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Dimentichiamo De Coubertin e le sue belle frasi, come “l’importante nella vita non nel trionfo, ma nella lotta, l’essenziale non è aver conquistato, ma aver ben combattuto”. “Roba carina, ma sorpassata. Oggi le Olimpiadi sono un colossale business. Sì, ci sono (ancora) le competizioni in cui atleti di tutto il mondo si sfidano, ma è solo un pretesto per vendere scarpe e far consumare cibo-spazzatura.
Secondo il quotidiano The Independent,
le Olimpiadi di Londra hanno un budget di circa 14,5 miliardi di euro,
dei quali circa 1,8 vengono da sponsor privati, tra cui Coca Cola
(premio per il rispetto dei diritti sindacali), BP (ultimo successo, la
dispersione nel Golfo del Messico di poco meno di cinque milioni di
barili di greggio), Dow (orgoglioso fornitore di napalm all’esercito
degli Stati Uniti), Mc Donald’s (campione dell’alimentazione sana),
Adidas (fiero difensore dei diritti dei lavoratori del sud del mondo).
Non
solo le multinazionali contribuiscono a sporcare con la loro condotta
la pura bellezza dell’agonismo sportivo che dovrebbe caratterizzare i
giochi olimpici. Ma dimostrano di voler difendere ogni sterlina di
profitto che riescano a spremere dagli spettatori (o forse dovremmo dire
consumatori) delle Olimpiadi. A quanto riporta The Independent,
infatti, un piccolo plotone di 300 addetti alla tutela dei marchi
verranno sguinzagliati per il Regno Unito per fare in modo che gli
esercizi commerciali fuori dal club non associno indebitamente il loro
prodotto ai Giochi, danneggiando così i grandi sponsor.
Il
quotidiano britannico rileva come il notevole impiego di risorse umane
per una finalità tanto prosaica strida con il fatto che ben 3.500
soldati in licenza siano stati richiamati di gran corsa per far fronte
alle esigenze di sicurezza di cui il contractor privato G4S non è stato
in grado di garantire la gestione.
La
notizia è drammatica ma, come in ogni situazione estrema, non mancano
gli aspetti divertenti. Nella sua furia di accumulazione, la Olympic
Delivery Authority (ODA) si è spinta a stabilire una lista di parole
ammesse e vietate negli annunci pubblicitari. Ad esempio, è passata
indenne al vaglio degli occhiuti controllori la frase vergata sulla
lavagna fuori da un pub, che recitava: “Guardate i giochi olimpici qui
con una birra fresca. Copertura live tutto il giorno”. Meno fortuna è
toccata ai poster che lo stesso pub aveva affisso in precendenza, che
sono stati censurati: “Grogglinton’s Bitter: guardate qui le
Olimpiadi”. La lista delle parole proibite avrebbe fatto rabbrividire
perfino il George Orwell di 1984: sono tabù infatti “oro”, “argento” e
“bronzo”, “estate”, “sponsor” e perfino “Londra”, qualora vengano
impiegate in contesti tali da dare l’impressione di un “collegamento
formale” alle Olimpiadi.
Ma
non si ferma qui il delirio delle corporation e di chi le protegge
(certo non per motivi ideologici legati alla fede cieca nelle virtù del
“libero(?)” mercato). Le sue deliranti proibizioni minacciano perfino
quella che, citando i Monty Python, costituisce il contributo britannico
alla cucina internazionale, ovvero la chip, volgarmente detta patatina
fritta. In ben 40 luoghi santificati come “ufficialmente olimpici”, a
ben 800 ristoratori è stato vietato servire il gustoso contorno / snack
al fine di garantire l’esclusiva ai Mac Donald’s, le cui patatine sono
certamente più olimpiche delle altre.
Se
il lato ufficiale delle competizioni olimpiche è sfigurato dalla
violenza idiota del grande business, cosa succederà lontano dai
riflettori? Il quotidiano scandalistico britannico Daily Mail racconta
come i lavoratori stranieri (temporanei) che lavoreranno per la pulizia
del Parco Olimpico siano accampati in una specie di bidonville a
Londra Est. Le condizioni igienico sanitarie del “villaggio” dei
pulitori sono degne di uno slum (1 gabinetto per 25 persone, una doccia
ogni 75), i container fanno entrare l’acqua piovana, mentre la paga è
da fame (meno di 700 euro al mese).
Secondo
i responsabili della ditta che ha vinto l’appalto (la Spotless
International Services) è tutto in regola, anche se le foto di un
container minuscolo nel quale devono dormire quattro persone in due
cuccette separate da uno spazio di una trentina di centimetri
documentano una situazione ben diversa. Addio, Olimpia!
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