Da Comidad
Era scontato che il grillismo conquistasse il centro dell'arena
mediatica proprio nel momento in cui esso è diventato marginale rispetto
alla questione dei veri equilibri del potere coloniale che domina
sull'Italia. Venti anni fa Beppe Grillo nei suoi spettacoli parlava
dello strapotere e degli abusi delle multinazionali; poi, mangiato vivo
dalle cause civili per danni di immagine intentategli dalle stesse
multinazionali, Grillo ha progressivamente spostato la sua polemica sui
partiti, cioè sul nulla. In democrazia la libertà di parola è
strettamente condizionata alla sua ininfluenza; quando invece si parla
in televisione, allora nominare una multinazionale può mandarti sul
lastrico.
Strano poi che l'emergenza dell'antipolitica venga associata alla figura
di Grillo, quando alla Presidenza del Consiglio vi è un ex advisor di
Goldman Sachs e del Consiglio Atlantico della NATO. Mario Monti
rappresenta infatti la personificazione di quell'intreccio tra
militarismo e finanza che è alla base del colonialismo.
In un'intervista al "Corriere della Sera", Claudio Costamagna, un ex di
Goldman Sachs, ha gridato al complottismo per l'allarme che hanno
causato i precedenti di Monti. Secondo Costamagna, quella di Monti era
una semplice funzione di consulente, ed il meschino non aveva neppure un
ufficio a Goldman Sachs, magari si sedeva pure per terra; è la linea di
Goldman Sachs quella di assicurarsi la consulenza dei più competenti, e
questi danno il loro contributo disinteressatamente, per la pura
soddisfazione morale di condurre Goldman Sachs per i retti sentieri. [1]
Insomma, anche Monti sarebbe una vittima del pregiudizio e dell'invidia
sociale, quasi a confermare che il governo Monti si pone, anche sul
piano del vittimismo, in continuità con Berlusconi. Nella sua conferenza
del 30 aprile, Monti ha rivendicato una sorta di rottura con il
berlusconismo, di fatto da lui appoggiato negli anni scorsi, in veste di
opinionista dalle colonne del "Corriere della Sera". Ma non basta
questa polemica strumentale dell'ultim'ora per poter negare che il
governo Monti non sia altro che la prosecuzione del berlusconismo con
altri mezzi.
Berlusconi è stato un'icona grottesca del vittimismo padronale, del "se
mi lasciaste fare, allora vedreste". Ma, a ben vedere, anche il
liberismo, di cui Monti è ideologo ed alfiere, non è affatto una
dottrina economica, bensì la retorica vittimistica del ricco incompreso,
sempre avviluppato nei lacci e lacciuoli dell'invidia sociale,
soffocato dal parassitismo dei poveri che gli impedirebbero di muoversi.
Sul piano ideologico il liberismo è il lamento del ricco che si sente
perseguitato, mentre sul piano pratico il liberismo non significa
concorrenza e libero mercato (che non esistono), ma soccorso ai ricchi
contro la "minaccia" costituita dai poveri.
Il liberismo non è un vero antistatalismo, ma un alibi propagandistico
per riconvertire la spesa pubblica e previdenziale in assistenzialismo
per ricchi. Del tutto normale perciò che Elsa Cuornero si riveli la
ministra del Welfare per Banchieri. Che i pensionati siano obbligati ad
aprire un conto corrente e che i precari vengano vincolati ad una carta
di credito, sono fatti che rientrano nella regola aurea del capitalismo,
secondo la quale sono i poveri a dover dare l'elemosina ai ricchi.
Il fenomeno Monti ha le stesse motivazioni del fenomeno Berlusconi: la
marginalizzazione della mediazione politica e della funzione di governo,
che, con le privatizzazioni, sono state private della possibilità
materiale di contare qualcosa, riducendosi a lobbismo, o ad agenzia di
guerra psicologica contro i poveri. Non solo le provocazioni antioperaie
della Cuornero sono risultate in totale continuità con quelle del suo
predecessore Sacconi, ma c'è di simile anche quella compiaciuta
esibizione di cialtroneria che ha lo scopo di avvilire maggiormente gli
animi. Non ci si aspettava certo che i ministri tecnici possedessero
davvero anche solo una minima parte delle competenze che sono state loro
attribuite, eppure l'inconsistenza di questi personaggi ha qualcosa di
surreale.
Nel ricevimento al Quirinale del Primo Maggio, la ministra Cuornero ha
elencato i dati appena sfornati dall'ISTAT, per rivelarci che la
disoccupazione giovanile è in aumento e che le donne sono le più
penalizzate dalla mancanza di occupazione; e, infine, non poteva mancare
nella rassegna l'alibi eterno e onnicomprensivo del sottosviluppo
meridionale, con la terribile notizia che la crisi colpisce più al Sud
che al Nord. Tutta questa fiera della banalità presentata come se fosse
l'Oracolo di Delfi; se non ci fosse il fuoco di sbarramento della stampa
calabrache, si dovrebbe ammettere che persino il Trota farebbe la sua
brillante figura in un simile consesso.
Anche quaranta anni fa i ministri esibivano il proprio squallore e
rimediavano le loro brave figuracce, ma questo non sembrava essere il
loro unico mestiere. Ancora venti anni fa il ministero del Tesoro poteva
incidere sull'economia poiché, ad esempio, possedeva una sua banca -
piuttosto consistente - la Banca Nazionale del Lavoro, la cui
privatizzazione fu avviata addirittura dal governo Ciampi. Dopo varie
vicissitudini, la BNL è stata acquisita nel 2006 dalla multinazionale
francese BNP Paribas. Sul sito dell'attuale BNL si plaude euforicamente
alla scomparsa definitiva dello "Stato Banchiere". [2]
La privatizzazione della BNL non ha risposto a nessuna logica economica,
poiché lo Stato non vi ha guadagnato nulla; anzi, invece di rendere, le
privatizzazioni si dimostrano costose per l'erario, dato che alla fine,
per poter cedere una sua proprietà, lo Stato deve sempre assistere
finanziariamente il privato che l'acquisisce. Eppure la privatizzazione
della BNL è stata un grosso affare sia per chi l'ha acquisita, sia per i
lobbisti interni alle Istituzioni che l'hanno favorita.
Affari ed economia sono cose ben distinte e spesso separate: più un
affare è antieconomico, più risulta lucroso per gli affaristi, come nel
caso del tunnel TAV, ma anche nel caso della politica depressiva dei
tagli di bilancio. Numerosi economisti hanno rilevato la evidente
antieconomicità di questi provvedimenti di austerità finanziaria; ma,
mentre l'economia è un gioco di equilibri, al contrario il business può
alimentarsi e giovarsi degli squilibri sociali.
Ciò che Naomi Klein chiama "Shock Economy" non è altro che il caro
vecchio business della povertà, già teorizzato da Mandeville agli inizi
del XVIII secolo. I poveri sono la principale materia prima degli
affari. Basti pensare al nesso tra finanziarizzazione e migrazione: il
migrante è sempre dipendente dal sistema finanziario, sia nel momento in
cui contrae il debito che dovrà ripagare per anni andando a lavorare
all'estero, sia quando dovrà passare per i circuiti finanziari per
spedire soldi a casa.
Come teorico del capitalismo, Mandeville aveva il torto di essere troppo
chiaro ed esplicito, perciò venne relegato nel dimenticatoio, lasciando
spazio alle arti retoriche e fumogene di un Adam Smith, capace di
mescolare abilmente verità e mitologie in modo da confondere le acque.
Gli schemi retorici di Adam Smith non sono affatto archeologia della
propaganda: Smith denunciava i crimini delle compagnie commerciali, ma,
al tempo stesso, raccomandava proprio i provvedimenti che avrebbero
fatto più comodo alle compagnie commerciali. Pare esattamente ciò che
avviene oggi con le banche, condannate in astratto, ma poi difese punto
per punto nelle scelte concrete; a cominciare dalla proposta del denaro
elettronico, i cui vantaggi per il fisco sono del tutto ipotetici e
astratti, mentre risultano evidenti e concreti i benefici per le banche.
La politica ha smarrito il suo ruolo di mediazione sociale non perché
gestisca troppo denaro, ma perché ormai, a causa delle privatizzazioni,
ne gestisce troppo poco. Non sono la stessa cosa il fatto che in passato
il governo controllasse delle banche, oppure il fatto che oggi i
partiti stiano nei consigli di amministrazione delle banche: nel primo
caso i partiti andavano a gestire un potere diretto, mentre nel secondo
caso i politici assumono un ruolo di lobbisti delle banche. La politica
povera è la politica che non conta nulla, cioè una semplice area di
reclutamento del lobbying.
Carisma, organizzazione, consenso sono spesso solo pseudonimi del
denaro. Strano che persino la Chiesa Cattolica sia d'accordo a riguardo.
Nel medioevo la Chiesa Cattolica condannava per eresia non chi
praticava la povertà (come Francesco d'Assisi), bensì coloro che
invocavano una Chiesa povera. A questi eretici la gerarchia
ecclesiastica replicava che una Chiesa povera avrebbe potuto lanciare
precetti morali, ma non avrebbe avuto alcun potere reale.
Per non rimanere in una visione astratta della politica, occorre
contestualizzare questo progressivo arretramento dello Stato banchiere
ed imprenditore. Il processo non è cominciato venti anni fa con il
famoso convegno del panfilo Britannia, ma molto prima. La sconfitta
dell'Unione Sovietica nella guerra fredda va infatti retrodatata di
almeno di sette o otto anni.
Nel 1981 ci veniva raccontato che in Afghanistan gli eroici mujaheddin
contrastavano l'invasione sovietica volontaristicamente, con cariche di
cavalleria e vecchi fucili. Nell'epoca di internet sono bastate poche
settimane perché almeno una minoranza venisse a conoscenza del fatto che
la "rivoluzione libica" è stata tutta una mistificazione della NATO.
Negli anni '80 invece non si avevano elementi per dubitare della fiaba
ufficiale, che presentava l'Afghanistan schiacciato dallo strapotente
tallone sovietico.
In realtà l'Armata Rossa si trovava di fronte un'enorme esercito
mercenario con base in Pakistan, reclutato dalla CIA in tutto il Medio
Oriente, e provvisto delle armi più sofisticate, dai missili antiaerei a
quelli anticarro. Niente di paragonabile all'attuale impasse della NATO
in Afghanistan, poiché negli anni '80 l'Armata Rossa dovette subire una
vera e propria distruzione del suo apparato bellico convenzionale.
La potenza sovietica quindi era già all'angolo otto anni prima della
caduta del Muro di Berlino, e con quella data coincide l'inizio della
finanziarizzazione a tappeto e dello smantellamento dell'imprenditoria
di Stato in Europa. Non si è mai calcolato a sufficienza quali siano
state le conseguenze della dismissione della siderurgia pubblica negli
anni '80, che segnò il ritiro dello Stato da un settore allora
etichettato come "arretrato", ma che in realtà è rimasto strategico per
gli equilibri economici mondiali.
Il compromesso socialdemocratico che aveva retto l'Europa per trenta
anni, ed anche il welfare e le garanzie del lavoro, erano solo l'effetto
della prudenza dettata dalla minaccia del capitalismo di Stato
sovietico. Il ruolo assunto dalla mediazione politica e sociale sino
agli anni '70, era esclusivamente la conseguenza dell'equilibrio di
potenza, e non di intrinseche qualità del sistema dei partiti di allora.
Non appena l'equilibrio di potenza è venuto a mancare, l'illusione del
professionismo politico si è sfaldata, ed il gruppo dirigente comunista è
stato quello che ha dimostrato la maggiore inconsistenza; tanto che il
passaggio degli ex PCI al nuovo acronimo DS ha finito per rispecchiare
più adeguatamente il loro contenuto: Dilettanti allo Sbaraglio. Forse è
persino possibile che il ceto politico degli anni '80 e '90 si sia
adagiato davvero nel mito-alibi dell'Europa, perdendo di vista il fatto
che l'Unione Europea era nata come propaggine della NATO - quindi
dell'imperialismo USA -, e come diretta applicazione dell'articolo 2 del
Trattato Nord-Atlantico del 1949.
La nozione di imperialismo americano non si deve intendere come dominio
tout court degli Stati Uniti, ma come la guerra mondiale dei ricchi
contro i poveri, nella quale gli USA costituiscono il riferimento ed il
supporto ideologico-militare per gli affaristi e i reazionari di tutto
il pianeta. Il procedere delle privatizzazioni e dei tagli di bilancio,
fa intendere che l'aggressività imperial-coloniale non trova oggi dei
veri contrappesi economico-militari che possano indurla alla prudenza;
perciò i piagnistei sul "declino americano", sulla potenza emergente dei
BRICS, sulla crescente minaccia ideologica/militare/economica
costituita da Putin ecc., potrebbero essere soltanto una tattica
vittimistica dei soliti filoamericani. Il fatto che ad alimentare il
mito del pericolo-Putin siano dei filoamericani di sicura fede come
Flores d'Arcais, Paolo Guzzanti e Roberto Saviano, rafforza questi
sospetti.
[1] http://archiviostorico.corriere.it/2011/novembre/14/nostro_Paese_ammalato_complotti__co_8_111114020.shtml
[2] http://www.bnl.it/wps/portal/scopribnl/CHI-SIAMO/BNL-nel-gruppo/Storia/1971-ad-oggi
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