Di Astrit Dakli
Il 16 dicembre 2011, al culmine di uno sciopero
durato oltre sei mesi degli operai dell'industria petrolifera locale, la
polizia compiva una strage di operai nella cittadina di Zhanaozen, nel
Kazakhstan occidentale. Al termine di una giornata confusa
contrassegnata da manifestazioni, scontri e provocazioni di gruppi
organizzati, e conclusa con una vera e propria caccia all'uomo da parte
dei poliziotti, restavano sul terreno dodici operai uccisi e parecchie
decine feriti, secondo le fonti ufficiali; fonti sindacali e testimoni
oculari parlavano invece di un numero di vittime molto maggiore,
probabilmente prossimo al centinaio. Su quella orribile strage, ma
soprattutto sui mesi di lotte e tensioni che l'hanno preceduta, Human
Rights Watch ha messo a punto un corposo dossier, (consultabile all'indirizzo: http://hrw.org/reports/2012/09/10/striking-oil-striking-workers-0 ) dal
quale si evincono le pesanti responsabilità che in tutta la vicenda,
accanto ovviamente al governo kazako, ricadono sulle tre maggiori
aziende petrolifere operanti nella regione: una di proprietà statale
kazaka, una per metà cinese e una per metà italiana, la Ersai Caspian,
controllata dalla Saipem (gruppo ENI).
Il
rapporto, frutto di una meticolosa indagine sul campo condotta da
diversi ispettori di HRW, mette a fuoco i sistematici comportamenti
antisindacali e le continue violazioni dei diritti dei lavoratori da
parte delle tre aziende e in particolare della Ersai Caspian controllata
dall'ENI, che per molti mesi hanno rifiutato ogni trattativa con i
sindacati che avevano presentato le richieste salariali dei lavoratori,
giungendo a licenziare selettivamente gli operai sindacalmente più
attivi, a minacciarli e in qualche caso anche a farli aggredire
fisicamente, provocando così un crescente inasprimento delle tensioni
sociali dal quale non poteva non derivare, prima o poi, uno sbocco
violento.
Per i fatti del dicembre scorso
sono ancora in corso dei processi – a senso unico, con gli operai sul
banco degli accusati, mentre le brevi inchieste sull'operato della
polizia si sono subito chiuse con delle assoluzioni generali – e nelle
aziende petrolifere l'attività è ripresa più o meno normalmente, con gli
operai ovviamente terrorizzati e in gran parte di nuova assunzione,
mentre quelli che avevano partecipato alle lotte dell'anno scorso sono
stati in gran parte licenziati o trasferiti in altre regioni, a
condizioni ancor peggiori. Nessun responsabile aziendale, né a livello
locale né tanto meno a livello più alto, è stato interpellato, e nessun
governo straniero ha ritenuto di dover mettere bocca nella vicenda. In
particolare, se non stupisce quello del governo cinese, per quanto ci
riguarda stordisce il silenzio assoluto del governo italiano, pur
coinvolto direttamente nella vicenda attraverso il ruolo dell'ENI.
Vedremo se, dopo la pubblicazione odierna del dossier di HRW – in cui
sono contenute pressanti raccomandazioni ai governi di Paesi le cui
aziende operano in Kazakhstan perché obblighino le aziende stesse a non
consentire violazioni dei diritti dei lavoratori – la Farnesina troverà
qualcosa da dire.
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