Di Marco Sarti
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«Se fossi matto vi parlerei degli elettroshock subiti negli anni addietro, dei terribili momenti dell’attesa prima dell’applicazione degli elettrodi, delle urla, dell’intenso odore di urine, della voce dell’infermiere che ti chiama per nome e del medico che questo nome nemmeno conosce». Il manifesto della campagna “no elettroshock” inizia così. Un impegno di Psichiatria democratica - la società fondata da Franco Basaglia negli anni Settanta - e numerose altre associazioni per fermare la pratica della terapia elettroconvulsivante.
Negli ospedali italiani si ricorre ancora all’elettroshock. Nel triennio 2008-2010 sono stati eseguiti poco più di 1400 trattamenti. Lo confermano i dati consegnati dal ministro della Salute Renato Balduzzi alla commissione di inchiesta sul sistema sanitario nazionale. Anche per questo la scorsa estate le parlamentari Delia Murer, Luisa Bossa e Maria Antonietta Farina Coscioni hanno presentato un’interrogazione al ministro. «Interrogazione cui ancora non abbiamo ricevuto risposta» raccontano in una conferenza stampa a Montecitorio.
Ma l’elettroshock non è una terapia, denunciano le associazioni che hanno aderito alla mobilitazione. «È un trattamento approssimativo, ascientifico, empirico, usato ideologicamente per far credere in una pronta risoluzione dei sintomi. E le sue presunte “indicazioni” trovano oggi ben più adeguati trattamenti riabilitativi, farmacologici, assistenziali, psicoterapeutici». Alla Camera le tre parlamentari, insieme al segretario di Psichiatria democratica Emilio Lupo e al presidente Luigi Attenasio, lanciano l’allarme. Nel nostro Paese pochi sanno che la pratica è ancora così diffusa. «Chiediamo di fare chiarezza sull’uso di questo metodo che a mio parere non rispetta la dignità della persona» spiega Murer. Un’interrogazione, spiega la radicale Farina Coscioni «per capire il valore, o meglio il disvalore, di questo trattamento».
La pratica dell’elettroshock, racconta lo psichiatra Antonio Morlicchio, è nata negli anni Trenta. Dall’osservazione di un macello romano. «Ci si era accorti che dopo la prima scossa elettrica i maiali si intorpidivano». «Ma oggi - continua Lupo - Pensare che il cervello sia malato, come gli scienziati dell’Ottocento, è fuori dal tempo. L’unica strada maestra è la presa in carico globale del paziente». La campagna di comunicazione che presto arriverà nelle principali città italiane è una «battaglia di civiltà» spiegano. Un impegno contro un trattamento inutile e dannoso. Nel 2008 i pazienti over 75 sottoposti alla terapia elettroconvulsivante erano 21. L’anno successivo 39. Nel 2010 sono stati 27. «Sfido chiunque - racconta Lupo - a dire che questi sono interventi che potevano aiutare persone sofferenti». Senza parlare dei gravi danni alla memoria «sempre presenti» durante i trattamenti. Tutto, nonostante «gli ultimi studi - racconta lo psichiatra Cesare Bondioli - dicono che l’elettroshock non ha alcun fondamento scientifico di efficacia»
Intanto le terapie elettroconvulsivanti continuano a essere praticate. In Italia le strutture attrezzate sono nove, come spiegano durante la conferenza stampa: l’ospedale di Montichiari, quello di Oristano, il Santissima Trinità di Cagliari. E ancora gli ospedali di Brunico, Bressanone e la clinica universitaria di Pisa. Più tre cliniche private convenzionate: la casa di cura San Valentino di Roma, Santa Chiara di Verona e Villa Baruzziana di Bologna.
L’elettroshock è una pratica violenta, eppure a volte funziona. Sostiene qualcuno. Davanti a questa frase Franco Basaglia - ricordano i rappresentanti di Psichiatria democratica - rispondeva sempre allo stesso modo. «È vero, l’elettroshock funziona. È come dare una botta a una radio rotta: una volta su dieci la radio riprende a funzionare. Nove volte su dieci si ottengono danni peggiori. Ma anche in quella singola volta che la radio si aggiusta, non sappiamo perché».
Un trattamento discusso. Che già nel 1995 - così si legge nell’interrogazione parlamentare - aveva sollevato le perplessità del Comitato nazionale per la bioetica. «La psichiatria - si legge - attualmente dispone di ben altri mezzi per alleviare la sofferenza mentale». Pochi anni dopo, nel 1999, una circolare dell’allora ministro della Sanità confermava: «Nonostante la grande quantità di ricerche condotte negli ultimi decenni, non è stato ancora chiarito in maniera precisa il meccanismo d’azione della Tec (terapia elettroconvulsivante, ndr)».
Un trattamento spesso accompagnato da altre discusse pratiche. Come la contenzione meccanica (la pratica di legare il paziente al letto o di immobilizzarlo con una camicia di forza). «Nel Lazio - spiegano alla Camera dei deputati - solo nel 2009 sono state eseguite 25.471 ore di contenzione meccanica. Con una durata media di 18 ore ogni volta».
Tredici anni fa, la già citata circolare del ministero prevedeva specifiche linee guida «circa il monitoraggio, la sorveglianza e la valutazione» delle terapie elettroconvulsivanti. Ad esempio il ricorso ad «un’apposita commissione composta da professionisti esterni alla struttura dove si effettua il trattamento». Anche per questo la deputata Pd Delia Murer chiede al ministro Balduzzi se fino a oggi - dato l’alto numero di elettroshock effettuati nel nostro Paese - siano state rispettate tutte le indicazioni contenute nel documento. Ma anche «se non sia arrivato il momento di adottare diverse modalità o addirittura di rivedere la normativa». Nel 1999, anno della direttiva del ministero della Sanità - sostengono i rappresentanti di Psichiatria democratica - le evidenze scientifiche lasciavano ancora qualche margine di dubbio sull’effettiva utilità dell’elettroshock. «Ora non più».
Fonte:http://www.linkiesta.it/elettroshock-italia
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