Di Maurizio Pallante e Andrea Bertaglio
Come
mai negli ultimi anni tutti i Paesi industrializzati hanno accumulato
debiti pubblici sempre più consistenti, fino a raggiungere nel 2010
valori che vanno da un minimo dell’80% del prodotto interno lordo nel
Regno Unito al 225,8% in Giappone? Nell’Eurozona, nel corso del 2010 il
rapporto debito/Pil è salito dal 79,3 all’85,1%. Eppure il Patto di
stabilità firmato dai Paesi dell’Unione Europea nel 1999 fissava al 60%
la soglia massima di questo rapporto. E ancora: perché gli Stati e le
amministrazioni locali spendono sistematicamente cifre superiori ai loro
introiti? Perché il sistema bancario induce le famiglie a spendere
cifre superiori ai loro redditi?
La risposta è intuitiva: perché
la sovrapproduzione di merci ha raggiunto un livello tale che se non si
acquistasse a debito, crescerebbe la quantità di merci invendute e si
scatenerebbe una crisi in grado di distruggere il sistema economico e
produttivo fondato sulla crescita infinita del Pil. Il debito pubblico,
del resto, è il pilastro su cui si fonda la crescita in questa fase
storica.
Proprio nel tentativo di far ripartire la crescita e
aumentare il Pil, negli ultimi anni in Italia è stata finanziata la
rottamazione delle automobili, sono state concesse agevolazioni fiscali
per la costruzione di nuove case, sono stati dati incentivi
all’installazione di impianti a fonti rinnovabili senza porre vincoli a
favore degli autoproduttori né della tutela ambientale, è stata
deliberata la costruzione di opere pubbliche tanto costose quanto
inutili.
Ciononostante, gli incrementi della spesa pubblica in
deficit non hanno riavviato la crescita, come del resto in tutti gli
altri Paesi industrializzati, né hanno diminuito la percentuale dei
disoccupati, che anzi è aumentata. Insomma, abbiamo speso denaro
pubblico, abbiamo aumentato il debito e non abbiamo ottenuto nulla.
Per
quale ragione gli stimoli forniti alla ripresa economica attraverso la
spesa pubblica non hanno dato i risultati attesi? Perché nei Paesi
industrializzati lo sviluppo tecnologico ha determinato un eccesso di
capacità produttiva che cresce di anno in anno. Macchinari sempre più
potenti producono in tempi sempre più brevi quantità sempre maggiori di
merci con un’incidenza sempre minore di lavoro umano per unità di
prodotto. Per questo la disoccupazione aumenta invece di diminuire.
Inoltre
queste tecnologie sono molto costose e i macchinari non possono
rimanere fermi, perché ne deriverebbero forti danni economici in termini
di ammortamento dei capitali e di mancati guadagni. Devono lavorare a
pieno regime e tutto ciò che producono deve essere acquistato anche se
non ce n’è bisogno. Quindi le tecnologie accrescono l’offerta di merci
in misura superiore alla crescita della domanda e ciò comporta una
diminuzione dell’occupazione, la diminuzione dell’occupazione riduce
ulteriormente la domanda. Perciò l’unico modo per incrementare la
domanda è l’indebitamento. La crescita non è la soluzione. È il
problema.
Fonte:il Fatto Quotidiano
Da Arianna Editrice
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