Di Fabrizio Casari
Bombardamenti e combattimenti a Damasco e Aleppo, emergenza profughi e
minacce di contagio al vicino Libano, un nuovo inviato dell’Onu,
colloqui diplomatici senza sosta e senza frontiere sono i colori con i
quali il disegno siriano viene presentato agli occhi dell’opinione
pubblica e vengono utilizzati come pretesto per i recenti scatti in
avanti di Usa, Francia, Germania e Gran Bretagna - cui vorrebbe
aggiungersi anche l’Italia - e per il rafforzamento dell’intervento
militare diretto e indiretto dell’Occidente che ormai non nega più la
sua pesante ingerenza nella crisi siriana.
Ieri i responsabili di Stati Uniti e Turchia si sono riuniti ad
Ankara per gettare le basi di un "meccanismo operativo" finalizzato a
preparare il post Bashar al Assad in Siria. Stando a quanto indicato da
fonti diplomatiche di Ankara, diplomatici, militari e responsabili dei
servizi di sicurezza, diretti dal vice segretario di stato Elizabeth
Jones, da parte americana, e il sottosegretario di stato aggiunto agli
Affari Esteri Halit Cevik, da parte turca, hanno l'obiettivo di
coordinare le risposte di fronte alla crisi siriana in materia militare,
politica e di intelligence. Il principio di un meccanismo simile è
stato deciso nel corso di una visita a Istanbul, l'11 agosto, del
segretario di stato americano Hillary Clinton: gli Stati Uniti hanno
annunciato di voler accelerare la fine del regime di Damasco.
Apparentemente i colloqui verterebbero anche su altri due temi:
quello dell’arsenale chimico siriano e l’emergenza profughi che comincia
a diventare un problema a carattere regionale. E se per quest’ultimo
aspetto turchi e americani devono raggiungere un' intesa sulla
previsione e la creazione di una zona cuscinetto alla frontiera turca in
caso di consistente afflusso di rifugiati siriani, per quanto riguarda
l’arsenale chimico di Assad le cose sono decisamente più complicate.
Il rischio che in qualche modo al-Queda possa metterci le mani sopra
non è remoto, dal momento che una buona quota dei rivoltosi appartengono
all’organizzazione terroristica e un’altra porzione significativa
intrattiene con essa legami di riconoscenza ed affiliazione religiosa.
Diversamente dalla situazione libica, dove l’intervento di al-Queda è
stato in parte ridotto dal peso delle tribù della Cirenaica, in Siria la
penetrazione terroristica tra le fila degli insorti può risultare molto
più difficile da ridimensionare.
Proprio
parlando del rischio di utilizzo di armi chimiche come estrema difesa
da parte del regime siriano, Obama ha paventato un intervento militare
diretto statunitense, attirandosi non solo le critiche del governo di
Damasco, ma anche quelle del governo cinese e di quello russo. Damasco
ha parlato espressamente dell’allarme sulle armi chimiche come “pretesto
per un intervento militare diretto”.
Critiche sono arrivate anche dalla Cina, attraverso l'agenzia Xinhua,
che ha fatto propria la posizione del regime, spingendosi a definire le
dichiarazioni di Obama "pericolosamente irresponsabili". Un duro monito
è arrivato anche dalla Russia, che ha accusato i Paesi occidentali di
fomentare la rivolta, aiutando le forze che combattono Assad.
Ovviamente, le dichiarazioni di Obama sono state immediatamente
condivise da Cameron, primo attore sin dall'inizio della guerra contro
Assad. A lui ha fatto eco il Ministro degli Esteri italiano Terzi, che
in una intervista a La Repubblica ha ricordato come l'Italia
"sta operando in maniera attiva e sta considerando la dotazione
all'opposizione siriana di strumenti di comunicazione utili per
prevenire attacchi".
Insomma, la crisi siriana sembra incamminarsi a passi veloci verso il
suo epilogo sul modello di quella libica. Ma, diversamente da quanto
avvenuto a Tripoli, l’Occidente dovrà intervenire senza lo scudo formale
dell’Onu, dal momento che sia Pechino che Mosca non sono disponibili ad
approvare risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che aprano la strada
all’intervento militare diretto delle forze militari statunitensi,
inglesi e francesi.
Per la santa alleanza del disordine mondiale sarà dunque necessario
bypassare le istituzioni internazionali e lo sforzo per coinvolgere
l’Organizzazione Islamica Internazionale e Lega Araba sarà l’unica
possibilità per Obama di trasformare in un’operazione di polizia
internazionale quella che, con ogni evidenza, sarà un arma disperata
destinata ad invertire i sondaggi per le presidenziali di Novembre.
Accettare un’ulteriore presa di distanza dall’elettorato più liberal,
può ben essere bilanciato dall’affrontare le urne con le vestigia del
“comandante in capo”.
Da Altre Notizie
Related Posts
{{posts[0].title}}
{{posts[0].date}} {{posts[0].commentsNum}} {{messages_comments}}
{{posts[1].title}}
{{posts[1].date}} {{posts[1].commentsNum}} {{messages_comments}}
{{posts[2].title}}
{{posts[2].date}} {{posts[2].commentsNum}} {{messages_comments}}
{{posts[3].title}}
{{posts[3].date}} {{posts[3].commentsNum}} {{messages_comments}}
Commenti
Posta un commento
Partecipa alla discussione