Di Claudio Borghi
Il giorno elettorale di Hollande (e quello della Le Pen) potrebbe
rappresentare il punto di svolta per il destino dell'euro. Non a caso il
candidato socialista all'Eliseo (che pure dice cose inquietanti su
tasse e ruolo dello Stato) ha riservato le sue ultime parole prima del
silenzio delle urne proprio alla Bce e alla necessità che cambi la sua
missione per garantire direttamente il debito degli Stati dell’Unione.
Ben svegliati. Nei «bugiardini» delle medicine c'è sempre scritto che
se il paziente peggiora o ha reazioni indesiderate dopo l'assunzione
del farmaco, occorre interrompere immediatamente la cura. Nel caso
dell'Europa, messa in cura dagli eurocrati di cui Monti è organico
rappresentante, abbiamo già assistito al primo morto (la Grecia) e tutti
gli altri «malati» continuano a peggiorare.
L'unica differenza con il recente passato è stato l'anestetico dei mille miliardi prestati dalla Bce.
Il
voto in Francia ci ricorda che gli Stati Europei sono ancora democrazie
e non possiamo sempre dare la colpa agli «altri». Dice benissimo
l'economista premio Nobel Paul Krugman quando parla di «suicidio»
dell'Europa. Non è importante quanto e cosa «imponga» la Germania nel
suo unico legittimo interesse: se acconsentiamo a proseguire in cure
sbagliate avremo da biasimare solo noi stessi. Supponiamo però di
volerci ribellare e di volerci strappare la flebo del veleno
dell'austerità fiscale che ci sta uccidendo: il gesto non sarebbe senza
conseguenze, quindi è meglio sapere bene cosa sono i pro e i contro.
La questione è stata recentemente inquadrata sia dallo stesso Krugman
che dal capo economista di Nomura, Koo. Tutti e due concordano con una
premessa: impossibile proseguire così. Impossibile, assurdo e suicida.
Chiedere a uno Stato con la disoccupazione al 23% come la Spagna
ulteriore austerità è una bestialità talmente grande che dovrebbe aprire
gli occhi anche ai ciechi, così come non ci voleva un profeta per
prevedere che in Italia la stretta fiscale cominciata con le manovre di
luglio e proseguita da Monti avrebbe avuto come immediata conseguenza la
recessione.
I due economisti poi cercano di analizzare le vie d'uscita e, seppure
con differenti sfumature, le conclusioni sono simili: o un cambiamento a
180 gradi delle politiche economiche europee con meno tasse, più spesa e
Bce garante del debito e disposta a tollerare l'eventuale inflazione,
oppure l'unico modo per salvarsi è l'uscita dalla moneta unica, trauma
che però risolverebbe alla radice i problemi di competitività con una
normale svalutazione, riavviando la crescita. I medici del veleno
tuttavia predicano sventure: guai, disperazione e carestia attendono chi
mai dovesse osare mettere in discussione il dogma dell'euro. Basterebbe
vedere quale prosperità ha invece raggiunto Atene seguendo le loro
ricette per seppellirli di risate, ma il timore dell'ignoto è
comprensibile.
Eppure è dimostrabile che i disagi (principalmente pratici) paventati
in caso di uscita dalla moneta unica possono essere minori di quanto si
pensi. Certo, ridenominare il debito in un'altra valuta è un default ma
se l'alternativa a questo cambio di valuta fosse peggiore, anche i
creditori capirebbero. Il timore più grande nel caso di uscita
dall'euro, vale a dire la fuga dei capitali, è una lama spuntata, dal
momento che il famigerato spread dimostra semplicemente come quella fuga
sia già in atto.
Della ricchezza degli italiani la parte immobiliare, con quasi 6.000
miliardi, rappresenta la proporzione maggiore del valore e (per
definizione) non scappa. Il contante vale solo 100 miliardi, di più sono
i depositi anche se in buona parte risparmio postale o vincolato, però
non sono più trasferibili oltrefrontiera senza problemi, specialmente
considerando i controlli pervasivi di cui ormai il governo può disporre.
Non sono un problema né le azioni quotate (poche, 80 miliardi, e in
pratica beni reali) né le partecipazioni né i titoli esteri (non
sarebbero impattati dal cambio). Rimangono solo quindi i titoli
domestici di debito. Qui però la fuga è già avvenuta e probabilmente il
calo dei prezzi è già superiore al timore di cambio valuta.
Difficile che uno venda un Btp a prezzi molto bassi temendo una
svalutazione che probabilmente sarebbe inferiore di quella implicita nei
valori attuali.
Anche il cambio della valuta fisica sarebbe relativamente indolore,
basterebbe una conversione alla pari con la nuova valuta di contratti,
stipendi e depositi (conversione, non cambio: a quel punto il cambio
esterno con l'euro sarebbe definito dal mercato e ci interesserebbe
quanto ci interessa ora il cambio con il dollaro) per non dover nemmeno
cambiare i cartellini dei prezzi. Mantenendo provvisoriamente gli stessi
formati delle banconote non occorrerebbe neppure cambiare bancomat e
macchinette. Disagi e rischi ci sono, tuttavia se sull'altro piatto
della bilancia c'è la miseria dell'oppressione fiscale e dell'austerità
recessiva infinita è da irresponsabili non considerare l'alternativa.
Da il Giornale
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