Il copyright distrugge i mercati e danneggia il giornalismo
Di Bruno Saetta
http://www.valigiablu.it
Il copyright è capitalismo senza regole. Il copyright è monopolio sui contenuti imposto dal governo. Il copyright scoraggia l’innovazione. Il copyright limita la condivisione della cultura. Il copyright penalizza il giornalismo. 14 anni di tutela del copyright sono più che sufficienti. Ed infine: l’attuale legislazione sul copyright non si limita a distorcere alcuni mercati, piuttosto li distrugge.
Queste affermazioni non sono i vaneggiamenti del “pirata” di turno, oppure il libro dei sogni di un imberbe fan della free culture, ma sorprendentemente sono parte di un documento scritto da Chris Sprigman e Karl Raustiala per conto della Commissione Studi dei Repubblicani della Camera degli USA.
Una rilettura sorprendente della legislazione in materia di copyright, e in assoluta controtendenza rispetto alla solita retorica che vede la pirateria come il male del secolo, e che stigmatizza gli eccessi e le distorsioni che il rafforzamento della tutela del copyright ha prodotto negli ultimi anni.
Nel testo si legge che il copyright non ha più lo scopo di compensare il creatore per il suo sforzo creativo e quindi incentivare l’innovazione, oggi piuttosto tende alla massimizzazione dei profitti delle aziende all’interno di un regime di monopolio imposto dal governo stesso.
Il diritto d’autore in realtà dovrebbe essere a beneficio del pubblico e per la condivisione della cultura, ma le riforme in materia ne hanno snaturato il contenuto. La prima legge americana, il Copyright Act del 1790, prevedeva una protezione del diritto degli autori di stampa, ristampa, pubblicazione e vendita, per soli 14 anni dall’opera. Oggi invece la tutela si estende fino a 70 anni dopo la morte dell’autore. È evidente che, sostiene l’articolo, “the Federal Government has gotten way too big”.
Le conseguenze del rafforzamento della tutela del copyright sono evidenti. Da un lato si è cristallizzato un monopolio imposto a forza di legge a favore dei produttori del contenuti (notare che si parla di produttori di contenuti e non di autori), garantito dall’automaticità della tutela che ormai è divenuta quasi infinita, aumentata progressivamente di pari passo con l’avvicinarsi della scadenza dei diritti di Steamboat Willie, il primo film di Topolino.
Inoltre il sistema consente ai produttori di usufruire di presunzioni nella valutazione dei danni. Valga come esempio la richiesta di 75 trilioni verso Limewire, una somma superiore al reddito dell’intera industria dei contenuti dall’invenzione del fonografo nel 1877 ad oggi. Somma assolutamente non corrispondente a qualsivoglia calcolo di danni.
Non solo, l’affidamento della tutela dei meri interessi economici dell’industria del copyright al governo, quindi a carico della collettività, determina un inevitabile distorsione del mercato. Questo non è più il “laissez faire” del capitalismo!
Dall’altro lato l’eccessiva protezione del copyright disincentiva l’innovazione, la cultura e la produzione di nuovi contenuti. I perdenti sono le nuove industrie che potrebbero generare valore aggiunto. Ma noi non sappiamo nemmeno di quanto viene danneggiata l’innovazione, perché non abbiamo idea di cosa potrebbe essere prodotto e che non viene alla luce per le restrizioni imposte dal copyright. L’esempio presentato nell’articolo è l’industria del remix e dei DJ, i mash-up, che sono mercati fiorenti in alcuni paesi ma non negli Usa per colpa delle limitazioni imposte dal diritto d’autore.
Inoltre l’attuale legislazione limita la ricerca scientifica, visto che gran parte degli scritti scientifici del ventesimo secolo sono ancora protetti.
Ancora, penalizza la realizzazione di librerie pubbliche e la condivisione della cultura. Oggi una enorme massa di informazioni non sono accessibili perché chiuse in libri fisici non condivisibili online.
Ed infine, l’aspetto forse più dirompente e maggiormente inaccettabile è la limitazione al giornalismo. Ad esempio un documento di supporto all’ideologia nazista, eventualmente recuperato da un giornalista, oggi non potrebbe essere pubblicato perché molto probabilmente farebbe nascere una controversia per violazione del copyright: “a disgusting use of copyright”.
Al termine dell’articolo vi sono le proposte di riforma: dal ridimensionamento dei danni, all’espansione del fair use, cioè le eccezioni al diritto d’autore che consentono la copia e condivisione di opere protette anche in assenza del consenso dell’autore. Soprattutto si chiede la punizione delle false richieste di rimozione di contenuti per violazione del copyright, cioè quelle istanze di eliminazione (takedown) di contenuti online presentate da soggetti non legittimati oppure in casi non di violazione della legge, abusi ormai sempre più frequenti.
Ed infine l’ultima proposta è la riduzione della tutela del copyright dai 70 anni dopo la morte dell’autore a soli 12 anni dalla realizzazione dell’opera. Questo termine sarebbe, però, espandibile più volte fino ad un massimo di 46 anni (12+6+6+10), ma solo a seguito del pagamento di una tassa che aumenta esponenzialmente per ogni periodo. Il punto è scoraggiare un copyright infinito.
Considerando che la legislazione italiana in materia di diritto d’autore non è dissimile da quella americana, si tratta di un testo da consigliare assolutamente, per i contenuti chiari e dirompenti, e per l’autorevolezza della fonte – i Repubblicani della Camera Usa -, alle associazioni di rappresentanza dell’industria del copyright italiana e anche a tutti gli aficionados di simil SOPA e norme che con la scusa di proteggere gli autori e l’innovazione, propongono leggi che impongono sempre maggiori limitazioni alla condivisione di contenuti, rafforzando la tutela di un monopolio “legale”. Ed anche da consigliare alla Commissione europea che così forse potrebbe smettere di rincorrere trattati come ACTA e CETA.
Se negli Usa i Repubblicani ammettono tutto ciò, sembra quindi giunto il momento di una riforma del diritto d’autore, che però sia realizzata per creare finalmente un copyright limitato e non un monopolio infinito. Ma, purtroppo, sembra che la proposta sia stata troppo scioccante, poichè, con la scusa che il testo era stato diffuso senza revisione, lo studio è stato rimosso dal sito della Commissione Studi dopo appena 24 ore dalla pubblicazione, probabilmente per le proteste dei lobbisti. In tempo, comunque, perchè fosse scaricato, ed apprezzato, da tanti.
“Current copyright law does not merely distort some markets – rather it destroys entire markets”.
Fonte:http://www.valigiablu.it/il-copyright-distrugge-i-mercati-e-danneggia-il-giornalismo/
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