Di Serena Grassia
Realizzarsi come donna, in Uzbekistan,
significa principalmente sposarsi e partorire quanti più figli è
possibile. Che cosa succede se una ragazza invece non riesce ad averne
neanche uno, di figlio?
Lo stanno provando un numero sempre più grande di donne, sterilizzate a loro insaputa da una direttiva governativa, smascherata da un’inchiesta della BBC.
Lì a Tashkent la sterilizzazione non è legge, ma consuetudine. Una sorta di pianificazione anticoncezionale, in un posto dove la contraccezione è sconosciuta.
“Ogni anno viene presentato un piano di sterilizzazione”, cioè ogni
anno le autorità decidono quante donne non potranno più avere figli,
racconta un ginecologo uzbeko che ha scelto di restare anonimo.
“Il piano stabilisce una quota, la mia è di quattro donne al mese”, racconta.
Altri ginecologi dicono che si tende a fare pressione soprattutto sulle donne delle campagne, meno istruite di quelle cittadine.
“Una o due volte al mese un infermiere di una clinica locale viene da
me e cerca di convincermi a fare l’intervento”, racconta una signora
nella regione di Jizzakh.
“Oggi lo fanno ancora gratis, ma in seguito bisognerà addirittura pagare per l’operazione, indipendentemente dal consenso”.
Un’altra madre racconta che dopo il primo parto ha avuto
sanguinamenti e dolori per molti mesi, finché una visita medica le ha
svelato che il suo utero era stato asportato a sua insaputa.
Il Ministero della Salute qualche anno fa giustificò il programma di
sterilizzazione come un modo per controllare la crescita della
popolazione nel paese, abitato da oltre 28 milioni di persone.
Oggi invece, contattato dalla BBC, ha negato qualsiasi coinvolgimento
nelle pratiche chirurgiche e ha bollato le accuse come diffamatorie.
Nel 2010, alcune indagini condotte da ONG locali denunciavano 80,000 sterilizzazioni, senza precisazioni sul consenso.
I primi casi di isterectomia forzata risalgono al 2005, quando gli
uteri di molte giovani donne venivano nascosti nelle camere mortuarie
della regione di Andijan.
Nel 2007 furono le Nazioni Unite a documentare e denunciare. La
pratica sembrava avere avuto una battuta d’arresto, ma dal2009 inpoi è
ripresa a pieno ritmo, contrabbandata come “progetto di contraccezione
volontaria”.
Sulla carta infatti le sterilizzazioni sono volontarie, ma in realtà non è sempre così.
“E’ facile manipolare una donna, soprattutto povera – racconta un
medico di provincia – è sufficiente dirle che l’operazione è la cosa
migliore per la sua salute e per il benessere dei figli, se già ne ha”.
Il taglio cesareo è la via più semplice per procedere
all’isterectomia: si prende il bambino, e subito dopo l’utero. Non a
caso, se una volta i cesarei erano molto rari nel paese, oggi
costituiscono l’80% dei parti.
E non manca chi vuol trovare del buono anche nelle sterilizzazioni di massa.
In un paese dove la contraccezione è sconosciuta e la mortalità
materna e infantile altissima, la sterilizzazione sembra il male minore.
“Meno donne partoriscono, meno donne muoiono”, dice un chirurgo. Ma
Human Rights Watch denuncia la pratica senza mezze misure. “In
Uzbekistan sono ossessionati dai numeri e dalle classifiche”, dice Steve
Swerdlow, direttore per l’Asia Centrale.
“E’ un atteggiamento tipico delle dittature quello di prendere dei
dati e costruire su di essi una narrazione della realtà diversa dalla
verità.”
Per Swerdlow la comunità internazionale dovrebbe intervenire più
attivamente contro il regime uzbeko, famoso anche per l’odiosa pratica
della bollitura umana come pena di morte.
Un tempo Islom Karimov era inviso all’Occidente, oggi invece gli
Stati Uniti, dopo il deterioramento delle relazioni con il Pakistan,
utilizzano l’Uzbekistan come via di passaggio per le armi e i
rifornimenti diretti in Afghanistan, chiudendo un occhio sulla
situazione dei diritti umani nel paese.
Nonostante i numerosi diplomatici occidentali in visita a Tashkent
negli ultimi mesi, infatti, non è mai arrivata una denuncia esplicita
contro le politiche poco democratiche di Karimov.
Fonte:Atlas.it
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