Di Jacopo Barigazzi e Riccardo Celi
Ormai dare le colpe ai tedeschi per i mali di casa propria è
diventato uno sport nazionale. Ora però, forse complice il clima da
olimpiadi, Sergio Marchionne ha deciso di puntare all'oro in questa
disciplina. Per il manager italo americano i mali del mercato dell'auto
europea sono esacerbati dagli sconti che applica Volkswagen e dal fatto
che i marchi tedeschi, che a parte Opel stanno reggendo molto meglio di
Fiat alla crisi, non vogliono partecipare ad una riduzione collettiva
della capacità produttiva. Niente male per un uno che dovrebbe essere un
uomo di mercato.
Le dichiarazioni di Marchionne sono in un articolo del
New York Times che analizza il mercato dell'auto europea e la sua
conclamata sovracapacità produttiva. Basta pensare che i dati
dell'Associazione europea dei produttori d'auto prevedono quest'anno
12,4 milioni di auto vendute, tre milioni in meno che nel 2007. Il
numero uno di Fiat rilancia le critiche ai produttori tedeschi,
soprattutto verso la virtuosa Volkswagen, colpevole per via della sua
politica di sconti aggressivi: «è un bagno di sangue sui prezzi e sui
margini» e Wolsfburg gli ha risposto a muso dire dicendo che «Marchionne
è insopportabile come presidente dell'Acea», l'associazione delle case
automobilistiche europee, e chiedendogli di dimettersi da quel ruolo.
Ad essere in profonda crisi sono soprattutto i
produttori del sud Europa. La francese Peugeot quest'anno perderà un
miliardo di euro, sta lottando col governo francese per chiudere lo
stabilimento di Aulnay mentre le agenzie di rating fanno sprofondare
sempre più le sue obbligazioni in territorio “junk” e i cds, i contratti
con cui ci si assicura contro il fallimento di un ente, ora danno un 51% di probabilità
che il produttore francese vada gambe all'aria in 5 anni. Anche altri
produttori come Ford non stanno navigando in buone acque e il New York
Times ricorda che «secondo alcune stime l'industria europea nella sua
interezza sta operando in una forchetta fra il 60 e il 65% della sua
capacità. Come regola generale, dicono gli analisti, per essere
redditizi gli impianti devono operare ad un tasso fra il 75 e l'80».
Dati che potrebbero essere ancora peggio per alcuni stabilimenti Fiat e
che non riguardano invece la gran parte dei produttori tedeschi come Bmw
e Mercedes che continuano a produrre quasi a piena capacità. D'altra
parte è anche vero che, mentre in Germania nei primi sei mesi dell'anno,
le vendite d'auto hanno retto, in Francia sono calate del 14% e in
Italia del 20%. A giugno poi Portogallo e Grecia hanno registrato una
flessione del 40%.
Ecco allora la necessità di riorganizzare la produzione.
E qui il manager italo-canadese se la prende con la riluttanza
teutonica a partecipare a uno sforzo europeo di razionalizzazione.
Marchionne chiede che se ne occupi Bruxelles: «quello che dovrebbero
fare è coordinare una razionalizzazione dell'industria fra i
produttori». Già perché «quelli che non hanno realmente agito in questo
senso sono francesi e tedeschi che non hanno ridotto per niente la
capacità» e quindi «tutti dovrebbero fare dei tagli». Un punto che, per
un uomo di mercato come lui, fa saltare sulla sedia. Va bene i francesi,
ma perché mai i tedeschi che, tranne nel caso Opel, sono più bravi a
fare e vendere auto dovrebbero ridurre la loro capacità produttiva? E
poi è davvero colpa del mercato se i consumatori non vogliono più le
Fiat e preferiscono le Volkswagen?
Anche ammesso che Marchionne abbia ragione sulla politica dei prezzi di Volkswagen in Europa,
certi prezzi in Europa Volkswagen magari se li può permettere perché
guadagna soldi a palate sui mercati asiatici e in Russia. Cosa che Fiat,
anche se va bene negli Usa con Chrysler, non può fare: guarda caso, i
danni causati dai ritardi pazzeschi e dagli errori di Fiat in Cina ora
saltano fuori in tutta la loro evidenza. A Fiat manca oggi il mercato
asiatico, che non è stato aggredito quando era ora di farlo.
In una logica strettamente industriale poi, è ovvio
che la posizione di Marchionne sia inattaccabile: in qualsiasi settore
produttivo, gli stabilimenti superflui rispetto alla quantità di beni
che il mercato può ragionevolmente assorbire vanno chiusi. E non c'è
dubbio che, invece di spendere miliardi di euro per incentivare con la
rottamazione agevolata dell'usato gli acquisti di auto nuove che i
clienti non hanno più i soldi per acquistare e che non si sa più dove
mettere, lo Stato italiano (ma perché non l'Europa intera?) avrebbe
fatto meglio a destinare almeno una parte di tali somme alla
rottamazione-riconversione assistita delle fabbriche di auto, e magari
anche qualche spicciolo per quella dei concessionari che boccheggiano.
Tuttavia è anche vero che una parte delle difficoltà europee di
Marchionne sono anche figlie delle sue decisioni. Prima di tutto non si
capisce per quale motivo i mercati (italiani, europei o mondiali)
dovrebbero ritornare ad assorbire vetture italiane che non ci sono. A
qualunque osservatore, infatti, risulta immediatamente evidente che nel
ventaglio di modelli Fiat, Alfa Romeo e Lancia vi sono dei buchi
spaventosi e che il costruttore nazionale ha abbandonato interi segmenti
del mercato a una concorrenza che certo non ha mancato di
approfittarne. Non esiste, oggi, una giardinetta italiana, né una
berlina media di taglio popolare, né un'ammiraglia di segmento
medio-alto (a meno che non si consideri tale la Lancia Thema che in
realtà è praticamente americana al 100% e che d'italiano ha ben poco) né
una Suv medio-piccola, e neppure una berlina sportiveggiante Alfa
Romeo, marchio un tempo famoso proprio per le vetture di questo tipo. E
per il momento rimane avvolta nella nebbia anche l'erede delle Fiat
Bravo e Lancia Delta, ormai al termine della loro vita utile, scomparse
le quali, se non arriveranno le sostitute (almeno una), il gruppo Fiat
rimarrà (fino a quando?) a presidiare il segmento “C”, quello delle
“compatte” che ha fatto la fortuna della Volkswagen Golf, con la sola
Alfa Romeo Giulietta.
Marchionne continua ad attribuire i problemi del gruppo che dirige
a un mercato che, tuttavia, il gruppo stesso non sembra in grado di
stimolare con nuovi prodotti. In altre parole, Fiat sembra essere
prigioniera di un circolo vizioso: «non proponiamo, non inventiamo, non
fabbrichiamo nuovi modelli, perché non li venderemmo. Ma meno ne
proponiamo, meno ne vendiamo». E a proposito di nuovi modelli,
Marchionne dovrebbe spiegare qual'è l'«inedita ricetta» (così si legge
nel comunicato stampa di presentazione) che si nasconde dietro la Fiat
500L che esordirà sul mercato a breve, e quali sono le differenze
fondamentali che, senza nulla togliere alla validitità del nuovo
modello, lo caratterizzano rispetto alla Citroën C3 Picasso già in
vendita dal 2009. Quanto al mercato, anche in quello italiano che va
peggio di altri e che ha appunto chiuso il primo semestre 2012 con le
immatricolazioni di auto nuove a -19,73% rispetto allo stesso perodo del
2011 (e un giugno con un disastroso -24,4%), non tutti piangono come
Fiat (-20,56%), Lancia (-10,63%, ma grazie anche al contributo di
Chrysler) e Alfa Romeo (-31,32%): nei primi sei mesi, Kia ha
immatricolato il 47,25% di auto in più, Chevrolet il 12,70%, Dacia il
14,76%, Hyundai il 6,45% e Land Rover il 35,54%. Numeri che dimostrano
che anche in tempi di crisi nerissima, chi dispone di prodotti
appetibili non solo resiste, ma riesce anche a conquistare maggiori
consensi. Ovviamente, anche a danno di chi i prodotti vincenti non li
ha.
D'altra parte è noto che nel settore dell'auto per competere gli investimenti siano tutto, investimenti nel prodotto, nel sistema industriale e in ricerca e sviluppo. In un'intervista rilasciata
a febbraio a Massimo Mucchetti del Corriere. Marchionne dice che «Fiat
spende in ricerca e sviluppo il 5,3% dei ricavi, la media dei produttori
generalisti europei è del 5,7%». I numeri sono veri ma il numero uno di
Fiat fa il gioco delle tre carte. Infatti i ricavi di Fiat nel 2011
sono stati 59,6 miliardi e quelli di Volkswagen 159,3. Facendo due conti
in base alle parole di Marchionne risulterebbe un investimento in
R&D (cioè in ricerca e sviluppo) di 3,16 miliardi mentre,
estrappolando il dato sulla spesa di Volkswagen
dall'ultimo rapporto della Commissione Europea sulla spesa delle aziende
in questo settore, risulta che Volkswagen nel 2011 ha speso invece 6,26
miliardi. Proprio nel rapporto di Bruxelles (qui sotto trovate la
tabella) si vede che Wolfsburg scivola dal quarto al sesto posto al
mondo (la prima è la casa farmaceutica svizzera Roche) preceduta, fra le
case automobiistiche, solo da Toyota (al 4°posto). Daimler è 13esima,
Honda è 17 esima, Ford 23esima, Nissan 25esima, Bmw 38esima, Peugeot
46esima (era 39esima). E Fiat? Nelle prime 50 posizioni è non pervenuta.
(ha collaborato Alessio Mazzucco).
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