Di Gianni Lannes
In un Paese
affondato nelle sabbie mobili degli interessi privati e personali, nelle
meschine convenienze di ciascuno, dirsi tutto è il primo passo per
costruire il futuro. Dirsi tutto, sì. Sono radicale,sempre.
Essere radicali vuol dire andare alla radice delle cose. E alla radice di ogni cosa c’è l’essere umano.
L’Italia è militarmente e politicamente occupata dagli Stati uniti d’America: il nostro Paese non è sovrano né indipendente. Il belpaese paga miliardi di euro per mantenere le basi militari Usa che occupano il nostro territorio e da noi decollano per far guerra a mezzo mondo.
Il belpaese sborsa in euro e in vite umane i conflitti imposti dalle caste belliche e finanziarie. Il belpaese
fa fronte con nuovi debiti al pagamento delle armi che lo “zio sam” ci
vende per fare più morti e più distruzioni. Il regime partitocratrico
succube di chi tiene in pugno con il terrore bellico il resto del mondo,
svena le casse pubbliche sempre più indebitate.
Poi a cittadine e
cittadini dicono che non ci sono risorse per la scuola pubblica, per la
sanità, per la ricerca, per servizi pubblici dignitosi, per il lavoro,
per le imprese, per le famiglie.
Chissà quanti anni e quante
generazioni ci vorranno perché arrivi una nuova leva di italiani che
sappiano scrollarsi di dosso la coltre della rassegnazione, dell’oggi a
me e domani a te. Come se l’ex giardino d’Europa, fosse solo una
gigantesca torta da spartirsi: appalti, subappalti, commesse, indotto
pubblico e privato, posti al sole e posti in villa off shore.
Chissà
se riusciremo in breve tempo a seminare quel seme buono a far
germogliare di nuovo la sapienza delle madri, il coraggio dei padri,
l’abnegazione dei nonni, di quelli che hanno fatto realmente
grande l’Italia, prima che l’egoismo e il criminale calcolo del privato
profitto dei nipoti e bisnipoti la riducesse in polvere. La crisi, il
mutamento antropologico già sapientemente preannunciato da Pasolini, il
pensiero unico, la dipendenza, l’assenza di memoria sociale.
Nel
1979 Leonardo Sciascia da parlamentare indipendente impronta la sua
azione radicalmente: “Rompere i compromessi e le compromissioni, i
giochi delle parti, le mafie, gli intrallazzi, i silenzi, le omertà;
rompere questa specie di patto tra la stupidità e la violenza che si
viene manifestando sulle cose italiane”. Mai come oggi ci rendiamo conto
del fatto che l’intelligenza collettiva è dissolta, la voce della
critica sociale è muta, la democrazia morta e sepolta.
Possiamo
fare qualcosa? Ho il dovere di sperarlo e di essere contagioso. A questo
serve la cultura. L’unico modo di combattere la paura di tanti è
costruire speranze non solo per pochi. La paura è passiva, ma la
speranza va coltivata, nei cuori e nelle menti. La paura è una
componente essenziale della nuova miseria, assieme alla intolleranza e
alla solitudine.
Un destino da cui non si fuoriesce soli.
Occorre continuare ad affermare il più possibile, la verità, quella scomoda, che urtica, quella che obbliga al realismo.
Anche
il giornalismo può ri-dare significato al reale a condizione di essere
credibile. Bisogna ri-trovare la capacità di indignarsi, di re-agire, di
ribellarsi, di stabilire che il bene di tutti venga
prima dell’interesse di alcuni (pochi).
Unire sulle questioni
fondamentali, anziché dividere sulle strumentali. Insieme possiamo
piantare un seme importante. Insieme possiamo iniziare a cambiare il
corso delle cose e degli eventi. Insieme possiamo disintegrare la
passività.
Che il futuro sia comune: avanti, il destino è nelle nostre mani. SU LA TESTA!
Fonte: http://www.articolotre.com/2012/07/un-sogno-un-belpaese-libero/98581
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