Di Fabrizio Casari
Si chiamano USAID, NED, IRI e con tanti altri nomi, non è la fantasia
che manca. Sono gli enti nordamericani che erogano fondi destinati alla
destabilizzazione interna di paesi che non dipendono dagli USA.
Vengono venduti alle opinioni pubbliche come enti umanitari, ma sono una
delle armi preferite dagli Usa nelle ingerenze interne ai paesi terzi.
Travestiti da aiuti allo sviluppo, mascherati da sostegno alle ONG,
tramite questi enti milioni e milioni di dollari provenienti dalle casse
delle istituzioni statunitensi vengono destinati alle opposizioni nei
paesi i cui governi risultano ostili a Washington.
Che poi ostili lo siano effetivamente (vedi Paraguay) è sempre dato
da relativizzare, giacché per gli Usa il concetto di ostilità risulta
decisamente esteso, abbracciando tutto ciò che non è la cieca obbedienza
ai voleri della Casa Bianca. Non c’entra niente la democrazia, anzi: i
migliori amici di Washington in tutto il pianeta, sono i governi
autoritari e privi di legittimazione democratica. E non c’entrano niente
nemmeno i diritti umani, dal momento che chi più li viola appare
decisamente schierato tra quei stessi regimi, fidi sostenitori del
Washington consensus.
A ridurre il peso specifico sullo scacchiere internazionali dei
cosiddetti paesi ostili vengono destinate risorse d’ogni tipo: dalle
guerre ai blocchi economici, dal terrorismo alla fornitura di armi agli
oppositori, dall’isolamento diplomatico alla negazione dei prestiti
internazionali.
Ma dove per qualsivoglia ragione questi elementi non risultassero
applicabili o, comunque, non sufficienti a determinare il risultato
sperato, da diversi anni il governo degli Stati Uniti ha scoperto
l’utilità e la percorribilità della sovversione interna ai paesi ostili
tramite azioni di diversa natura e utilizzando strumenti, tecniche e
risorse destinate alla bisogna. Il cyberspazio e i programmi cosiddetti
di “aiuto” sono due elementi decisivi di queste strategie.
E se per quanto riguarda l’utilizzo della Rete le attività sono
principalmente svolte dall’interno del territorio statunitense, per
quanto attiene al sostegno delle opposizioni interne gli strumenti
utilizzati sono ormai di consuetudine l’invio di denaro e di funzionari
travestiti da ONG con lo scopo di alzare il livello della conflittualità
interna ai paesi che si vogliono attaccare.
Dall’Europa
dell’Est all’America latina, dai paesi del Maghreb all’Asia, la
destabilizzazione socio-politica dei regimi ostili vede il dispiegarsi
di miriadi di fondazioni, Ong, associazioni tutte formalmente all’opera
per allargare la democrazia, ma tutte sostanzialmente fondate,
finanziate e dirette da Washington.
Le ambasciate statunitensi sono infatti il collante operativo e la
copertura diplomatica per la maggior parte di queste organizzazioni é il
mantello che le copre. Le loro attività - sulle quali amano romanzare
gli adepti nelle redazioni dei giornali amici - sono spacciate in chiave
umanitaria dalla potenza di fuoco mediatica statunitense, che si
adopera per venderle come indipendenti, disinteressate e al servizio
delle istanze democratiche.
Nessuna di queste, ovviamente, opera in forma visibile nei paesi
amici di Washington; sono tutte allocate nei cosiddetti paesi ostili,
dal momento che la scacchiera sulla quale gli Usa muovono le pedine è
comunque, sempre, quella avversaria.
Nei bilanci pubblici di molte delle istituzioni pubbliche e delle
associazioni private statunitensi impegnate nella sovversione interna ai
paesi ostili emergono con chiarezza cifre e flussi di investimenti che
dagli Stati Uniti vengono destinati allo scopo e leggendo con attenzione
tra i bilanci si possono trovare le tracce della diplomazia parallela
della Casa Bianca.
In una intervista al New York Times nel 1991, Allen
Weinstein, uno dei fondatori della NED, disse che “quello che fa la NED
oggi è quello che un tempo veniva fatto in maniera clandestina da
venticinque anni dalla CIA”. E Marc Plattner, un vice-presidente della
NED, spiegò a sua volta così il ruolo dell’organizzazione: “Le
democrazie liberali favoriscono chiaramente gli accordi economici che
fomentano la globalizzazione e l’ordine internazionale che sostiene la
globalizzazione si basa nel predominio militare americano”.
Ogni bel gioco, però, dura poco e i primi segnali dell’inversione di
tendenza arrivano proprio dall’America Latina, dove i Ministri degli
Esteri dei paesi dell’ALBA (Bolivia, Venezuela, Ecuador, Repubblica
Dominicana, Nicaragua, Cuba), riuniti in Brasile, hanno proposto ai
rispettivi governi l’espulsione dai loro paesi del personale in forza
all’Usaid.
Nel comunicato diramato al termine del vertice, i capi della
diplomazia del blocco democratico latinoamericano propongono il
provvedimento di espulsione: “In ragione dei progetti che destabilizzano
i governi, esercitando una indebita interferenza nelle questioni
politiche interne” i paesi dell’ALBA “considerano che la loro presenza
costituisce un elemento di perturbazione che attenta contro la stabilità
e la sovranità dei paesi”.
L’USAID
è accusata di finanziare giornali, ONG, partiti e organizzazioni
sindacali - spesso inesistenti negli stessi paesi - in una chiara e
sfacciata intromissione negli affari interni, con il proposito di
cospirare ed elevare il conflitto politico interno. Nessuna opera
caritatevole, nessun aiuto disinteressato, nessun beneficiario e men che
mai anonimo: denaro copiosamente inviato a organismi anti-governativi
che proprio in ragione del dichiararsi tali percepiscono quote
significative. E il business gira: tanto più elevata sarà la capacità di
questi di dimostrarsi attivi, tanto più alto, percentualmente, saranno
le somme che arriveranno dall'USAID.
Quanto alla storiella degli aiuti disinteressati dell’USAID, i
ministri degli Esteri latinoamericani affermano di non avere “nessuna
necessità di organizzazioni tutelate da potenze straniere che, in
pratica, usurpano e debilitano la presenza degli organi dello Stato
impedendogli di sviluppare il ruolo che gli corrisponde nello sviluppo
economico e sociale delle nostre popolazioni”, conclude il documento.
Nelle stesse ore nei quali il documento veniva diramato, il governo
di Washington negava il via libera ai crediti internazionali per il
Nicaragua, a dimostrazione di come gli aiuti siano solo la faccia
pubblica di politiche cospirative. I prossimi giorni diranno come si
evolverà la questione, ma per quanti sforzi di maquillage la Casa Bianca metterà in campo, i suoi funzionari, anche se travestiti da volontari, dovranno fare le valigie.
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