Fonte:http://lindro.it/Obama-guerra-contro-la-marijuana,10099#.UEB3q6O0KSo
I mesi che precedono le elezioni
americane sono un periodo in cui qualsiasi argomento può diventare
scivoloso. Stavolta potrebbe toccare al dibattito sulla depenalizzazione e l’uso farmacologico della marijuana. L’estate 2012 ha segnato una svolta proibizionista nella politica di Obama sulle droghe leggere e ha creato non pochi conflitti tra il governo federale e gli Stati. Legale a fini medici in 17 Stati più il District of Columbia, ma mai riconosciuta dal governo centrale, la cannabis sta diventando un argomento controverso e scomodo per l’amministrazione Obama. Dopo un’ondata di chiusure forzate di centri di somministrazione di marijuana in California, Colorado
e Washington, c’è ora chi ritiene che i milioni di persone colpite
dall’irrigidimento delle politiche federali in questo campo potrebbe
costituire l’ago della bilancia nelle elezioni di novembre.
A partire dagli anni ’90 diversi stati hanno progressivamente cominciato ad aprirsi agli usi in campo medico della cannabis, ammettendone l’uso per pazienti affetti da cancro, Hiv, epilessia, sclerosi multipla, anoressia, inappetenza e altre patologie, all’interno di regolamentazioni che variano da Stato a Stato (diversi i quantitativi consentiti, diverse le procedure per ottenere i permessi). Ma per la legge federale la marijuana continua a essere una droga, classificata all’interno del Controlled Substance Act come ’Schedule I controlled substance’. Rientrano in questa categoria sostanze che hanno un certo potenziale per l’abuso, non hanno un utilizzo medico approvato e la cui sicurezza d’uso non è accertata, neppure sotto supervisione medica. Questo significa che la Food and Drug Administration, l’ente responsabile di classificare i farmaci leciti e indicarne gli usi ammessi, non ha trovato evidenze scientifiche a supporto di un potenziale uso medico di questa sostanza (va detto, tuttavia, che la stessa FDA evidenzia come il Marinol, una medicina a base di THC sintetico, lo stesso principio attivo della cannabis, è da tempo approvato e utilizzato per la cura di inappetenza, nausea e vomito).
Quanto basta perché Obama decidesse di contrastare quella tolleranza verso la marijuana che, partendo dalla somministrazione a fini medici, in molti Stati si stava trasformando in una depenalizzazione di fatto. E’ così cominciata una battaglia che durante l’estate si è concentrata soprattutto sulle sempre più diffuse coltivazioni su terreni pubblici in Nevada, Arizona, California, Idaho, Oregon, Utah e Washington. Con un’operazione nota col nome di Mountain Sweep, la Drug Enforcement Administration (DEA) ha sequestrato centinaia di migliaia di piante (483.759 solo in California, un quantitativo il cui valore le autorità stimano in 967.5 millioni di dollari).
E la campagna per ridurre la diffusione incontrollata della cannabis ha colpito anche i punti di somministrazione.
La California, il primo Stato a votare nel 1996 una legge diventata pietra miliare della depenalizzazione a fini medici (la famosa Proposizione 215), è stata finora considerata il cuore pulsante dell’industria americana della marijuana. A inizio estate, però, la DEA ha fatto chiudere centinaia di punti vendita trovati in violazione di una serie di norme - troppo vicini a una scuola, troppo permissivi sulle quantità , troppo leggeri con la verifica dei certificati medici - scatenando l’ira degli operatori del settore e creando qualche dissapore tra il Governo federale e lo Stato della California. Ora la città di Los Angeles sembra decisa a passare dalla parte del Governo con un provvedimento, che dovrebbe entrare in vigore la settimana prossima, che bandisce la vendita al dettaglio. Una decisione che riguarderebbe 1.000 punti di somministrazione, i cui operatori hanno già annunciato una petizione per fermare il divieto, motivato da ragioni di ordine pubblico. Secondo i dipartimenti di polizia, infatti, l’uso di marijuana comporterebbe un aumento della criminalità . E tuttavia, fanno notare diversi commentatori, la criminalità potrebbe essere conseguenza dello status illegale della marijuana che la confinerebbe nel mondo della vendita clandestina.
Per la California, dove la marijuana è la principale coltura, per una produzione del valore di 3.870.000 dollari, dove il settore dà lavoro a decine di migliaia di persone e le tasse sulle vendite arrivano a 105 milioni di dollari l’anno, le conseguenze di un’inversione di tendenza nella diffusione di questa sostanza potrebbero essere pesanti. La depenalizzazione totale, al contrario, potrebbe, secondo molti, avere effetti positivi sull’economia degli Stati e della Nazione. Se fosse completamente legale – come ha ricordato di recente anche il regista Oliver Stone, grande fan dell’erba americana – la marijuana negli USA sarebbe un’industria da più di 40 miliardi di dollari l’anno. La scelta proibizionista, invece, ha un costo: secondo un recente rapporto presentato da Jon Gettman, leader della Coalition for Rescheduling Cannabis, gli USA spendono 7.6 miliardi di dollari ogni anno per perseguire reati legati alla marijuana.
Regolamentando e tassando il settore, dicono le stime di una ricerca del 2005 dell’università di Harvard, tra risparmi e entrate fiscali, la nazione potrebbe guadagnare tra i 10 e i 14 miliardi di dollari l’anno.
Un percorso verso la depenalizzazione sembra intanto iniziato in diversi stati: in Colorado in novembre si voterà per la legalizzazione del possesso di piccoli quantitativi di marijuana, mentre nello stato New York, sia il governatore che il sindaco Bloomberg sembrano favorevoli a discutere un alleggerimento delle pene. Tutto questo mentre, come dicono i numeri di un sondaggio della Gallup condotto nell’autunno 2011, il 50% degli americani sarebbe favorevole alla legalizzazione della cannabis. Intanto la questione entra anche al Senato dove presto si voterà una proposta di testo di legge bipartisan per legalizzare la coltivazione della canapa (un derivato della marijuana con una ridotta percentuale di THC, utilizzato per produrre tessuti, carta, alimenti e altri beni). Ma l’amministrazione Obama sembra decisa a proseguire sulla strada della tolleranza zero, una scelta destinata inevitabilmente a sollevare conflitti tra l’applicazione delle leggi federali e di quelle statali. Un’attività perfettamente legale a livello statale non è detto che lo sia per le autorità federali. Per questo nei mesi scorsi alcuni Stati hanno chiesto che il Governo intervenga per regolamentare il settore in modo da eliminare contraddizioni e confusione che danneggiano gli operatori del settore.
A partire dagli anni ’90 diversi stati hanno progressivamente cominciato ad aprirsi agli usi in campo medico della cannabis, ammettendone l’uso per pazienti affetti da cancro, Hiv, epilessia, sclerosi multipla, anoressia, inappetenza e altre patologie, all’interno di regolamentazioni che variano da Stato a Stato (diversi i quantitativi consentiti, diverse le procedure per ottenere i permessi). Ma per la legge federale la marijuana continua a essere una droga, classificata all’interno del Controlled Substance Act come ’Schedule I controlled substance’. Rientrano in questa categoria sostanze che hanno un certo potenziale per l’abuso, non hanno un utilizzo medico approvato e la cui sicurezza d’uso non è accertata, neppure sotto supervisione medica. Questo significa che la Food and Drug Administration, l’ente responsabile di classificare i farmaci leciti e indicarne gli usi ammessi, non ha trovato evidenze scientifiche a supporto di un potenziale uso medico di questa sostanza (va detto, tuttavia, che la stessa FDA evidenzia come il Marinol, una medicina a base di THC sintetico, lo stesso principio attivo della cannabis, è da tempo approvato e utilizzato per la cura di inappetenza, nausea e vomito).
Quanto basta perché Obama decidesse di contrastare quella tolleranza verso la marijuana che, partendo dalla somministrazione a fini medici, in molti Stati si stava trasformando in una depenalizzazione di fatto. E’ così cominciata una battaglia che durante l’estate si è concentrata soprattutto sulle sempre più diffuse coltivazioni su terreni pubblici in Nevada, Arizona, California, Idaho, Oregon, Utah e Washington. Con un’operazione nota col nome di Mountain Sweep, la Drug Enforcement Administration (DEA) ha sequestrato centinaia di migliaia di piante (483.759 solo in California, un quantitativo il cui valore le autorità stimano in 967.5 millioni di dollari).
E la campagna per ridurre la diffusione incontrollata della cannabis ha colpito anche i punti di somministrazione.
La California, il primo Stato a votare nel 1996 una legge diventata pietra miliare della depenalizzazione a fini medici (la famosa Proposizione 215), è stata finora considerata il cuore pulsante dell’industria americana della marijuana. A inizio estate, però, la DEA ha fatto chiudere centinaia di punti vendita trovati in violazione di una serie di norme - troppo vicini a una scuola, troppo permissivi sulle quantità , troppo leggeri con la verifica dei certificati medici - scatenando l’ira degli operatori del settore e creando qualche dissapore tra il Governo federale e lo Stato della California. Ora la città di Los Angeles sembra decisa a passare dalla parte del Governo con un provvedimento, che dovrebbe entrare in vigore la settimana prossima, che bandisce la vendita al dettaglio. Una decisione che riguarderebbe 1.000 punti di somministrazione, i cui operatori hanno già annunciato una petizione per fermare il divieto, motivato da ragioni di ordine pubblico. Secondo i dipartimenti di polizia, infatti, l’uso di marijuana comporterebbe un aumento della criminalità . E tuttavia, fanno notare diversi commentatori, la criminalità potrebbe essere conseguenza dello status illegale della marijuana che la confinerebbe nel mondo della vendita clandestina.
Per la California, dove la marijuana è la principale coltura, per una produzione del valore di 3.870.000 dollari, dove il settore dà lavoro a decine di migliaia di persone e le tasse sulle vendite arrivano a 105 milioni di dollari l’anno, le conseguenze di un’inversione di tendenza nella diffusione di questa sostanza potrebbero essere pesanti. La depenalizzazione totale, al contrario, potrebbe, secondo molti, avere effetti positivi sull’economia degli Stati e della Nazione. Se fosse completamente legale – come ha ricordato di recente anche il regista Oliver Stone, grande fan dell’erba americana – la marijuana negli USA sarebbe un’industria da più di 40 miliardi di dollari l’anno. La scelta proibizionista, invece, ha un costo: secondo un recente rapporto presentato da Jon Gettman, leader della Coalition for Rescheduling Cannabis, gli USA spendono 7.6 miliardi di dollari ogni anno per perseguire reati legati alla marijuana.
Regolamentando e tassando il settore, dicono le stime di una ricerca del 2005 dell’università di Harvard, tra risparmi e entrate fiscali, la nazione potrebbe guadagnare tra i 10 e i 14 miliardi di dollari l’anno.
Un percorso verso la depenalizzazione sembra intanto iniziato in diversi stati: in Colorado in novembre si voterà per la legalizzazione del possesso di piccoli quantitativi di marijuana, mentre nello stato New York, sia il governatore che il sindaco Bloomberg sembrano favorevoli a discutere un alleggerimento delle pene. Tutto questo mentre, come dicono i numeri di un sondaggio della Gallup condotto nell’autunno 2011, il 50% degli americani sarebbe favorevole alla legalizzazione della cannabis. Intanto la questione entra anche al Senato dove presto si voterà una proposta di testo di legge bipartisan per legalizzare la coltivazione della canapa (un derivato della marijuana con una ridotta percentuale di THC, utilizzato per produrre tessuti, carta, alimenti e altri beni). Ma l’amministrazione Obama sembra decisa a proseguire sulla strada della tolleranza zero, una scelta destinata inevitabilmente a sollevare conflitti tra l’applicazione delle leggi federali e di quelle statali. Un’attività perfettamente legale a livello statale non è detto che lo sia per le autorità federali. Per questo nei mesi scorsi alcuni Stati hanno chiesto che il Governo intervenga per regolamentare il settore in modo da eliminare contraddizioni e confusione che danneggiano gli operatori del settore.
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