Di Mazzetta
L’amministrazione
Bush ha gonfiato all’inverosimile la nozione di segreto, quella Obama
la interpreta in maniera del tutto originale. Con
oltre quattro milioni di americani dotati di un qualche nulla-osta di
sicurezza che concede loro l’accesso ai documenti variamente
classificati e oltre un milioni direttamente impiegate nel settore
dell’intelligence, gli Stati Uniti
hanno messo insieme un apparato elefantiaco che in teoria è subordinato
all’autorità del Presidente e sottoposto allo scrutinio del Congresso,
ma che in pratica non è chiaro come occupi il suo tempo, se non raccogliendo e macinando quantità spaventose di dati su stranieri ed americani.
Le modalità con le quali
esaurisce questo compito sono le più varie e già l’amministrazione Bush
aveva abbattuto qualsiasi parvenza di steccato che limitasse l’attività
di spionaggio, in particolare sui cittadini americani. All’atto che ha
sancito l’inizio della war on terror
la presidenza americana si è ritagliata, e il Congresso ha validato
l’iniziativa, poteri quali non se ne erano mai visti alla Casa Bianca. Esemplare il caso dell’autorizzazione alla tortura dei nemici e l’invenzione del sistema delle rendition,
costruito per operare in un limbo giuridico tale solo perché tutte le
istituzioni americane che avevano voce in capitolo hanno silenziato
qualsiasi opposizione e qualsiasi ricorso che abbia chiamato in causa la
sua manifesta incostituzionalità.
Così è stato anche per
l’autorizzazione all’uso delle torture, alle quali è bastato cambiare
nome per soddisfare a lungo i congressisti e la Corte Suprema, che
quando si è arrivati al dunque non ha incriminato nessuno per quelli che
sono crimini anche per le leggi americane. Ma lo sono anche per
le leggi di guerra, che però gli Stati Uniti ritengono inapplicabili ai
casi in quanto Washington non ha formalmente dichiarato guerra a nessun
paese, riservandosi il diritto di ridefinire la guerra come
un’operazione di polizia internazionale anche quando sia stata iniziata
senza alcun mandato da parte di alcuna istanza internazionale.
L’uso del segreto e la
manipolazione semantica sono stati gli strumenti principali con i quali
le amministrazioni hanno aggirato o tentato d’aggirare i limiti imposti
dalle stesse leggi americane che le legislazioni d’emergenza (più d’una)
non hanno abbattuto. La manipolazione del consenso attraverso
falsi spesso smaccati sono stati gli strumenti della promozione delle
gesta bushiste e l’amministrazione Obama non vi ha rinunciato, semmai ne ha approfittato superando alcuni limiti che Bush non aveva valicato.
Esemplare in questo senso è la storia delle kill-list di Obama,
che settimanalmente darebbe la sua autorizzazione all’omicidio dei
“terroristi”, autorizzazione che comprende anche l’uccisione di
cittadini americani. Ci sono voluti più di tre anni e l’avvicinarsi
delle elezioni perché il Congresso a maggioranza repubblicana chiedesse
ad Obama di vedere la sua “licenza d’uccidere” i
cittadini americani. Che un presidente abbia il potere di far liquidare
i suoi amministrati con un tratto di penna è qualcosa di difficilmente
ammissibile anche per il patriotticissimo Congresso americano, ma
senatori e deputati hanno atteso l’arrivo delle presidenziali per
sollevare la questione che aveva fatto fin da subito gridare allo
scandalo i difensori dei diritti umani e civili. La probabile soluzione sarà quella d’escludere i cittadini americani dalla lista,
per gli altri non c’è molto interesse, anche se la pratica nei loro
confronti non è meno illegale o eticamente riprovevole. Ma se ne parla
ora solo perché una “fonte anonima” dei servizi ha vantato il ruolo del
presidente.
Lungi dal chiudere
Guantanamo, ma costretto a fermare le rendition a causa dei numerosi
procedimenti penali aperti in giro per il mondo contro esponenti dei
governi complici, Obama si è ampiamente rifatto autorizzando gli omicidi mirati a mezzo dei droni in numerosi paesi,
Dalla Somalia al Pakistan. Ha inoltre autorizzato attentati e attacchi
informatici alle strutture strategiche iraniane dello stesso tipo che la
sua amministrazione ha catalogato come atti di guerra ai quali gli USA
risponderebbero bombardando. Tutte attività consumate nel
segreto, ma anche tutte attività che sono state rivelate e confermate al
pubblico dagli esponenti dell’intelligence su un evidente impulso della
Casa Bianca, interessata a costruire l’immagine di un commander in chief risoluto e deciso nel condurre le numerose guerre americane.
La cosa ha fatto scalpore,
perché al contrario l’amministrazione Obama è la più spietata della
storia americana contro chi spiffera segreti, tanto da aver aperto sei
procedimenti contro americani infedeli che hanno rivelato storie
sgradite all’amministrazione. La storia di Bradley Manning
e di com’è trattato vale ad esempio, ma ci sono altri che sono finiti
sotto accusa solo grazie all’ampliamento spropositato di quello che è
considerato segreto.
I Congressisti, in
particolare i repubblicani, hanno detto di averci visto un pericolo per
gli Stati Uniti e in effetti si è trattato di vere e proprie autodenunce
che non giovano all’immagine degli Stati Uniti e in teoria li espongono
a diverse seccature. Seccature che l’amministrazione Obama ha messo a carico del paese, pur di presentare il presidente come piace agli americani, mentre tiene i nemici nel mirino.
Il problema è che la proposta di legge partorita a Washington
è stata sommersa di critiche e difficilmente vedrà la luce com’era
stata concepita, con l’obbligo per dipendenti dell’apparato
dell’intelligence di non parlare senza autorizzazione preventiva e il
divieto per i briefing “anonimi” con i quali le agenzie statunitensi
informano le principali agenzie d’informazione.
Una previsione
di legge abbastanza assurda e non solo perché non ponendo alcun limite
per l’amministrazione amplificherebbe le possibilità della presidenza di
cantarsela e suonarsela da sola, ma anche perché diminuirebbe
drasticamente la possibilità di denunce del malaffare all’interno delle
stesse agenzie da parte di funzionari rispettosi della legge, che potrebero ritrovarsi accusati di aver diffuso un segreto compiendo il loro dovere denunciando un crimine.
Il provvedimento in effetti è affondato miseramente e
sarà riscritto, ma è significativo delle battaglie sul niente che
eccitano il Congresso, per il resto muto sui documenti (non più segreti)
emersi a proposito delle torture e indifferente all’esito sempre più
triste delle guerre oltremare, dove gli Stati Uniti si trovano sempre
impantanati e sempre più a corto d’idee su come uscirne una volta
svanita qualsiasi illusione.
L’intelligence,
tanto che ci hanno dovuto pensare al Congresso per arrivare alla
convinzione che in Afghanistan non si possa far niente per colpa della
corruzione dei locali, alla quale è stato attribuito anche l’ultimo scandalo che ha scosso la missione, la scoperta che il miglior ospedale militare afghano,
supervisionato dagli americani, è stato a lungo un’anticamera
dell’inferno senza che nessuno dicesse nulla, al punto da stimolare paragoni tra il Dawood e quello di Auschwitz durante l’audizione alla Camera.
Non poteva essere diversamente se nemmeno l’emersione della lista completa delle
torture applicate ai nemici, ha smosso una dibattito che ai tempi di
Bush si era arenato sull’oziosa questione dell’essere o no il waterboarding una tortura, e da lì non s’è più mosso.
Documenti rilasciati dalla stessa amministrazione hanno documentato l’uso sui prigionieri di pistole,
trapani, minacce, fumo, freddo estremo, posizioni “stressanti”,
percosse, atterramenti violenti e persino false esecuzioni. Tutto
passato nell’indifferenza, nonostante dimostrino l’esistenza di quella
pratica sistematica della tortura che che il governo Bush non voleva
ammettere. Che è un orribile crimine contro l’umanità ed è vietata dalle
stesse leggi statunitensi.
Negli ultimi giorni l’amministrazione ha deciso d’intimidire potenziali chiacchieroni e
il FBI si è lanciato negli interrogatori a tappeto di un gran numero di
ufficiali. Un’azione che non ha molto senso pratico, ma un evidente
senso politico e in effetti giornali ed agenzie dicono che la loquacità
delle loro fonti e improvvisamente inaridita. L’amministrazione
ha tutto l’interesse a cercare di mantenere il discutibile privilegio
per il quale svelare i segreti che fanno il gioco di Obama è lecito,
mentre qualsiasi critica è un potenziale reato che potrebbe scatenare i
mastini della Casa Bianca alle calcagna dei traditori.
L’ipotesi
appare del tutto impraticabile e foriera di problemi, con ottime
possibilità di rivelarsi un boomerang, perché mettersi in urto con i
membri di molte agenzie a pochi mesi dalle presidenziali potrebbe
rivelarsi molto pericoloso.
L’aspetto paradossale di tutta la vicenda è che è proprio la dilatazione esponenziale di quanto è considerato segreto che ha prodotto più danni che vantaggi,
perché è chiaro che quando quei quattro milioni di americani che hanno
accesso ai “segreti”, nella loro attività osservano per lo più dati
innocui tra quelli segretati (tra i quali persino quelli ricavati da
fonti pubbliche), ai quali per di più hanno accesso in milioni, la
nozione stessa di cosa sia il segreto e quale protezione gli vada
accordata, sfuma anche agli occhi degli agenti del servizio segreto.
I
problemi dell’intelligence americana sono quindi di natura sistemica e
sono quelli di un’organizzazione elefantiaca che esiste per servire
l’esecutivo prima che le leggi e che in cambio di questa sua fedeltà e
complicità ottiene garanzia d’impunità. Non esattamente il
sistema previsto dalle leggi statunitensi prima del 9/11 e nemmeno un
sistema ammesso tanto platealmente in altre democrazie, quelle che si
fondano sulla divisione dei poteri e sui controlli di legittimità
incrociati tra le istituzioni, che nel caso degli Stati Uniti sono
andati in letargo da anni.
Fonte: http://mazzetta.wordpress.com/2012/08/06/i-segreti-di-obama/
http://www.megachip.info/finestre/zero-11-settembre/8660-i-segreti-di-obama.html
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