Di Fabrizio Goria
Se la storia dell’eurozona si dovesse paragonare a un libro, “Il
Signore degli Anelli” di J.R.R. Tolkien potrebbe essere la scelta più
indicata. Territori divisi da ataviche rivalità, che solo di fronte alla
possibile disgregazione si riuniscono e combattono per la
sopravvivenza. La lotta del singolo, nel libro Frodo Baggins e nella
realtà quel Mario Draghi che sta facendo gli straordinari alla Banca
centrale europea, nel tentativo di prendere tempo e convincere gli altri
soggetti che non si può più agire da soli. Il dilemma è che nessuno sa
se c’è ancora tempo. Da oggi il rischio è che la situazione si aggravi
ancora.
L’eurozona rischia di essere soffocata da
quell’abbraccio mortale fra banche e Stati che l’ultimo Consiglio
europeo ha cercato di rompere, seppure con evidente ritardo. Nel già
anemico panorama del mercato monetario della zona euro, tre soggetti
(Goldman Sachs, J.P. Morgan e BlackRock) hanno deciso di tirarsi
indietro, evitando di investire nuove risorse in quell’area che è stato
paragonata a Mordor, la terra di Sauron, l’impersonificazione del male
nel libro di Tolkien. «Siamo in terre inesplorate», ha comunicato
Goldman Sachs prima di chiudere i rubinetti all’eurozona per via dei
troppi rischi. Poco più di un anno fa, i primi movimenti.
Fra fine marzo e inizio maggio è iniziato il grande
sell-off sull’Italia. Era il sintomo che la crisi che stava
attraversando l’eurozona era diventata importante, matura. Dopo aver
flagellato con barbara furia Grecia, Irlanda e Portogallo, stava
lambendo Italia e Spagna. Il segnale di tutto ciò è stato dato dai Money
market fund (Mmf), i fondi dei mercato monetario. Nell’arco di poche
settimane hanno ritracciato ogni singolo centesimo che era investito
sulla zona euro. Secondo l’analisi dell’agenzia di rating Fitch, che
ogni mese mappa questo settore finanziario, fra aprile e maggio
l’esposizione dei Mmf europei e americani sull’eurozona si era ridotta
del 53 per cento. Tanto. Troppo.
I money market fund sono fondi molto particolari. La
loro funzione nella catena finanziaria dei mercati è quella di fornire
liquidità. In pratica sono uno dei pilastri fondamentali delle banche.
Dato che queste chiedono e concedono prestiti ogni giorno, la catena
deve essere ben oliata e gli ingranaggi devono essere a pieno regime. Se
uno si dovesse bloccare, ci sono canali alternativi. Ma se anche questi
fossero bloccati, l’unica via possibile sarebbe quella che va verso
Francoforte, cioè la Banca centrale europea. L’Eurotower è nei fatti
l’unica controparte del mercato interbancario europeo. Proprio come era
successo fra agosto e dicembre dello scorso anno, le banche
dell’eurozona sono riluttanti a prestare denaro, nemmeno a brevissimo
termine. Meglio darlo alla Bce, anche con un tasso di remunerazione pari
a 0, come deciso dall’ultimo Consiglio direttivo.
La profittabilità sarà influenzata, ma di sicuro il
rischio di controparte si riduce notevolmente se nell’overnight si va
sulla Bce piuttosto che su altre banche. L’esempio di Bankia poche
settimane fa, unito a quelli di Dexia, Fortis e Lehman Brothers degli
ultimi quattro anni sono sufficienti per far tremare i polsi a qualsiasi
banchiere che scende sul mercato overnight. E ora la situazione è
peggiorata ancora. Goldman Sachs, J.P. Morgan e BlackRock hanno deciso
fermare gli investimenti nei loro Mmf nell’eurozona. La banca guidata da
Jamie Dimon ha stoppato le sottoscrizioni di cinque fondi (Euro
Liquidity Fund, Euro Government Liquidity Fund, Euro Money Market Fund,
Euro Liquid Market Fund, JPMorgan Series II - EUR), mentre quella di
Lloyd Blankfein ha operato su un solo fondo (GS Euro Government Liquid
Reserves Fund) e BlackRock su due. I motivi sono chiari. Nella nota di
Goldman Sachs sono spiegati i timori. Secondo la banca statunitense «i
mercati europei sono in un territorio inesplorato».
Troppo lo stress, troppe le incertezze, troppe le
situazioni a rischio. Mario Draghi sa che l’istituzione che guida è
rimasta l’unica in grado di prendere tempo nell’eurozona. Già era stato
così durante lo scorso autunno. Fra dicembre e febbraio arrivano le maxi
operazioni di rifinanziamento a lungo termine (Long-Term refinancing
operation, o Ltro, ndr) da oltre 1.000 miliardi di euro. I fondi sono
serviti per il rollover del debito esistente nei portafogli delle banche
europee, ma non hanno migliorato la situazione del mercato
interbancario. Pertanto, si è deciso di fare di più nell’ultima riunione
dell’Eurotower di giovedì scorso. Le decisioni della Banca centrale
europea hanno destabilizzato l’animo degli operatori. Se un taglio del
tasso di rifinanziamento di 25 punti base era ampiamente previsto, meno
lo ero quello sui depositi. Su quest’ultimi il tasso è stato abbassato
allo 0%, un livello mai sperimentato prima. Le scelte delle banche
d’investimento non devono stupire.
La Grecia, dopo la nascita di due programmi di aiuti
internazionali e dopo la più grande (nonché la prima) ristrutturazione
del debito sovrano nella storia della zona euro, fatica ancora. Il
premier Antonis Samaras sta cercando di mediare fra le anime del suo
governo, che vede i socialisti del Pasok invocare una moratoria di tre
anni sul rimborso dei prestiti erogati dalla troika (Fondo monetario
internazionale, Banca centrale europea, Commissione Ue). L’Irlanda
soffre ancora per le malversazione del sistema bancario, ma almeno, dopo
un colossale deleveraging, sta timidamente rientrando sul mercato
obbligazionario. Il Portogallo, invece, sta frenando. Complice una
recessione da record, Lisbona rischia di ritardare il proprio ritorno
sull’obbligazionario, sebbene la troika abbia garantito che il programma
sottoscritto nella primavera dello scorso anno è in linea con le
previsioni. Ci sono poi Italia e Spagna.
Se per capire il destino di Madrid bisogna attendere
l’Eurogruppo di oggi, che discuterà, fra le altre cose, le dinamiche
dell’intervento di sostegno delle banche spagnole, per l’Italia un primo
responso c’è già stato lo scorso venerdì. Nella notte precedente il
governo di Mario Monti aveva appena approvato 26 miliardi di euro di
tagli alla spesa pubblica nell’arco di tre anni. Tanti, ma non
abbastanza, specie considerando il carattere orizzontale dei tagli. Nel
libro di Tolkien, dopo diverse perdite, numerosi sacrifici e
un’inimmaginabile sofferenza, Frodo Baggins riesce a portare a
compimento il suo compito, distruggere l’Anello. Foriero di potere, ma
dotato di vita propria, viene gettato nella caldera del Monte Fato,
liberando così la Terra di Mezzo dal Male. Allo stesso modo, l’eurozona
sta cercando di liberarsi dalla crisi, il suo Anello. Ma a differenza
del libro, questa è la realtà.
Frodo Baggins accanto a sé aveva Samvise Gamgee,
amico fidato e aiuto indispensabile nel corso del lungo peregrinare
verso Mordor. Le banche europee, che rischiano di diventare ancora una
volta il nuovo epicentro della crisi dopo la dipartita degli Mmf, hanno
poche armi a loro disposizione. Proprio come la città di Minas Tirith,
l’ultimo caposaldo degli umani, assediato nel corso dell’ultima
battaglia fra Bene e Male nella trilogia di Tolkien. Il problema è che,
almeno per ora, Mario Draghi al suo fianco non ha il suo Samvise Gamgee.
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