Sorvolo sulle tante polemiche che hanno accompagnato la pubblicazione su Youtube del video “Kony 2012″ . Le condivido, infatti, quasi tutte, e non è il caso di tornarci sù. Trovo però che abbia senso interrogarsi su alcuni trend che il successo di questo video virale evidenzia – 100 milioni di clic non sono uno scherzo !- e che, a mio modesto parere, non solo mi paiono ineludibili ma costringono il giornalismo d’oggi ad interrogarsi su cos’è oggi una notizia, e su come vada trattata. Andiamo per punti:
1) Prima dell’avvento della Rete partecipativa e dei social network, a stabilire l’agenda del mondo erano in pochi: i vari soggetti istituzionali - governi et similaria – e le grandi agenzie di stampa, basate nei Paesi dominanti. Col risultato che tutta una serie di notizie ed avvenimenti – dalle guerre “dimenticate” al lavoro minorile passando per i bambini soldato, tanto per fare degli esempi - non avevano alcuna possibilità di accesso ai media mainstream e scaldavano al massimo il cuore dei volenterosi, impegnati in campagne che, non a caso, venivano chiamate di contro-informazione. Oggi, per fortuna, non è più così. Il Web 2.0 e i social network agiscono infatti da “acceleratori delle crisi politiche e sociali”. E’ il caso dell’Uganda e del video Kony 2012, postato da una semplice ONG (anche se potente e ben intrallazzata); ma il discorso potrebbe valere per tante, recenti campagne di stampa, che hanno puntato proprio sugli I Like e i Condividi, riuscendo però click dopo click a sfondare nella pubblica opinione molto meglio di quanto riescano a fare i media tradizionali; i quali, anzi, sono stati costretti a riprendere la notizia. Esagero un po’, forse, ma mi pare che l’agenda del mondo non sia più dettata secondo modalità rigorosamente mainstream, e sia sia fatta permeabile a spinte eterogenee, anche dal basso, che ne modificano temi e priorità, garantendone un maggior pluralismo e quindi un tasso più elevato di partecipazione. Il che è un bene. O sbaglio?
2) Come accade però in questi casi, non è tutto oro quel che luccica. Ed è sempre l’esempio di Kony 2012 a dimostrarlo. Appurato infatti che attraverso la Rete Partecipativa c’è una qualche possibilità di incidere sull’agenda setting che conta, tutta una serie di soggetti opachi che hanno messo casa sul Web 2.0 - quelli cioè che sono al soldo di un interesse oppure di un’ ideologia - provano tutti i giorni a intorbidire le acque con foto, video e campagne ben orchestrate – la cui narrazione è sempre accattivante - in modo da guadagnare consensi alla propria causa. E’ una battaglia senza regole, in cui difendersi non è facile, perchè molto spesso l’utente del Web non ha gli strumenti per decodificare i messaggi che gli vengono trasmessi. E’ stato così per le fosse comuni in Libia, per la storia di Amina, la finta blogger siriana, e per tanti altri eventi, che hanno popolato il web, negli ultimi anni, collezionando migliaia di click pur essendo un’impostura, più o meno evidente.
3) Sta ai noi, professionisti dell’informazione, fare la differenza. Filtrare cioè e separare il vero dal falso, la notizia vera dalla propagnada o dalla marchetta. Per poterlo fare, la buona volontà però non basta: serve infatti un sistema dell’informazione che sia meno asservito alle regole delle marketing e più ancorato alle regole del buon giornalismo. Ma i tempi non mi sembrano maturi.
Fonte: Amedeo Ricucci.it
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