Di Ricercatori Senza Padroni
Il 2 agosto 1990, nel corso di una seduta della Camera dei Deputati
dedicata alla strage della stazione di Bologna, il Presidente del
Consiglio Giulio Andreotti accettò un ordine del giorno presentato dai
deputati Quercini, Tortorella, Violante ed altri con il quale
s’impegnava il Governo ad informare il Parlamento entro 60 giorni in
ordine "all’esistenza, alle caratteristiche e alle finalità di una
struttura parallela e occulta che avrebbe operato all'interno del nostro
servizio segreto militare con finalità di condizionamento della vita
politica del Paese".
Avendo il Presidente del Consiglio fatto presente l'opportunità di far
pervenire le informazioni richieste ad una sede più riservata, i
presentatori dell'ordine del giorno, accettarono che fosse la
Commissione d’inchiesta sul terrorismo e le stragi a ricevere la
documentazione promessa dal Governo. Il giorno seguente, 3 agosto 1990,
il Presidente del Consiglio fu ascoltato dalla Commissione parlamentare
d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata
individuazione dei responsabili delle stragi e, nel confermare l'impegno
assunto alla Camera, dichiarò: "Mi riservo di presentare alla
Commissione una relazione molto precisa che ho pregato lo Stato maggiore
di predisporre. Si tratta di quelle attività che, sul modello NATO,
erano state messe in atto per l'ipotesi di un attacco e di
un'occupazione dell'Italia. Sulla base di quanto mi è stato riferito dai
servizi, tali attività sono proseguite fino al 1972, dopodiché si è
ritenuto che non ve ne fosse più bisogno. Sia sul problema in generale,
sia sullo specifico accertamento fatto in occasione dell'inchiesta sulla
strage di Peteano da parte del giudice Casson, fornirò alla Commissione
tutta la documentazione necessaria”.
Il 18 ottobre 1990 il Presidente del Consiglio inviò alla Commissione il
documento promesso, intitolato: "Il cosiddetto SID parallelo il caso
Gladio".
Si apprendeva così che le attività che il Presidente del Consiglio
riteneva abbandonate nel 1972, continuavano ancora. Nella seduta del
15/11/'90, la Commissione decise di includere Gladio nelle vicende su
cui stava indagando.
Il Senato ha approvato il 24 gennaio 1991 una modifica della legge
istitutiva della Commissione così da includere Gladio nei suoi compiti
d’inchiesta.
Il provvedimento è tuttora giacente presso la Camera dei deputati.
Nel documento del Presidente del Consiglio del 18 ottobre 1990 si fa
risalire al 26 novembre 1956 la nascita della rete clandestina Gladio.
In realtà, in quella data, il SIFAR e la CIA procedettero ad una
"rielaborazione (restatement) degli accordi fra il Servizio informazioni
italiano e il Servizio informazioni USA relativi all’organizzazione e
all’attività della rete clandestina post occupazione (Stay Behind)
italo-statunitense". Questi accordi risalivano a molto prima, al
1951-1952.
L'8 ottobre 1951, infatti, il generale Umberto Broccoli, direttore del
Servizio (e non il generale Musco, come scritto dall'On. Andreotti)
inviò al generale Efisio Marras, capo di S.M. Difesa, un promemoria dal
titolo: "Organizzazione informativa operativa nel territorio nazionale
suscettibile di occupazione Nemica". Secondo il direttore del SIFAR,
occorreva far sì che in caso di occupazione del territorio nazionale già
fosse predisposta una rete di resistenza capace di fornire
informazioni, sabotare gli impianti dell'occupante e fornire assistenza
ai militari rimasti dietro le linee. Se non lo avessero fatto gli
italiani, c'era il rischio che fossero gli americani a impiantare
nell'Italia del Nord gruppi clandestini. "Si tratta - scriveva il
generale Broccoli - di predisposizioni complesse, costose, lunghe e
perciò urgenti". Già l'Inghilterra aveva organizzato strutture simili
non solo nel suo territorio, ma anche in Olanda e Belgio. E la Francia
aveva fatto lo stesso nei territori tedesco e austriaco, con
ramificazioni nella Germania Orientale e in Polonia.
Andava previsto l'arruolamento di personale che "per età, sesso ed
occupazione, abbia buone possibilità di sfuggire all'internamento o alla
deportazione da parte del nemico".
Il direttore del SIFAR chiedeva di essere autorizzato a individuare
sette ufficiali da inviare immediatamente presso la "training division"
dell'Intelligence Service per esservi addestrati. I corsi in Inghilterra
erano già stati prenotati e sarebbero cominciati il 15 /11/1951 per
concludersi il 12/2/1952. Subito dopo uno di questi ufficiali sarebbe
divenuto coordinatore generale della rete, gli altri 6 avrebbero diretto
le 6 branche operative: informazione, sabotaggio, propaganda,
comunicazione, esfiltrazione. I sei avrebbero dovuto reclutare, con
l'aiuto degli organi periferici del SIFAR, i rispettivi "capi rete" e
gli "agenti", fino a raggiungere un massimo di 200 unità.
Si prevedeva di completare l'addestramento di questi 200 uomini in un anno.
La rete, in sostanza, avrebbe dovuto essere pronta all'inizio del 1953.
Il generale Broccoli informava poi il generale Marras che di questa
"necessita" di dar vita alla rete di resistenza clandestina aveva
parlato, fin dal luglio 1951, con i capi dei tre SIOS (i servizi segreti
delle tre armi, esercito, marina ed aeronautica) e con i capi di S.M.
della Marina e dell'Aeronautica, e aggiungeva che aveva chiesto loro di
fornirgli ufficiali capaci di assumere gli incarichi previsti.
Come "coordinatore" fu "chiesto" il Col. pilota Santini, che in quel
momento era capo del SIOS-Aeronautica. Come "direttori" furono
richiesti: il ten. Col. Tessitore, capo dell'Ufficio O del SIFAR; il
ten. Col. Garofalo del SIFAR; il maggiore Autino del SIFAR e altri
ufficiali a livello di colonnelli o maggiori per le varie
specializzazioni.
Nonostante la collaborazione avviata con il servizio inglese, il
generale Broccoli fece presente che sarebbe stato meglio legarsi con
quello statunitense, accettando dal servizio inglese solo "un contributo
limitato nel tempo e nella misura".
Come si vede la rete clandestina di resistenza o, quanto meno, la sua
predisposizione, prese avvio nel 1951. Era previsto che assumessero la
direzione della rete alti ufficiali del SIFAR e delle Forze Armate. Lo
stesso direttore del Servizio si impegnava in prima persona, presiedendo
un "comitato segreto" formato dal "coordinatore", dai rappresentanti
degli "uffici operazioni" delle tre forze armate, dal rappresentante
della CIA e, quando occorreva, da un rappresentante del Comando
Sud-Europa della NATO.
Per comprendere gli avvenimenti di questa ricerca, occorre tener
presente che la politica di sicurezza italiana nel dopoguerra ha sempre
avuto due referenti esterni privilegiati: la NATO e gli Stati Uniti, in
forte interazione.
Per quanto riguarda il primo, il 4 aprile 1949 il Governo italiano,
assieme a quelli di altri undici paesi, firmò a Washington il Trattato
Nord Atlantico.
Si trattava di un'alleanza finalizzata principalmente alla "difesa
collettiva" ed al "mantenimento della pace e della sicurezza"
(preambolo).
Dei quattordici articoli che ne formano il testo, quattro rivestono
un'importanza decisiva per inquadrare i modi in cui tale difesa
collettiva si sarebbe concretizzata:il 3, il 5, il 9 e l'11.
Dopo l'entrata in vigore del Trattato (24 agosto 1949), tramite
l'istituzione delle strutture di supporto dell'organizzazione, prese
forma la NATO (North Atlantic Treaty Organization).
Il 1951, l'anno dopo lo scoppio della guerra di Corea, segno' un periodo
di massimo attivismo per l'Alleanza. In primavera entrò in funzione il
comando alleato in Europa, sotto la guida del generale Dwight
Eisenhower, mentre il contingente americano in Germania venne rinforzato
e iniziarono le trattative diplomatiche che avrebbero portato, di li' a
qualche anno, all'ingresso della Germania nella NATO; alla fine
dell'anno venne decisa anche l'ammissione di Grecia e Turchia
nell'Alleanza, ammissione formalizzata nel febbraio 1952.
Ad Eisenhower furono affidate divisioni provenienti da molti paesi
dell'Alleanza, tra cui l'Italia. Le truppe rimanevano sotto la
responsabilità dei comandi militari nazionali con intesa che, in caso di
guerra, tale responsabilità sarebbe stata affidata al Comandante
supremo delle forze alleate in Europa; era prevista l'autorizzazione
parlamentare nel caso in cui le truppe fossero impegnate in missioni
oltre i confini nazionali.
Nel giugno 1951 i dodici paesi firmarono a Londra la Convenzione sullo
statuto delle forze armate della NATO di servizio in paesi diversi da
quello d'origine, in agosto il protocollo aggiuntivo di Parigi sullo
status dei quartieri militari internazionali NATO (entrambi ratificati
dall'Italia nel novembre 1955) e in settembre, in occasione della
riunione del Consiglio atlantico di Ottawa, settembre 1951), il
Presidente del Consiglio italiano Alcide De Gasperi sollevò la questione
della contro propaganda o guerra psicologica, che sarebbe stata poi
variamente ripresa in successive sedute del Consiglio. Si trattava,
negli intenti italiani, di svolgere un'azione coordinata di propaganda
anticomunista nei paesi dell'alleanza (e, eventualmente, nei paesi del
blocco sovietico).
La proposta fu accantonata per diversi motivi, non comparabilità della
situazione politica interna dei vari paesi e volontà di concentrarsi su
una propaganda positiva a favore del Patto, piuttosto che su una
propaganda negativa nei confronti delle forze comuniste. Le iniziative
connesse con la contro propaganda vennero relegate entro rapporti
bilaterali.
Sembra comunque accertata l'esistenza di riunioni tenute a Londra tra i
capi dei servizi di informazione dei paesi aderenti al Patto atlantico,
cui avrebbe partecipato anche una delegazione italiana, fin dall'aprile
1951. Anche in tale sede sarebbe stata proposta dagli italiani
"l'adozione di una comune politica occidentale della propaganda".
La questione della propaganda comunista sollevava non poche perplessità
di carattere costituzionale. Interrogato dal Ministero degli Affari
esteri in merito all'opportunità di intraprendere un'azione governativa
di questo tipo, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Marras,
scriveva ad esempio nel 1953 che "in linea generale l'azione che i
Governi possono svolgere nell'ambito della lotta anticomunista e
infirmata dal riconoscimento legale dei rispettivi paesi di un partito
comunista"; rilevava quindi "la contraddizione tra il riconoscere
legalmente da un lato e il combattere - come Governo, non come partito -
dall'altro". Affidare tale contro propaganda ad un partito, si sarebbe
d'altronde rilevato pericoloso per la difficoltà di "scindere
l'interesse di parte da quello superiore anticomunista".
La lotta, concludeva quindi il capo di S. M. della Difesa, “dovrebbe
essere assunta da un movimento anti anarchico e anticomunista che, sotto
il coordinamento e l'aiuto NATO, operi attivamente nei singoli paesi
con la fisionomia di movimento nazionale”.
Questo memorandum del generale Marras, era stato redatto su
sollecitazione del Ministero degli Affari Esteri per rispondere al
desiderio di Jean Paul David (organizzatore del movimento francese Paix
et Libertè in visita in Italia) di avere notizie circa la possibilità di
costituire un movimento di analoga natura in Italia.
Per quanto riguarda invece il rapporto bilaterale dell'Italia con gli
Stati Uniti nel campo della sicurezza, esso si attuò entro coordinate
elaborate principalmente negli Stati Uniti.
L'Italia rappresentava, politicamente, una pedina importante nella
strategia americana di rafforzamento del blocco antisovietico; perciò
era importante che il paese non "cadesse sotto la dominazione comunista"
e, nel caso ciò succedesse, era opportuno aver già predisposte misure
da attuare con urgenza ed efficacia. Da questa esigenza nacque una serie
di direttive emanate dal National Security Council e da organi di tipo
consultivo che gli vennero affiancati nel corso degli anni, che
riguardavano:
1. la lotta contro l’anarchia e il comunismo in Italia;
2. la lotta contro l’anarchia e il comunismo nel mondo, nei paesi del
blocco sovietico e in occidente (e, in quest'ultima accezione, anche in
Italia).
Ma anche militarmente l'Italia rappresentava un teatro strategico
importante per difendere l'Europa nel caso di scoppio di un conflitto
globale. Sotto quest’aspetto era necessario:
1. non reprimerne la rinascita militare (attraverso la progressiva
revisione del trattato di pace e l'attribuzione di generosi aiuti
militari);
2. installare delle basi militari sul suo territorio.
La responsabilità di mettere in pratica le direttive che riguardavano il
primo campo ricadeva principalmente sul Dipartimento di Stato e la CIA,
attraverso i rispettivi rappresentanti nel territorio italiano il cui
lavoro era coordinato, nella maggior parte dei casi, dall'ambasciatore
americano stesso. La responsabilità delle attività appartenenti al
secondo campo, quello più propriamente militare, ricadeva invece su
varie agenzie: per quanto riguarda il punto 1 sul Dipartimento della
Difesa, e sui Joint Chiefs of Staff per il punto 2.
Per quanto riguarda la lotta contro l’anarchia e il comunismo italiano e
le direttive dell’NSC emanate su questo tema, i documenti cui va fatto
riferimento per gli anni ’50 sono noti, perché pubblicati nella raccolta
Foreign Relations of the United States o perché rintracciabili nei
fondi relativi al National Security Council stesso.
Il valore dei documenti è però sensibilmente indebolito dal fatto che
quasi tutti presentano delle censure dovute a motivi di sicurezza, fatte
al momento della declassificazione del documento, che rischiano di
indurre ad una lettura falsata.
I primi documenti relativi all'Italia appartengono alla serie NSC1, con
cui si inaugurò l'attività dell'NSC, e vennero redatti in collegamento
al ritiro delle forze d'occupazione americane dalla penisola e in vista
delle elezioni politiche del 1948.
Fu addirittura la paura della possibilità della presa di potere da parte
dei comunisti in Italia a portare alla creazione dell'Office of
Politicy Coordinator, che dava alla CIA la possibilità di intraprendere
operazioni politiche, propagandistiche e paramilitari segrete.
Il Presidente degli Stati Uniti approvò il 15 marzo 1948 la NSC 1/2 (del
10/02/1948) attinente alla posizione americana di fronte ad una presa
di potere comunista con mezzi illegali (attacco esterno o insurrezione
interna sponsorizzata dall'Unione Sovietica) e la SNC 1/3
(dell’8/03/1948) riguardante la "posizione degli Stati Uniti nei
confronti dell'Italia alla luce della possibilità di una partecipazione
comunista al Governo attraverso mezzi legali".
Gli Stati Uniti avrebbero dovuto astenersi dal partecipare ad un
conflitto civile di natura interna. Nel caso di una presa del potere
violenta, l'intervento americano, tuttavia, avrebbe potuto assumere
delle caratteristiche militari:"Deploy forces to Sicily or Sardinia or
both, with the consent of the legal Italian government and after
consultation with the British, in strenght sufficient to occupy those
islands against indigenous Communist opposition as soon as the position
of the Communist in Italy indicates that an illegal Communist-dominated
government will control all of the peninsula of Italy". Tale azione era
comunque subordinata, secondo le indicazioni dello stesso documento,
all'insindacabile giudizio militare dei JCS e questi ultimi,
interpellati sulla questione a pochi giorni di distanza dalla stesura di
questo documento, definirono non solo pericoloso, ma irrealistico il
suggerimento di ricorrere alla forza.
Nella versione successiva (NSC 1/3), l'intervento in caso di una
conquista del potere da parte comunista con mezzi legali era affrontato
con maggior cautela.
S’insisteva soprattutto sulle disposizioni preventive (alcune delle
quali, come la dichiarazione tripartita su Trieste, furono
effettivamente attuate) e si descrivevano le differenti misure di
mobilitazioni militare e rafforzamento delle forze di stanza nel
Mediterraneo da prendere in caso di partecipazione o controllo totale
del governo da parte dei comunisti, ma non si prevedeva un intervento
militare diretto.
I documenti della serie NSC 1 vennero sostituiti, a partire dall'aprile
1950, con quelli della serie NSC 67; l'ultima versione, l'NSC 67/3,
redatta dal National Security Council il 5 gennaio 1951, venne infine
approvata dal Presidente degli Stati Uniti l'11 dello stesso mese. Si
trattava di una sintesi delle ipotesi previste dal NSC 1/2 e NSC 1/3 con
una leggera limitazione poiché l'attacco esterno all'Italia, ricadeva
ora nella responsabilità della NATO.
Il documento trattava quindi delle misure preventive e, eventualmente,
punitive da adottarsi in caso d’insurrezione interna appoggiata
dall'esterno o di partecipazione del partito comunista al governo con
mezzi legali. Fra le misure preventive è da notare il suggerimento,
messo in pratica alcuni mesi più tardi (Dichiarazione
anglo-franco-americana del 26 settembre 1951), di avviare le procedure
per una revisione informale del Trattato di Pace, specialmente di quelle
parti che imponevano dei limiti sulla qualità e la quantità delle forze
armate nazionali.
Le misure punitive in caso di insurrezione interna erano volutamente
lasciate nel vago (gli stessi JCS avevano insistito su questo punto); si
auspicava infatti di "make such use of US military power as may at the
time be appropriate to prevent Italy from falling under communist
domination".
Un’ulteriore clausola specificava che ciò sarebbe stato attuato in ogni
caso con il consenso del governo italiano e secondo le direttive
elaborate nell'occasione dai JCS. Ancora più vaghe apparivano le misure
da prendere nel caso i comunisti fossero giunti al potere con mezzi
legali: “The United States should initiate measures - si legge nel testo
- (CENSURA) designed to prevent communist domination and to revive
Italian determination to oppose communism”.
Queste direttive rimasero immutate durante il primo anno della nuova amministrazione Eisenhower.
Nell'aprile 1954, l'NSC 67/3 venne sostituita dall'NSC 5411/2: il
documento si differenziava da quelli dell'amministrazione precedente per
l'insistenza sull'importanza strategica della penisola nell'ambito
della NATO, definita a "pivotal geographic location".
Il documento analizzava i successi del sostegno americano alla rinascita
economica italiana e il parallelo fallimento della politica
anticomunista.
Il miglioramento della situazione economica non aveva funzionato come
antidoto all'affermazione dei socialcomunisti (come dimostravano i
risultati elettorali del 1953); l'anticomunismo dei governi succedutisi
in Italia, non era stato efficace e la campagna di pace sovietica aveva
rafforzato la popolarità dei partiti di sinistra. Inoltre, i governi
succedutisi dopo le elezioni politiche del 1953 avevano dato prova di
grande instabilità.
L'NSC auspicava per l'Italia un governo costituzionale democratico,
sorretto da una florida situazione economica. L'ipotesi di un governo
autoritario di destra, anche se definita preferibile a quella di un
governo di sinistra, non era prospettata come uno scenario desiderabile.
Venendo alle tradizionali ipotesi previste in merito ad una presa di
potere comunista (attacco esterno, insurrezione interna sorretta da un
appoggio sovietico, mezzi legali), la versione disponibile del documento
è pesantemente censurata; in essa non appare dunque alcun riferimento
alle ultime due ipotesi e, nel caso della prima, il riferimento va, come
già nel NSC 67/3, alla garanzia fornita dal Trattato Nord-Atlantico.
Non è dato sapere quindi cosa sarebbe successo nelle altre due ipotesi.
Si arriva cosi all'NSC 6014 del 16 agosto 1960 in cui la parte analitica
era approfondita ulteriormente secondo le linee già tracciate dall'NSC
5411/2.
Il documento rilevava, ancora una volta, come, a partire dalle elezioni
del 1953, l'instabilità politica di governo fosse stata accentuata dalle
spaccature interne al partito di maggioranza, dall'incapacità di
formare coalizioni di governo durature e dalla differenza di opinioni
esistenti nelle varie forze democratiche sulla credibilità di una
partecipazione socialista al governo. Per questo si auspicava l'appoggio
all'evoluzione del PSI verso posizioni autonome rispetto al PCI e
filo-occidentali.
Finché tale cambiamento non fosse stato palese, l'influenza del PSI
sulla politica estera e sulla politica di difesa doveva essere
contrastata.
Sebbene, come era stato dichiarato nell'NSC 5411/2, un regime
autoritario sarebbe stato meno pericoloso nel breve periodo per gli
interessi della politica estera americana, nel lungo periodo avrebbe
avuto un effetto deleterio, aggravando le frizioni interne e rafforzando
in ultima analisi lo stesso partito comunista.
Per quanto riguarda la parte punitiva, la censura impedisce anche in
questo caso di valutare appieno il significato del documento.
Non e' chiaro infatti se le misure prese in considerazione per
contrastare l'avvento con mezzi legali o illegali del PCI al governo
fossero solo di tipo non militare (come appare dal testo) o non
comprendessero invece altri tipi di interventi (eventualmente
censurati). Va comunque sottolineato che una versione aggiornata dello
stesso documento (NSC 6014/1 del 19 gennaio 1961) escludeva l'ipotesi di
azioni militari in questa circostanza a meno che esse non fossero
attuate di concerto con altri alleati europei. La lettura dei documenti
attinenti l'Italia negli anni Cinquanta sembra dunque screditare
l'ipotesi di un intervento militare diretto americano automatico in caso
di avvento del PCI al governo con mezzi legali o illegali. Per chiarire
definitivamente questo punto occorrerebbe vedere anche le parti
censurate dei documenti. Comunque bisogna rifarsi alle tattiche
elaborate fin dal 1948 dallo stesso NSC per fronteggiare il pericolo
comunista a livello mondiale.
Si trattava di quelle che vennero definite "covert operations" nella
direttiva NSC 10/2 del 18 giugno 1948: erano delle misure che avrebbero
affiancato le attività all'estero di carattere pubblico e per le quali, a
differenza di queste, non doveva essere possibile risalire alla
responsabilità del governo americano. Si trattava, cioè, di operazioni
legali e illegali di cui il Governo avrebbe avuto la paternità, ma non
avrebbe assunto la responsabilità.
La tipologia di queste operazioni era assai vasta. Si trattava di
"propaganda, economic warfare; preventive direct action, including
sabotage, anti-sabotage, demolition and evacuation measures; subversion
against hostile states, including assistance to underground resistance
movements, guerrillas and refugee liberations groups, and support of
indigenous anti-communist elements in threatened countries of the free
word".
"Such operations - specificava il documento - shall non include armed
conflict by recognized military forces, espionage, counterespionage, and
cover and deception for military operations". Responsabile di questo
tipo di operazioni sarebbe stata una nuova branca della CIA, l'Office of
Special Projects; solo in caso di guerra, o quando il Presidente degli
Stati Uniti lo avesse richiesto, i piani per le covert operations
sarebbero stati coordinati con i Joint Chiefs of Staff.
Ciò significa che la CIA godeva, in questo campo, della massima discrezionalità.
Questa direttiva, modificata secondo termini che rimangono sconosciuti
(NSC 10/5 non rinvenuta), rimase in vigore fino al marzo 1954, quando fu
approvato un nuovo documento riguardante le covert operations che, nel
frattempo, erano diventate un cavallo di battaglia della nuova
amministrazione Eisenhower.
Le attività nelle aree dominate o minacciate dal comunismo
internazionale venivano in questo documento specificate con chiarezza (e
senza censure).
Si trattava di "develop underground resistance and facilitate covert and
guerrilla operations and ensure availability of those forces in the
event of war, including wherever practicable provisions of a base upon
which the military may expand these forces in time of war within active
theaters of operations as well as provision for stay behind assets and
escape and evasion facilities".
La novità del documento non consisteva solo nel prevedere la creazione
di "stay-behind assets" poggianti su basi costituite nei vari paesi fin
dal tempo di pace per attivarle in tempo di guerra, ma anche nel
prevedere la collaborazione fra CIA e militari non solo in caso di
conflitto (come risultava dal documento precedente). Questo aspetto
venne ulteriormente chiarito in una revisione dell'NSC 5412, ovvero
l'NSC 5412/2 del 28 dicembre 1955, in cui si prospettava la necessita'
per la CIA di avvisare il Dipartimento di Stato, il Dipartimento della
Difesa, nonché un rappresentante dello stesso Presidente riguardo alle
attività intraprese sotto il titolo di covert operations. La
discrezionalità della CIA era cioè fortemente ridotta e la
corresponsabilità degli organi consultati parallelamente accresciuta.
Il punto chiave della collaborazione fra CIA e militari era la
disponibilità delle basi di appoggio per le attività clandestine da
attuarsi in territori comunisti o minacciati dal comunismo. L'Italia
ricadeva in quest'ultima categoria. La disponibilità di basi in un
territorio straniero comportava, naturalmente, per la CIA, dei problemi
politico-giuridici che essa non avrebbe potuto risolvere senza l'aiuto
dei militari.
Le basi rappresentavano quindi il luogo in cui gli interessi della CIA e
gli interessi dei militari venivano a convergere. Si è visto quali
fossero quelli della CIA.
Vediamo quali erano quelli dei militari. L'interesse dei militari
americani per la penisola in quanto teatro strategico fu sempre
accentuato. L'Italia era importante sotto tre aspetti:
1. Come base di riferimento e di eventuale ripiegamento per le forze
americane di stanza in centro-Europa che non avessero potuto ritirarsi
attraverso i porti predisposti in Germania e Francia;
2. Come base stabile o base di rifornimento per i bombardieri strategici
americani capaci di colpire aree ad alta densità industriale
dell'Unione Sovietica;
3. Come via per rientrare in Europa, attraverso delle teste di ponte da
mantenersi in Sicilia, in Sardegna e, possibilmente, in tutta l'Italia
del sud.
Fonte: Indymedia
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