Stress and the city: come il degrado ambientale e sociale cambia te e i tuoi geni
Di Pietro Greco
Lo potremmo chiamare «Stress and the city». È un nuovo filone di studi che dimostra come lo stress di una città - e, più in generale, come lo stress ambientale - può avere effetti biologici, alcuni dei quali non proprio piacevoli.
Il tema lo hanno sollevato per prima le autorità sanitarie inglesi circa quindici anni fa, studiando l'incidenza della schizofrenia a Camberwell, un quartiere periferico di Londra. Nel 1965 i medici registrarono nel quartiere 11 malati di schizofrenia ogni 100.000 abitanti. Trent'anni dopo, nel 1997, l'incidenza della malattia risultava più che raddoppiata: i malati erano 23 ogni 100.000 abitanti. Poiché la demografia a Camberwell non era sostanzialmente cambiata - il quartiere era abitato dal medesimo numero di persone - né si erano verificati altri cambiamenti strutturali, i medici iniziarono a chiedersi perché. La conclusione è stata che una causa primaria nel raddoppio dell'incidenza della schizofrenia era l'accresciuto stress ambientale. Sociale e fisico. Il quartiere era più degradato e la gente più povera.
Studi più recenti, ripresi nei giorni scorsi dalla rivista scientifica Nature, hanno confermato che un ambiente degradato sia dal punto di vista umano sia dal punto di vista ecologico - in definitiva, una condizione di stress ambientale - determina effetti biologici rilevabili nel cervello e nel corpo delle persone. Lo stress, infatti, agisce a livello molecolare. Secondo le biologhe Elizabeth Blackburn and Elissa Epel, per esempio, lo stress può agire a livello cromosomico, accorciando i telomeri (la parte terminale dei cromosomi) e determinando malattie croniche. Secondo il neuroscienziato Eric Nestler lo stress ambientale agisce anche a livello epigenetico, modificando il modo in cui i geni delle cellule cerebrali si esprimono.
Ma questi non sono che esempi. Che inducono a due considerazioni. La prima è quella rilevata puntualmente da Nature nell'editoriale di apertura dell'ultimo numero della rivista: «nature» e «nurture», ovvero la biologia umana e l'ambiente interagiscono in maniera molto stretta. Le nostre condizioni, sia quelle fisiologiche sia quelle patologiche, dipendono quasi per intero da questo rapporto. In poche situazioni siamo «tutto nature», determinati solo dalla biologia, e in pochissime condizioni siamo «tutto nurture», determinati solo dall'ambiente (fisico, sociale e culturale).
L'idea che l'uomo è il risultato di un rapporto molto variegato e molto intenso tra «nature» e «nurture» non è nuova. Ma lo speciale della rivista scientifica inglese ci segnala che oggi ne abbiamo non solo una dimostrazione sociologica e/o clinica, ma anche una dimostrazione a livello molecolare. E che, dunque, possiamo capire meglio come questo rapporto funziona.
Per comprenderlo ancora più a fondo, questo rapporto, occorrerebbe un approccio di studio interdisciplinare, che vedesse lavorare insieme sociologi, medici, ecologi e biologi.
La seconda considerazione cui spinge lo speciale di Nature dedicato allo stress ambientale è che dobbiamo guardare alla sostenibilità in maniera olistica, che considera l'uomo nella sua diversità e individualità, l'ambiente sociale in cui vive e l'ambiente ecologico in cui vive. Il che significa che non possiamo separare le politiche sanitarie dalle politiche sociali dalle politiche ambientali. Neppure, anzi soprattutto in tempo di crisi. Che è tempo di stress.
Fonte:http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=18316
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