Di Chase Madar
I documenti di WikiLeaks rivelano crimini di guerra o le carenze della legge internazionale?
Chiunque desideri assistere a un esempio vivido di un’attività
bellica moderna conforme alle leggi di tutti
gli eserciti moderni – dovrebbe semplicemente cliccare qui e guardare il video.
Aspetta un attimo: questo è il video “Omicidio collaterale” di
WikiLeaks! La visione dal mirino di un elicottero Apache che apre il
fuoco da mezzo miglio di altezza su un gruppo di iracheni – alcuni
armati, ma per la maggior parte civili disarmati, inclusi un paio di
dipendenti della Reuters – che percorrono ignari le vie di un quartiere
di Baghdad un giorno di luglio del 2007.
Guardate, se riusciti a sopportarlo, mentre l’equipaggio
dell’elicottero spazza via la gente, uccidendo almeno una dozzina di
persone, e facendo speciale attenzione a falciare i feriti mentre
cercano di trascinarsi in salvo. (Si può anche sentire l’equipaggio
dell’elicottero mentre si lascia andare a battute per tutto il tempo).
Quando sulla scena arriva un furgone per occuparsi dei sopravvissuti, la
mitragliatrice dell’elicottero apre il fuoco anche su di esso,
uccidendo ancora alcuni altri e ferendo due bambini piccoli.
Il massacro ripreso in questo breve film, la più sensazionalmente
diffusa a livello virale delle rivelazioni di WikiLeaks, è stato
ampiamente condannato in tutto il mondo come un’atrocità, e molti guru,
per buon peso, lo hanno velocemente etichettato come “crimine di guerra”.
Ma questo massacro è stato davvero un “crimine di guerra”, o
semplicemente un episodio della buona vecchia guerra regolare? La
questione è tutt’altro che terminologica. E’, in realtà, lungi
dall’essere chiaro se questo atto, per quanto dolorosamente atroce e
orrendo, sia stato una violazione delle leggi di guerra. Alcuni hanno sostenuto
che la carneficina, se legale, era giustificata in quanto tale e, per
quanto certamente disgraziata, non una grande questione. Ma è possibile
arrivare a una conclusione fortemente diversa: che la “legalità” di
quest’atto un’accusa contro le leggi di guerra così come le conosciamo.
La reazione delle persone umanitarie professioniste a questo video
dal mirino è stata, per dire il minimo, muta. Le tre grandi
organizzazioni per i diritti umani – Human Rights Watch (HRW), Amnesty
International e Human Rights First – hanno reagito non con prese di
posizione documentali e con comunicati stampa infuriati, bensì con il
silenzio. HRW ha evitato qualsiasi menzione dell’accaduto nel suo rapporto
sui diritti umani e i crimini di guerra in Iraq, pubblicato quasi un
anno dopo la diffusione del video. Neppure Amnesty ne ha fatto parola.
Gabor Rona, direttore legale di Human Rights First, mi ha detto che non
c’erano prove sufficienti per accertare se erano state violate le leggi
di guerra e che la sua organizzazione non aveva in corso richieste
basate sulla Legge sulla Libertà d’Informazione (FOIA) per scoprire
nuove prove al riguardo.
Questa mancanza di reazione collettiva, va sottolineato, non è dovuta
al fatto che questi gruppi umanitari, che fanno molto lavoro prezioso,
siano codarde o “vendute”. Il motivo è: tutti e tre i gruppi per i
diritti umani, e la stessa dottrina dei diritti umani, si preoccupano
principalmente di questioni di legalità. E, molto semplicemente, per
quanto atroce sia stato l’evento, non c’è stata una chiara violazione
delle leggi di guerra tale da offrire un appiglio agli umanitari
professionali.
L’industria dei diritti umani non è certo la sola a trovare l’evento sconvolgente ma conforme alle leggi di guerra. Come ha dichiarato
il professor Gary Solis, un esperto eminente ed autore di un testo di
riferimento su tali leggi, a Scott Horton di Harper’s Magazine: “Ritengo
improbabile che un investigatore neutrale e distaccato concluderebbe
che il personale dell’elicottero abbia violato le leggi sui conflitti
armati. La colpevolezza legale non sempre si accompagna alla morte di
innocenti.” Va notato che Gary Solis non è un ultrà neocon. E’ uno
studioso che ha insegnato alla London School of Economics e alla
Georgetown, è autore di un manuale di riferimento sulla materia ed è
stato un critico implacabile dell’amministrazione Bush-Cheney.
La guerra e la legge “umanitaria” internazionale
La “legge umanitaria internazionale” (IHL) è l’eufemismo forzato per
le leggi di guerra. E nella sua attuazione la IHL si rivela essere meno
interessata a limitare la violenza militare di quanto lo sia
all’autorizzarla. Applicato alle recenti guerre degli Stati Uniti,
questo corpo di leggi si rivela meravigliosamente accomodante quando si
tratta delle prerogative di un esercito occupante.
Ecco un altro recente esempio di atrocità in tempo di guerra che è
perfettamente legale e non è assolutamente un crimine di guerra. Grazie
ai Diari della Guerra in Iraq
di WikiLeaks sappiamo ora delle pratiche di tortura scontate impiegate
dai carcerieri e dagli inquisitori iracheni nel corso della nostra
invasione e occupazione di quel paese. Abbiamo chiara documentazione militare USA di torture sessuali, dita e arti amputati, di botte così gravi da causare regolarmente la morte.
Certamente assistere e prendere attentamente nota mentre gli iracheni che si suppone abbiamo liberato
dalla tirannia vengono torturati, a volte sino alla morte, è una
violazione delle leggi di guerra. Dopotutto nel 2005 il generale Peter
Pace, allora presidente di Capi di Stato Maggiore Riuniti, ha pubblicamente contraddetto
il suo capo, il Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, commentando a
microfono aperto che “è assolutamente responsabilità di ogni soldato
statunitense fermare le torture ogni qualvolta e dovunque vi assista”.
(Un giovane soldato che lavorava nei servizi d’informazione
dell’esercito, di nome Bradley Manning, venuto a sapere che un gruppo di
civili iracheni che distribuivano opuscoli che accusavano il governo di
corruzione era stato incarcerato dalla polizia federale irachena,
manifestò al suo ufficiale comandante le proprie preoccupazioni a
proposito di possibili torture. Risulta che gli sia stato detto di
chiudere il becco e di continuare ad aiutare le autorità a scoprire
altri da incarcerare).
Come è emerso, l’esortazione del generale Pace era in contrasto sia con la politica ufficiale sia con la legge: l’Ordine Integrativo 242,
diffuso dal Pentagono di Donald Rumsfeld, aveva reso politica ufficiale
per le truppe statunitensi occupanti non interferire con le torture
irachene in corso. E neppure questa, secondo alcuni esperti, è una
violazione delle leggi di guerra. Prolisse sui limiti imposti alle
azioni del combattenti non statali che non appartengono agli eserciti
moderni, le Convenzioni di Ginevra sono considerevolmente reticenti
circa i doveri degli eserciti occupanti.
Come mi ha segnalato Gary Solis, l’Articolo Comune numero 1
della Quarta Convenzione di Ginevra assegna solo un vago obbligo di
“garantire il rispetto” dei prigionieri consegnati a una parte terza.
Sul terreno, in Iraq o in Afghanistan, tale serie di parole si
dimostrerà un limite molto men che significativo.
Parte del problema è che le leggi di guerra che aspirano a limitare
la forza mortale sono spesso fatte rispettare debolmente e normalmente
violate. Ethan McCord, il soldato statunitense che ha salvato i due
bambini feriti dal furgone, nel video dell’elicottero, ricorda
un insieme di istruzioni ricevute dal suo comandante di battaglione:
“Ogni volta che il tuo convoglio è colpito da un IED [ordigno esplosivo
improvvisato], voglio un fuoco a 360 gradi. Si uccide ogni [espressione
volgare] nella strada!” (“Tale ordine”, mi ha detto David Glazier,
giurista presso l’Istituto Nazionale per la Giustizia Militare, “è
assolutamente un crimine di guerra.”) In altre parole, le regole
d’ingaggio che si presume disciplinino le truppe occupanti in luoghi
come l’Afghanistan e l’Iraq sono, secondo molti studiosi e inquisitori,
spesso sminuite e ignorate.
Atrocità legalizzate
Il problema vero con il diritto bellico, tuttavia, non è ciò che non
impedisce, bensì ciò che autorizza. La funzione principale della Legge
Umanitaria Internazionale è di legalizzare
notevoli livelli di violenza militare “buona” che regolarmente uccide o
ferisce non combattenti. La IHL sottolinea una manciata di principi
chiave: la distinzione tra combattenti e civili, l’obbligo di usare la
forza solo per necessità militari e il dovere di mettere a repentaglio i
civili solo in proporzione al valore militare di un obiettivo.
Persino quando tali principi sono applicati coscienziosamente – e
spesso non lo sono – consentono tuttavia notevoli livelli di carneficine
civili, cui il Pentagono da tempo fa principalmente (e comodamente)
riferimento come a “danni collaterali”,
come se si trattasse di tristi incidenti inevitabili nella conduzione
della guerra. E tuttavia le morti civili nelle guerre moderne sono il
loro aspetto centrale, sia statisticamente sia sotto altri aspetti.
Lungi dall’essere universalmente proscritte, le uccisioni di grandi
numeri di civili in una zona di combattimento sono spesso considerate
assolutamente legali in base a tali leggi. Secondo la pungente espressione
del professor David Kennedy della Scuola di Legge di Harvard: “Dovremmo
essere chiari: questo nuovo vocabolario sfrontato trasforma gli aratri
in spade tanto quanto fa il contrario”.
La relativa debolezza delle leggi di guerra quando si tratta di
prevenire atrocità non è semplicemente un deterioramento recente
perpetrato dai visigoti neoconservatori. Privilegiare il combattente e
le sue (normalmente “sue” al maschile) prerogative è stato il midollo
storico di tali leggi. Nella guerra del Vietnam, ad esempio, la
dichiarazione di parti significative della campagna del Vietnam del Sud
come di “zone di fuoco libero” e il bombardamento a tappeto
delle aree rurali da parte di B-52 che trasportavano carichi massicci
furono anch’essi attuati sotto la copertura delle leggi di guerra.
La IHL è certamente cambiata sotto certi aspetti. Un secolo fa il
dibattito intorno alle leggi di guerra era di gran lunga più schietto di
oggi. I giuristi un tempo si riferivano a “combattenti non privilegiati
privi di uniforme” come semplicemente a “barbari”
e la visione condivisa sulle riviste accademiche tradizionali di legge
internazionale era che un esercito moderno poteva fare quel che voleva a
tali ribelli fuorilegge (specialmente, è ovvio, in quello che allora
era ancora il mondo coloniale). Nel complesso la storia della IHL è una
lunga serie di codifiche dei privilegi dei forti contro minacce inferiori quali i soggetti civili e coloniali resistenti a un’invasione.
Anche se le leggi di guerra sono state normalmente un’arma in più dei
forti contro i deboli, molto del loro genere particolare di
legalitarismo è filtrato nel dibattito contro la guerra. Uno dei
principali punti di discussione per molti che si opponevano
all’invasione dell’Iraq era che essa era illegale, e ciò era sicuramente
vero. Ma è stata quella carenza di procurarsi due righe di permesso
dalle Nazioni Unite davvero il problema principale di tale disastroso
atto di violenza? Un’autorizzazione dell’ONU ne avrebbe riscattata una
qualche parte? C’è anche una crescente fiducia che la guerra possa
essere addomesticata sotto la voce, recentemente nuova, dell’
“intervento umanitario”, che ha la pretesa di applicare la violenza
militare in dosi precise e terapeutiche, tutte rigorosamente
disciplinate dalla legge umanitaria internazionale.
E’ qui che le divulgazioni di WikiLeaks sono state così rivelatrici.
Ci ricordano, una volta di più, che il sogno umanitario di una “guerra
pulita” – violenza militare perfettamente disciplinata da leggi che
risparmiano i civili – è normalmente una barzelletta triste. Dobbiamo
disabituarci dal falso conforto che la legge sia sempre dalla parte dei
civili. Dobbiamo demolire la nostra tendenza a presumere che la legge
internazionale sia intrinsecamente virtuosa, e che qualsiasi cosa turbi
la nostra coscienza – tale video dell’elicottero o le torture diffuse in
Iraq sotto il naso dei soldati statunitensi – debba essere una
violazione di tale sistema piuttosto che una conseguenza logica e
prevedibile di esso.
Siamo chiari: quel che ha ucciso i civili a passeggio per le strade
di Baghdad in quel giorno del 2007 non sono stati “crimini di guerra”
bensì la guerra. E ciò vale per così tante migliaia di civili afgani e
iracheni uccisi anche da attacchi di droni, attacchi aerei, incursioni notturne, convogli e guardie nervose ai posti di controllo.
Sequestro del potere regolamentare
Chi, dopotutto, scrive le leggi di guerra? Proprio come le regole che
disciplinano le compagnie farmaceutiche e aeree sono spesso truccate
dalle grandi industrie con le loro falangi di lobbisti, anche le leggi
di guerra sono vulnerabili al “sequestro del potere regolamentare” da
parte dei grandi poteri che si presumerebbero esserne disciplinati. Si
ricordi, ad esempio, che il Pentagono impiega 10.000 avvocati
e che il suo partner subordinato, il Dipartimento di Stato, ne ha
alcune altre centinaia. C’è da sorprendersi se gli avvocati di casa
riescono a inventarsi modi “legali” per non consentire che tali leggi di guerra intralcino le ambizioni globali di una superpotenza?
E’ soltanto giusto che le ultime parole sulle leggi di guerra siano lasciate al soldato Bradley Manning,
ora in una cella a Fort Leavenworth, Kansas, in attesa della corte
marziale con l’accusa di aver passato scrigni di materiale classificato a
WikiLeaks, documenti che offrono la verità non edulcorata sulla guerra
in Afghanistan, la guerra in Iraq e su Guantanamo. Sono tratte dalle
registrazioni delle conversazioni via messaggistica istantanea, sotto lo
pseudonimo di “bradass87”, con l’informatore che lo ha denunciato. Il
giovane soldato ha visto chiaramente quello che così tanti professori e
generali si affaticano a negare: che la funzione principale delle leggi
di guerra consiste non nel contenere la violenza, bensì nel
giustificarla, spesso con la più grande ingegnosità avvocatesca.
(02.27.47) bradass87: Voglio dire, siamo migliorati, per certi
aspetti … siamo più sottili … usiamo tanti più termini e tecniche legali
per legittimare qualsiasi cosa …
(02.28.19) bradass87: ma il fatto che qualcosa è più sottile, non lo rende giusto.
Chase Madar, collaboratore di TomDispatch e autore di un nuovo libro ‘The Passion of Bradley Manning’ (OR Books) [La passione di Bradley Manning], è
un avvocato di New York. Per ascoltare la più recente intervista audio
Tomcast di Timothy McBain in cui Madar parla del caso Manning e del suo
nuovo libro, cliccare qui per la parte prima, e qui per la parte seconda, oppure scaricatela qui sul vostro iPod. Madar è presente su Twitter @ChMadar https://twitter.com/#!/chmadar
Questo articolo è comparso originariamente su TomDispatch.com, un
blog del Nation Institute, che offre un flusso costante di fonti
alternative, notizie e opinioni di Tom Engelhardt, da lungo tempo
direttore editoriale e cofondatore dell’American Empire Project, autore
di ‘The End of Victory Culture’ [La fine della Cultura della Vittoria] e di un romanzo ‘The Last Days of Publishing’ [Gli ultimi giorni di pubblicazione]. Il suo libro più recente è ‘The American Way of War: How Bush’s Wars Became Obama’s’ (Haymarket Books) [La via statunitense alla guerra: come le guerre di Bush sono diventate le guerre di Obama].
Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://www.zcommunications.org/what-the-laws-of-war-allow-by-chase-madar
traduzione di Giuseppe Volpe
Da Znet Italy
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