Di Domenico Corradini H. Broussard
I nostri magistrati del penale spesso sono fantastici. Spesso hanno
le manette facili. Spesso sbattono in carcere per custodire in maniera
cautelare persone che potrebbero mandare ai domiciliari. Spesso vedono
dovunque un qualche pericolo di fuga e d’inquinamento delle prove e di
reiterazione del reato. Eppure le prove non ci sono ancora: come si fa
ad inquinare una prova che ancora non c’è? Eppure il reato non è stato
ancora accertato: come si fa a reiterare un reato che ancora non è stato
accertato?
Il termine è dolce: «custodia». Richiama l’Angelo Custode che secondo
i cristiani ciascuno di noi ha. Richiama l’attività del prendersi cura o
dell’avere a cuore. Richiama la diligenza con cui ciascuno di noi deve
custodire le proprie cose o le altrui che ha ricevuto, che so io, come
inquilino mediante un contratto di locazione o come depositario mediante
un contratto di deposito. E invece quelle persone sbattute in carcere,
in carcere non sono custodite né con diligenza né con perizia. E si sa
che nel diritto la negligenza e l’imperizia costituiscono le forme
principali della «colpa», lieve o grave o gravissima che sia. E dunque
quelle persone sbattute in carcere, in carcere rimangono incustodite,
nel senso che di loro non ci si prende cura e nel senso che non li si ha
a cuore. Lo stesso vale per gli sbattuti in carcere dopo una sentenza
di condanna, giusta o ingiusta che sia, emessa per prove consistenti o
per pochi indizi, non importa.
Una «colpa» c’è. Solo che i nostri fantastici magistrati del penale
non se ne occupano quasi. Non si occupano quasi delle conseguenze delle
misure restrittive che adottano, «beccati questo, Beccaria». E Beccaria
si becca la tortura. E Beccaria si becca anche la più tortura delle
torture carcerarie, il regime del 41 bis che sospende le normali regole
di trattamento previste dall’ordinamento penitenziario e le sospende per
incrudelire questo trattamento. Come se il sottoposto al regime del 41
bis non ha «dignità sociale» che la Costituzione riconosce a ogni
cittadino senza distinzione. Come se a niente sia valsa la diagnosi
compiuta nel lontano 1995 da una delegazione del Comitato europeo per la
prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e
degradanti, che invano chiese delucidazioni al governo d’allora e
dovette accontentarsi con sconcerto della dichiarazione rilasciata dalle
autorità italiane il 15 luglio 1995 all’Onu, Doc. CCPR/C/SR. 1330, §
21: «Grazie a questa misura speciale un numero crescente di detenuti
hanno deciso di collaborare con le autorità giudiziarie fornendo
spiegazioni sulle organizzazioni delle quali essi facevano parte».
L’obiettivo era ed è chiaro: non una misura di prevenzione dissuasiva
nei confronti di potenziali criminali in potenza affiliabili a cosche e
mafie, ma una misura che proprio utilizzando la più tortura delle
torture tendeva e tende a coartare la volontà e a estorcere il consenso
alla collaborazione e alla delazione.
A quali condizioni di bestialità siano ridotti i sottoposti al 41
bis, lo disse bene il magistrato di sorveglianza di Livorno Aldo Merani
nella sua relazione del 5 settembre 1992 redatta dopo una visita al
carcere di Pianosa. E disse delle condizioni di bestialità di tutti i
detenuti : «Nel corso della permanenza in sezione si è notato
l’utilizzazione di metodiche di trattamento nei confronti dei ristretti
sicuramente non improntate al rispetto della persona ed ai principi di
umanità. In particolare si è riscontrato personalmente: a) i detenuti
vengono movimentati all’interno della sezione […] tenuti per le braccia a
destra e a sinistra da due agenti e non affiancati e seguiti da tre
agenti come previsto dalle circolari inerenti le massime sicurezze; b)
nel camminare, i detenuti vengono obbligati a tenere la testa bassa e lo
sguardo fisso a terra; c) nel caso che sia in transito un detenuto
dall’atrio di accesso [..] un eventuale altro detenuto in rientro o in
uscita viene fermato davanti ad una parete, dovendo egli tenere la testa
bassa e poggiata contro di essa, con gli occhi a terra; c) al momento
in cui i ristretti vengono inviati al cortile di passeggio, aperta la
porta che vi dà accesso, devono andare di corsa e senza fermarsi
direttamente dallo spazio antistante la loro cella sino ad infilarsi nel
corridoio che conduce al cortile: di tale pratica si è chiesto conto ad
un sottufficiale che ha risposto, per verità in modo seccato e
iattante, che trattasi di scelta dei detenuti: il che francamente appare
quanto meno poco credibile. […] Da informazioni assunte [..] si è avuto
notizia che due detenuti sono stati recati fuori dalla sezione, l’uno
all'interno di una carriola da muratore, certamente non in grado di
camminare da solo, l’altro ammanettato e trascinato per le braccia:
entrambi venivano portati verso il blocco centrale dove non è dato
sapere cosa sia successo poi. Si è avuto notizia dell’uso di manganelli
all’interno della sezione, evidentemente non in relazione a situazioni
di pericolo reale che altrimenti ne sarebbe seguita adeguata e completa
informazione a quest’ufficio dal parte della Direzione: i manganelli
sarebbero stati adoperati sia per sollecitare nelle gambe i detenuti o
negli spostamenti all’interno della sezione, sia per effettuare veri e
propri pestaggi in cella. [..] Altri episodi di iattanza e violenza,
psichica più che fisica, nonché una serie di umiliazioni tanto inutili
quanto ingiustificate, sono state inflitte a detenuti comuni impegnati
nei lavori di ristrutturazione della diramazione. Il quadro si presenta
pertanto non solo fosco e preoccupante, ma anche con caratteristiche
delittuose».
Parole attuali. Chiedete a Marco Pannella o a Rita Benardini o Marco
Perduca o a Valter Vecellio o a Riccardo Arena o a Deborah Cianfanelli,
giusto per fare qualche nome, e confermeranno che quelle parole sono
attuali.
Merani fu un’eccezione tra i magistrati di sorveglianza. Non si
limitava a esercitare la giurisdizione, metteva piede nelle carceri,
parlava con i detenuti dei loro problemi, se a un detenuto mancava lo
spazzolino da denti si adoperava a procurarglielo: «Credo che […] un
magistrato di sorveglianza che non si occupasse, direttamente e senza
vincolo di giurisdizionalità, del carcere in qualche misura potrebbe
anche finire con lo sparire. Cerco di spiegarmi: […] mi domando qual è
la differenza tra il magistrato di sorveglianza e gli altri giudici che
si occupano dei diritti. Io credo che la differenza è che, mi si
consenta, non è terzo; io questa terzietà nel magistrato di sorveglianza
l’ho sempre sentita nel senso della indipendenza delle mie decisioni,
della libertà intellettuale, culturale, giuridica, giudiziaria di ciò
che facevo ma mi sono sempre seduto al tavolino con davanti un detenuto e
ho cercato in qualche modo di trarre direttamente da lui la decisione,
quale che essa fosse, se mandarlo in permesso, se mandarlo in
affidamento in prova, se mandarlo in semilibertà, se tenerlo ben legato
con la palla al piede; quale che fosse la decisione non poteva che
scaturire da lui. […] Il magistrato di sorveglianza entra in carcere,
sta in carcere, vive la sua professione all’interno del carcere, e dice
alla guardia: “c’è il detenuto che afferma che non gli avete dato lo
spazzolino, lui non ce l’ha, sul libretto ha trenta lire, gli trovate
uno spazzolino?”. E, in un modo o in un altro, la guardia lo spazzolino
lo trova. Mi direte che lo spazzolino è una stupidaggine ma in galera
sono tutte stupidaggini che in galera diventano grosse cose; ogni
passaggio da una condizione deteriore a una condizione migliorativa, per
quanto piccola sia, per quanto essa possa entrare nei particolari delle
necessità del singolo, è una cosa enorme, perché il detenuto non ha
nulla e tutto deve chiedere, deve fare la domandina, deve sollecitare».
I nostri magistrati del penale spesso sono fantastici pure in questo:
non mettono piede nelle carceri se non per convalidare arresti o
interrogare, e se magistrati di sorveglianza vigilano sull’esecuzione
della pena seduti a tavolino nei propri uffici pur quando si tratti del
41 bis. Per loro vale il «ius quia iussum» e non il «ius quia iustum».
E avete mai visto i vertici dell’Anm proporre un qualcosa per la
tortura in carcere e per la più tortura delle torture carcerarie, per il
41 bis? I vertici dell’Anm, in nome dell’intera magistratura italiana,
entrano a gamba tesa nel dibattito politico e nelle stanze di ministri e
presidenti delle Camere solo per difendere i propri privilegi
corporativi, per chiedere che l’emendamento Pini sulla responsabilità
civile dei magistrati sia fermato e messo nel cestino della carta
straccia, e non c’è differenza in questo tra un Rodolfo Sabelli e un
Cosimo Maria Ferri e neppure c’è differenza tra il giornalismo che
sostiene l’uno e il giornalismo che sostiene l’altro.
Da Gherardo Colombo, «Il perdono responsabile», Ponte alle Grazie,
Firenze 2011: «Il carcere, per come è congegnato, confligge con la
dignità, con l’appartenenza al genere umano di chi vi è sottoposto,
perché esclude dalla comunità e dalle relazioni con gli altri».
Figuriamoci se con la dignità della persona non confligge il 41 bis.
Alla Severino questi problemi non interessano. Dopo il «decreto
affossa carceri», si è messa l’anima in pace. Quel che ho potuto fare o
fatto e di più non potevo fare, ha detto qualche giorno fa in un video
diffuso dall’Ansa. Né questi problemi interessano al Napolitano della
«prepotenza urgenza»: acqua passata sul greto di uno spot.
Da quando si è insediata al ministero dell’Ingiustizia, la Severino continua a ripetere sull’amnistia una sciocchezza giuridica. Continua a ripetere che l’iniziativa per l’amnistia spetta solo al Parlamento. Ma la conosce la Costituzione, la Severino? Lo sa che sull’amnistia il governo ben potrebbe presentare alle Camere un disegno di legge?
Sia allora il «silenzio» dei detenuti e nostro l’arma non violenta
per protestare contro il collasso della giustizia e l’atrocità con cui
nelle nostre carceri viene somministrata la pena sotto lo sguardo spesso
distratto dei magistrati di sorveglianza.
Da Notizie Radicali
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"Il termine è dolce: «custodia». Richiama l’Angelo Custode che secondo i cristiani ciascuno di noi ha. Richiama l’attività del prendersi cura o dell’avere a cuore."
RispondiEliminaRicordo che un ragazzo, Niki Aprile Gatti, incensurato di 26 anni grazie a questa pratica è uscito morto dal carcere...e nessuno, dico nessun magistrato cerca di fare luce su quello che è stato dichiarato dalle istituzioni..Suicidio!!!!!!!!!!!!
Ciao Upupa,grazie per il commento.Conosco la vicenda di Niki Aprile Gatti, proprio oggi ho postato un'articolo preso dalla rete che parla di essa(http://informazioneconsapevole.blogspot.it/2012/07/verita-per-niki-aprile-gatti-quando-il.html).La "giustizia" italiana purtroppo è una vergogna,la magistratura idem,chi cerca di opporsi allo stato di cose presenti viene censurato o eliminato(es Falcone e Borsellino,eliminati da mafia e Stato e invisi da sempre ai vertici politici/militari/giudiziari,compresa la stessa magistratura),le forze armate sono anche peggio...questo è il paese delle stragi di Stato,delle innumerevoli morti in carcere e di altri crimini di Stato.Tutto questo schifo prima o poi dovrà e deve finire.
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