Nel 1987, dal genio creativo di Paul Verhoeven, regista sottovalutato dal talento notevole, nasce Robocop: cyborg-sbirro in guerra contro il crimine in una Detroit degradata ed estrema.
Originale rivisitazione di Frankenstein in
chiave tecnologica, “Robocop” è destinato ad avere un certo successo, a
cavallo tra gli anni ’80 ed i primi anni ’90, aprendo un’interessante
parentesi tra i soliti supereroi in calzamaglia dell’immaginario
americano ed i culturisti in mimetica: asessuati psicopatici avvinghiati
ad un M60, tanto cari a certa America reaganiana…
Ciò che
rende interessante questo sceriffone di latta, versione legalitaria di
Terminator, è soprattutto l’ambientazione: un contesto urbano dai
richiami post-moderni di alienazione metropolitana, con implicazioni
socio-politiche di gran lunga più complesse rispetto a tanti prodotti
coevi.
Robocop sbanca il botteghino e viene subito messo a profitto con l’immancabile sequel. I produttori affidano la sceneggiatura ad un Frank Miller
in stato di grazia, che estremizza i contenuti spingendo al massimo
l’anticonformismo irriverente dei dialoghi, nell’impietosa dissacrazione
dell’American Dream tramite una carica di cinismo dirompente e provocatorio.
Soprattutto, Miller riprende ed amplifica al massimo i risvolti critici e
di denuncia individualista, sviluppando tematiche già presenti nella
prima scrittura di Edward Neumeier e Michael Miner,
con un’implicita contestazione anti-sistemica. Insiste sulla
manipolazione del disagio sociale da parte di un potere tecnocratico
svincolato da ogni controllo e focalizza l’attenzione sul potere
manipolatorio dei media televisivi, che mostrano una realtà illusoria
senza alcun rapporto con la verità.
Il
risultato è una storia violentissima ed eccessiva, che viene
completamente stravolta dalla regia per esigenze di copione. Poco male
perché, dieci anni dopo, dalla scrittura di Frank Miller sorgerà una
delle più belle graphic novel mai realizzate, su disegni di Juan José Ryp e riadattamento di Steven Grant per le pubblicazioni della Avatar Press.
In un’epoca in cui il liberismo trionfante
si evolveva velocemente in turbo-capitalismo, mentre in Italia una
pletora di stronzetti ambiziosi eleggeva lo yuppie
a modello ideale, qualcuno osava sollevare dubbi sul migliore dei mondi
possibili proprio nella sua fase di massimo successo. E per l’occasione
inventava una Detroit distopica, prossima al tracollo economico ed al
collasso del suo tessuto sociale, in un mondo in cui tutto (a partire
dai servizi essenziali) è privatizzato e sottomesso alla volontà dei
‘mercati’ dove i cittadini di diritto vengono degradati a consumatori
senza tutele. Lo stesso Robocop altri non è se non un prototipo
sperimentale di una polizia privatizzata, dove la componente umana
(priva di valore commerciale) è assolutamente secondaria (e
sacrificabile) rispetto al costoso impianto biomeccanico.
Nell’impossibilità di ripagare i debiti
contratti a condizioni capestro con il potere finanziario, nel vano
tentativo di ripianare il deficit di bilancio, l’intera città di Detroit
diventa una proprietà privata ad uso esclusivo della OCP (Omni Consumer Products),
mega-corporation interessata ad un gigantesco piano di speculazione
immobiliare. Con la scusa della crisi finanziaria, l’OCP si sostituisce
all’amministrazione municipale, trasformando i “servizi pubblici” in
appalti privati che gestisce in proprio, con piena discrezionalità
decisionale, trasformando Detroit in metafora politica e laboratorio
socio-economico di un “nuovo mondo”… Con pessimi risultati.
Oggi si può dire che molte di quelle intuizioni, elaborate per esigenze di fiction,
si sono rivelate incredibilmente profetiche e azzeccate. Il mondo
(im)perfetto della OCP sembra essere diventato una realtà. E fa
abbastanza schifo!
Se il logo
dell’immaginaria OCP ha richiami evidenti con la bandiera nazista, è
curioso notare come il simbolo della multinazionale sia stranamente
simile al logo della JP Morgan Chase
la quale, al contrario, non produce assolutamente nulla. L’unico
consumo che conosce è il suo ciclo biologico da parassita finanziario,
drammaticamente simile alla filaria.
A proposito di “Piigs”, nella serie originale l’acronimo della famigerata O.C.P. viene solitamente reso come Oppressive Capitalist Pigs… gli unici e inconfondibili. Diffidate delle imitazioni.
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