howe, Crowdsourcing. How the power of the crowd is driving the future of business, 2008
Don Tapscott e Anthony D. Williams,Wikinomics: How mass collaboration changes everything, 2010
Rachel Botsman e Roo Rogers What is mine is yours: the rise of collaborative consumption, 2010
Lisa Gansky, The Mesh: why the future of business is sharing, 2012
Web 2.0 … The machine is Us/ing Us
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