Di Giorgio Ballario
Pare strano per un milanese “doc”, ma tutto iniziò a Torino. Più di
quarant’anni fa. La parabola del professor Mario Monti, da giovane e
promettente docente di Economia a presidente del Consiglio di un’Italia
commissariata e messa in svendita dalla finanza internazionale, prende
infatti le mosse dall’arrivo del ventisettenne economista alla facoltà
universitaria subalpina. Monti viene invitato dal suo “mentore” Onorato
Castellino, che successivamente sarebbe diventato preside di Economia e
Commercio e presidente della Compagnia di San Paolo, la potentissima
fondazione dell’omonimo istituto bancario. E fin dall’inizio già si
scorge una delle costanti della vita professionale del “nostro”: la
cooptazione. Uno strumento tipico delle élite di cui il professore ha
sempre usufruito in prima persona e che, a sua volta, ha usato per
tessere intorno a sé una fitta rete di rapporti umani e professionali.
Nella
Torino ancora “One Company Town” dei primissimi Anni Settanta, grigia e
operaia, agitata dagli ultimi riflessi dell’Autunno Caldo e scossa dai
primi vagiti del terrorismo rosso, il futuro premier si trova benissimo.
Non al punto, però, di trasferirsi in pianta stabile: sull’asse
Milano-Torino viaggia sobriamente in treno, in settimana trascorre le
sue giornate dividendosi tra le aule universitarie e lo studio del
professor Onorato, a due passi dalla facoltà di Economia, e va a dormire
(presto, si suppone) nel centralissimo Hotel Patria, un albergo di buon
livello ma tutt’altro che lussuoso. Monti, insomma, è già un uomo in
grigio. Ma non ancora un “grigiocrate”, per usare l’azzeccato neologismo
coniato da Augusto Grandi, Daniele Lazzeri e Andrea Marcigliano, gli
autori appunto del volume Il grigiocrate (edizioni FuoriOnda), biografia non autorizzata di Mario Monti, con la prefazione di Piero Sansonetti.
Ci
metterà un bel po’ a diventare da “grigio” a “grigiocrate”, ma intanto
nel corso dell’esperienza torinese Monti entra in contatto (e in
amicizia) con il gotha degli accademici subalpini, personaggi che poi
ritroverà nel suo iter professionale: Franco Reviglio, Giovanni Zanetti,
Mario Deaglio e la moglie di quest’ultimo, Elsa Fornero, che gli
studenti avevano soprannominato “Elsa la belva”. Ora anche gli italiani
hanno capito il perché.
Via elencando, gli autori ripercorrono la
lunga e proficua carriera di Mario Monti, decollata nel 1988 con la
nomina nel CdA Fiat: «La presenza di Monti nei consigli
d’amministrazione del gruppo torinese – scrivono Grandi, Lazzeri e
Marcigliano – coincide anche (nel senso che è una coincidenza) con
l’epoca delle tangenti pagate dalla Fiat ai politici. (…) Ma il problema
è un altro. Monti sapeva? Davvero poteva non sapere? Consigliere
silente e pure non vedente? (…) . D’altronde le vicende del professore
nostro si sono spesso incrociate con quelle di Giuliano Amato (un altro
della scuola torinese, ndr), il cosiddetto “dottor sottile”. Così
sottile, così acuto che, pur essendo stabilmente ai vertici del Psi, non
si era mai accorto di quanto gli stava succedendo intorno. Sarà per
questo che, prima Amato e poi Monti, non si sono accorti dei danni che
le loro rispettive politiche economiche provocavano all’Italia? E,
ovviamente, neppure si sono accorti dei vantaggi assicurati da entrambi
alla speculazione internazionale. Pure coincidenze operative».
Il
volume scritto dal trio per l’editore toscano FuoriOnda ha più di un
pregio: in primo luogo lo stile rapido, incisivo, giornalistico nel
senso migliore del termine. Cita le fonti, fa nomi e cognomi, scava nel
passato del Professore e soprattutto va a curiosare dietro le quinte. Ma
c’è un’altra qualità da sottolineare: Il grigiocrate è un
libro coraggioso, perché ha rotto il muro d’omertà che da novembre a
oggi ha contraddistinto la saggistica e l’informazione giornalistica su
tutto ciò che circonda il premier Monti. Lo spettacolo, diciamo la
verità, non è stato edificante. Sarà anche una conseguenza dell’orgia
(in tutti i sensi) berlusconiana, ma a partire dagli iniziali soffietti
sulla sobrietà dell’professore in loden è stato tutto un crescendo di
lodi sperticate all’uomo della Provvidenza bancaria. Un’informazione
dopata, ricca soprattutto di censure, omissioni, edulcorazioni,
infingimenti, riguardi, squilli di tromba e lingue felpate che ha
dimostrato una volta di più la lontananza della casta giornalistica dal
mondo reale e dagli umori dei lettori.
E se persino sui giornali
italiani è capitato di leggere qualche accenno agli scheletri
nell’armadio di Monti – dagli incarichi alla Goldman Sachs ai ruoli
dirigenziali delle note organizzazioni mondialiste Trilateral e
Bilderberg Club, fino al compito non troppo chiaro ricoperto per
l’agenzia di rating americana Moody’s – è solo perché la vera
controinformazione è circolata in Rete: sui blog, sui social network, su
decine e decine di siti indipendenti. E lì ci si rende conto fin da
subito quali sono le opinioni che prevalgono, fra la gente: basti dire
che digitando le parole “Mario” e “Monti” su Google, la prima parola
automaticamente associata dal motore di ricerca al nome del premier è
“massone”…
“Il grigiocrate” ripercorre anche i primi mesi del
governo Monti e sposa apertamente la tesi, che di recente sta trovando
sempre più adepti, secondo la quale il Professore non sarebbe affatto
stato chiamato per salvare un’Italia ormai sull’orlo del baratro, bensì
per affondarla definitivamente; salvaguardando però gli interessi di
quelle stesse élite da cui proviene e che ha sempre servito nel corso
della sua lunga e prestigiosa carriera di tecnocrate. Nel capitolo
intitolato «L’obiettivo non è il rilancio dell’Italia», Grandi, Lazzeri e
Marcigliano lo scrivono con chiarezza: «Non a caso, appena insediato
Monti, è cominciata la corsa ad accaparrarsi parti pregiate di
Finmeccanica, 70 mila dipendenti, rispettati nel mondo. Tutela
dell’italianità di aziende strategiche? Neanche a parlarne. Ce lo chiede
l’Europa. In realtà ce lo chiede la Francia, che alle aziende
strategiche altrui è sempre stata interessata. (…) Ovviamente è vietato
ricordare che Sarkozy aveva fatto ricorso a Mario Monti per la
commissione Attali, che avrebbe dovuto rilanciare l’economia
transalpina. Forse il rilancio francese passa attraverso Finmeccanica».
E via con gli altri esempi, che riproducono vent’anni dopo gli scenari emersi dal famoso vertice del 2 giugno 1992 sullo yacht Britannia,
quando una folta schiera di manager ed economisti italiani decise, in
compagnia dei banchieri inglesi, l’avvio delle privatizzazioni in
Italia. Che, com’è noto, furono il più grande saccheggio di beni
pubblici della storia repubblicana; avvenuto, proprio come capita
adesso, in occasione di un forte “vuoto” della politica.
Ma il
volume di Grandi, Lazzeri e Marcigliano ha anche un sottotitolo
interessante: «Nell’era dei mediocri». E in questo caso non ci si
riferisce certo al professor Monti né ai suoi collaboratori di governo. I
mediocri, grazie ai quali rischia di riuscire alla perfezione l’opera
di smantellamento dello Stato sociale, dell’industria strategica
nazionale e in definitiva della vendita a mo’ di spezzatino dei pezzi
pregiati del patrimonio italiano, sono in primo luogo i politici. Tutti,
dal Pd al Pdl, passando per la Lega, Di Pietro e Vendola: prima con la
loro incapacità gestionale e poi con il vile obiettivo di rimanere a
galla come un tappo di sughero, sono stati loro, infatti, a spalancare
le porte del governo all’uomo dei banchieri. E mediocri si sono
dimostrati i giornalisti che di Monti e dei suoi tecnocrati offrono un
ritratto agiografico, gli intellettuali che reggono loro bordone e in
generale un po’ tutti gli italiani, che si fanno andar bene un governo
salito al potere con metodi discutibili e che, come minimo, dimostra di
non voler tutelare gli interessi della nazione né dei suoi cittadini.
Naturalmente un libro come Il grigiocrate
non può trovar spazio sulla grande stampa nazionale, che infatti finora
l’ha ignorato. Paradossalmente il pamphlet è piaciuto di più a destra: Il Giornale ha scritto un articolo positivo, Libero l’ha citato in un fondo del direttore Belpietro, il Secolo d’Italia vi ha dedicato una pagina, ne hanno parlato diffusamente La Padania e il quotidiano online L’Occidentale,
recensioni sono apparse su molti siti internet, blog e pagine di
Facebook e Twitter e alcuni giornali locali. Silenzio invece da parte
delle testate antigovernative dell’area di centrosinistra. E anche dai
partiti ufficialmente critici con l’esecutivo Monti come Idv, Sel,
Rifondazione comunista. Ambienti politici che si sono scagliati contro i
tecnocrati legati all’alta finanza, contro i professori che usurpano il
primato della politica, contro la sospensione della democrazia, il
golpe bianco etc etc. Ma sul libro di Grandi, Lazzeri e Marcigliano
hanno contribuito a calare una cortina di silenzio.
Fonte:Fondo Magazine
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