TIZIANO:
Nel 1966 comincia in Cina la rivoluzione culturale che vuole distruggere il
passato perché possa nascere una Cina nuova. Cominciano le distruzioni
spaventose per mano delle guardie rosse, e comincia la repressione. Bastava che
tu avessi un libro che non era approvato dal partito e venivi accusato di
essere un revisionista, un controrivoluzionario, e spedito per anni a fare il
lao gai nei campi di lavoro. Se tu pensi a cosa questi fregnoni di giovani
iconoclasti hanno bruciato, distrutto! Cose incredibili. Entravano nei templi,
mamma mia! Entravano nelle case dei poeti, della gente e disfacevano ogni cosa,
il loro lavoro, le cose belle che possedevano. L’idea che il “vecchio” fosse di
impedimento al “nuovo” poteva essere giustificata dal punto di vista ideologico
(… ) il vecchio che Mao voleva distruggere perché diceva che incatenava il
paese al suo passato! Ma questo “vecchio” sono le radici della Cina; senza questo
“vecchio” la Cina non sarebbe più la Cina!
E
infatti la Cina oggi non è più la Cina, da quando quell’assassino ha eliminato
le radici della sua antica cultura. Invece di fare un comunismo o un socialismo
cinese, Mao ha voluto distruggere tutto quello che era cinese per creare una
società completamente nuova. E questo è spaventoso. Mao ha finito per
distruggere la Cina e la visione di oggi la vedi.
FOLCO:
Il comunismo non ti interessava più?
TIZIANO:
No, basta. Come soluzione ai problemi dell’umanità quella formula era proprio
fallita. La mia grande crisi comincia in Cina. Ho capito subito che era stata
una trappola. In Vietnam lo avevo annusato, ma sai, ero in mezzo alla
rivoluzione, casini…E da allora è stato tutto un declino. Non ho più scritto un
vero pezzo politico. La politica proprio non mi interessava più, avevo capito
che la politica non era la soluzione a nulla.
FOLCO:
E’ in Cina che il socialismo ti ha definitivamente deluso?
TIZIANO:
Si, certo. Ma soprattutto mi ha deluso la politica stessa come strumento di
cambiamento. Capisci così come poi si arriva alla grande delusione con la
materia, con l’operare sul corpo sociale di un paese. Perché questo operare non serve, non porta a fare un passo
avanti. Anzi, porta a fare tanti
passi indietro, verso la miseria, il dolore, la morte e la distruzione. E lì
bisogna ragionare. Era soltanto il maoismo a creare in me questa delusione, o
era la constatazione, ormai così ovvia, che non è possibile creare un uomo
nuovo, che è sacrilega quest’idea?
La verità è che c’è una natura umana che non può essere combattuta. C’è una
natura umana che è individualista, che è egoista, e che non accetta questa
limitazione dei propri diritti, della propria libertà di espressione. Bisogna
riconoscerlo. Perché tu puoi dare a tutti la stessa ferrea ciotola di riso,
puoi dare a tutti lo stesso vestito, e tanti ci credono e tanti partecipano al
tuo progetto. Ma c’è sempre una parte che vuole due vestiti, due ciotole di
riso, e la libertà di fare quello che vuole. Questo però il comunismo lo nega
per cui crea una contraddizione che diventa omicida. Così si arriva alla violenza perché quelli che credono nel
sistema reprimono quelli che lo minano. Per questo ci sono stati i massacri di
Pol Pot, il gulag dei sovietici e i campi di lavoro dei cinesi.
FOLCO:
Vuoi dire che i pochi che hanno cercato di cambiare l’uomo erano tutti…
TIZIANO:
…assassini, grandi assassini. C’è qualcosa di sacrilego nell’idea di voler
creare l’uomo nuovo che è di tutti, tutti i rivoluzionari. Lenin, Stalin, Trosky,
Mao hanno tutti avuto questo stesso sogno. Ma l’uomo è quello che è, è il
frutto di un’evoluzione e non puoi fermare l’evoluzione, come non puoi fermare
l’acqua che scorre nel fiume… Lo vedi che cosa sono diventati? Banditi,
banditi! (Ride). Stanno facendo della Cina una seconda Taiwan, una brutta
imitazione di Hong Kong in cui tutti corrono per far soldi…
FOLCO:
Non servono le rivoluzioni?
TIZIANO:
E da qui il mio passo verso l’unica rivoluzione che serve, quella dentro di te.
Le altre le vedi. Le altre si ripetono, si ripetono in maniera costante, perché
al fondo c’è la natura dell’uomo. E se l’uomo non cambia, se l’uomo non fa
questo salto di qualità, se l’uomo non rinuncia alla violenza, al dominio della
materia, al profitto, all’interesse, tutto si ripete, si ripete, si ripete. (Il
Babbo riflette a lungo). Lentamente in Cina ebbi una reazione che fu questa:
invece di cercare l’uomo nuovo mi resi conto che c’era un uomo vecchio, cinese,
che era meraviglioso; e che quella era stata una cultura stupenda con una
grandezza e con una ricchezza che proprio mi colpivano. Allora mi sono messo in
cerca di quell’uomo vecchio, della meraviglia che era stata la vecchia Cina e
di quel che ne rimaneva.
(…) E
infine ho fatto la grande scoperta dei grilli.
FOLCO:
Infatti! Io della Cina mi ricordo soprattutto i grilli.
TIZIANO:
Si, voi eravate bambini. Era bellissimo! Tu pensa, un popolo che dedica il suo
tempo –Mao avrebbe detto che “spreca” il suo tempo, e in parte non aveva torto_
ad allevare i grilli fuori stagione per poter sentire d’inverno, quando fuori
nevica, la voce della primavera.. Perché il grillo dove sta? Sta al caldo, in
una piccola zucca vuota, che è la sua casa, nella tasca interna della tua
giacca. Il tappo è d’avorio intarsiato o a volte anche di giada, bellissimo.
Tutti
questi erano i divertimenti dei mancia. Di nuovo, la cosa che mi affascinava
era che i cinesi non prendevano la prima zucca dell’orto e la mettevano a
seccare. No! Quando la zucca veniva fuori dalla terra la mettevano in uno
stampo di argilla nelle cui due metà erano incisi dei simboli, così che la
zucca crescendo, premesse nei vuoti
dell’incisione e quando si aprivano le due metà lo stampo avesse
impresso sulla zucca i caratteri della lunga vita o della felicità. Ma te lo
immagini?
Alcune
zucche invece venivano fatte crescere in forme perfettissime su cui poi
venivano incisi con ferri infuocati paesaggi o scene di saggi nelle montagne.
Tu, questa zucca la tenevi nella giacca e nel freddo della notte, mentre
scrivevi una poesia o bevevi il tè nel tuo piccolo si he yuan, la tua casa col
cortile, sentivi il cri-criii del grillo che ci stava dentro. (…)
Noi
eravamo amici di Wang Shixiang, detto “Mobilia Ming Wang” perché era
l’unico ad
aver scritto sulla mobilia della dinastia Ming e l’unico ad aver scritto
sull’arte di allevare i grilli. Ho imparato tanto da lui: come
allevarli, cosa
era buono per loro,cosa non era buono. Andavamo a trovarlo nella sua
casa
fatiscente con un cortile pieno della spazzatura dei suoi inquilini
coatti. Lui
era un uomo di una cultura straordinaria e gli avevano messo in casa dei
caconi
del partito che venivano dalla provincia. Se ne sfottevano di lui e
della sua
cultura. Noi siamo stati di nuovo tra i primi che lo andavano a
trovare, che lo apprezzavano, e lui ci adorava e mi introdusse poi
all’altra grande passione che ebbi – e che non durò tanto perché dopo
fui arrestato- i piccioni. Avevamo un
piccolo allevamento di piccioni!
Tu
immagina una civiltà che è capace di pensare che se a un piccione gli leghi sulla
coda un fischio che, come puoi capire, deve essere leggerissimo o il piccione
non vola, quello emette un suono nell’aria. Se poi tu fai fischi di vario tipo
e ogni fischio è di per sé uno strumento musicale con tanti buchi, con tanti
suoni, e se tu hai tanti piccioni con tanti fischi tutti diversi, e lasci
questi piccioni liberi per l’aria, senti allora la musica dei pianeti –
wuuu!...Ma che grande civiltà! Quando tu scopri queste cose non puoi che ammirarla profondamente, e
capire come invece quel puzzone di Mao trovasse tutto questo orribile. Perché
erano tutti giochi che facevano i ricchi, i cittadini, non i contadini. Quelli
avevano poco da fischiare, fischiavano se avevano da mangiare. Ma io a tutta questa bellezza non
resistevo. Era più forte di me. Allora, quando sentivo che un vecchio in un
villaggio fuori Pechino aveva ricominciato a fare i fischi io –via! Partivo la
domenica con la macchina a cercarlo, per vedere i fischi che faceva. Erano stati proibiti e ora
ricominciavano a farli. Era il momento in cui le cose cambiavano. Ritornavano i
grilli, i fischi, i piccioni.
Ma
vedi, non ero giornalista, no? I miei colleghi la domenica magari andavano a
cena dall’ambasciatore, parlavano col segretario del partito; io invece andavo
ai mercati e, secondo me, alla fine ho capito più io della Cina, cioè la Cina
mi è venuta addosso di più. Per questo puoi capire che quando i cinesi mi hanno
cacciato mi hanno davvero punito, mi hanno tolto una grande gioia di cui solo l’India
mi ha poi ripagato…
(Tiziano
Terzani: “La fine è il mio inizio”, Longanesi 2006, pag.217 e seg.)
Fonte: http://sovrappopolazione.blogspot.it/2012/06/tiziano-terzani-distruggere-le-radici-e.html
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