Secondo l’associazione, del resto, “tasse, burocrazia, ma soprattutto la mancanza di liquidità sono i principali ostacoli che costringono molti neoimprenditori a gettare la spugna anzitempo. Per molti, il suicidio è visto come un gesto di ribellione contro un sistema sordo ed insensibile che non riesce a cogliere la gravità della situazione” ha continuato Bortolussi.
Il morbo è trasversale, colpisce giovani e adulti, imprenditori e artigiani, sopratutto uomini, ma c’è anche una donna. A seguire il triste computo si leggono storie diverse fra loro ma accomunate tutte dalla disperazione. Ieri un ex manager di 42 anni si è buttato sotto un treno a Sesto Fiorentino: disoccupato dal 2011, ha lasciato moglie e figlia; il giorno prima si era impiccato un cinquantaduenne imprenditore agricolo, anche lui sposato, con figli a carico e oberato dai debiti. Nei giorni precedenti, invece, due ragazzi di 28 e 29 anni si erano uccisi perché schiacciati dai debiti.
Tra il 2008 e il 2010 è aumentata del 25 per cento la statistica Istat su chi ha scelto di togliersi la vita per ragioni economiche: 150 casi nel 2008, 187 nel 2010 e nel 2011 si parla addirittura di 3mila e cinquecento casi di suicidio di cui circa un terzo legati al lavoro. A Padova, nel frattempo, è nata la prima associazione “parenti delle vittime della crisi”. L’hanno fondata Laura Tamiozzo e Flavia Schiavon, due imprenditrici venete i cui padri si sono suicidati perché non riuscivano a riscuotere i crediti delle rispettive aziende.
Da il Fatto Quotidiano
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