Rosarno, Calabria. Ancora una storia
di illegalità e sfruttamento. Questa volta i protagonisti non sarebbero
imprese senza scrupoli in odor di mafia, ma una multinazionale. “La”
multinazionale per eccellenza, la Coca Cola. Arance acquistate a prezzi
ridicoli per la produzione della nota bevanda a base di succo d’arancia,
la Fanta: è quanto sarebbe emerso da un’inchiesta della rivista inglese The Ecologist, ripresa successivamente anche dall’Indipendent. Nulla di nuovo in realtà.
Già nel 2009 Rosarno era stata il centro
delle rivolte degli immigrati impiegati nella raccolta degli agrumi,
costretti a ritmi di lavoro ai limiti della schiavitù. Le rivolte
provocarono la successiva reazione degli abitanti e una guerriglia tra
poveri, in un territorio già devastato dalla criminalità organizzata e
dal degrado ambientale e sociale, che diede luogo a linciaggi e caccia
all’uomo, con un bilancio di decine di feriti. A due anni da quei
drammatici fatti, complice la crisi dell’agricoltura, la situazione dei
braccianti non sembra essere migliorata: si continua a parlare di salari
da fame, di sfruttamento e di pessime condizioni di vita in ghetti
privi di acqua ed elettricità.
Dopo lo scandalo, la Coca Cola, avrebbe
inizialmente deciso di annullare i contratti con i coltivatori della
zona. Dopo la mediazione del ministro delle Politiche Agricole Mario
Catania, la marcia indietro: Coca Cola ritornerà ad acquistare le arance
di Rosarno. E non è tutto. La multinazionale avrebbe anche promesso un
incremento d’acquisto e contratti pluriennali per le aziende
produttrici, all’insegna della sostenibilità. Sembrerebbe una favola a
lieto fine, ma non è così.
Secondo Coldiretti infatti, per
un’aranciata venduta sugli scaffali a 1,3 euro al litro agli agricoltori
vengono riconosciuti solo 3 centesimi per le arance contenute.
Un’inezia rispetto ai costi di produzione e di raccolta. Una situazione
che colpisce non solo i produttori ma anche i lavoratori
extracomunitari, poiché fomenta i fenomeni di illegalità e la
conseguente chiusura delle industrie di trasformazione.
Sempre secondo Coldiretti, in base ad una
legge nazionale ormai datata (Legge n. 286 del 1961) le bevande al
gusto di agrumi possono essere colorate a condizione che esse contengano
appena il 12% di succo di agrumi. Ogni punto percentuale di succo di
arancia in più oltre il 12% corrisponde all’utilizzo di 25 milioni di
chili in più di arance, pari a circa 560 ettari di agrumeto, mentre
pagando le arance a 15 centesimi/chilo (il costo per la sola raccolta è
di 6 centesimi/chilo), in un litro di aranciata ci sarebbero 6 centesimi
di arance con la possibilità di remunerare adeguatamente il prodotto e
il lavoro per ottenerlo.
Solo nella Piana di Gioia Tauro ci sono
11.500 imprese agricole che producono 440.000 tonnellate di arance su
.8800 ettari coltivati, con un potenziale occupazionale di 792.000
giornate annue di lavoro. Coldiretti Calabria ha portato in piazza le
sue ragioni in una manifestazione che ha visto la partecipazione di
migliaia di agricoltori, lavoratori, cittadini e rappresentanti delle
istituzioni locali, regionali e nazionali al grido di “no all’aranciata
che spreme agricoltori, lavoratori e inganna i consumatori”.
È passato un mese ormai dalla
mobilitazione. Cosa è cambiato? Nulla, secondo il presidente della
Coldiretti Calabria, Pietro Molinaro, che in una nota precisa:
“Nonostante incontri istituzionali ai vari livelli con le relative
assicurazioni, la Coca-Cola Company continua ad essere assente e a non
dare alcun cenno positivo sulla catena di sfruttamento che interessa
l’intera filiera agrumicola da industria – incalza il presidente –. La
situazione nella Piana continua ad essere drammatica, le arance
marciscono, i produttori da tre anni soffrono le pene dell’inferno e non
fanno reddito, la situazione dei lavoratori stagionali pone serie
preoccupazioni”. Non solo. “Si sta per concludere la campagna agrumicola
e, oltre al prezzo pagato ai produttori di 0,7 centesimi di euro,
abbiamo potuto riscontrare – continua Molinaro nella nota – che la
richiesta di succo concentrato è diminuita.
Il sospetto che si ingenera è che si
potrebbe essere in presenza di una sottile ritorsione; altro che
aumentare l’acquisto di succo dalla Calabria! L’ulteriore sospetto, poi,
è che le multinazionali stiano effettuando una forma di cartello e su
questo sarebbe utile ed importante che svolgesse le opportune indagini e
approfondimenti l’Autorità per la concorrenza sui mercati”.
Ancora più dura, la posizione del
responsabile dell’associazione Libera nella Piana di Gioia Tauro, don
Pino De Masi: “Bisogna boicottare tutte le multinazionali che sfruttano
le situazioni di emarginazione. Non mi meraviglio – ha aggiunto – che
una multinazionale come la Coca Cola utilizzi le arance raccolte da
lavoratori sfruttati per produrre i suoi prodotti. Queste grandi aziende
pensano che tutto sia in perfetta regola ma in realtà dovrebbero sapere
quanto accade nei nostri territori e le situazioni in cui lavorano
queste persone”.
“Ora siamo agli sgoccioli – ha concluso
don Pino nel suo comunicato – perché la campagna agrumicola volge al
termine. Ma nei mesi scorsi ci siamo trovati nuovamente a dover
fronteggiare una situazione di emergenza sia per quanto riguarda
l’accoglienza che le condizioni in cui lavorano i braccianti stranieri.
Dal prossimo anno servono delle soluzioni strutturali che consentano
l’integrazione di queste persone, possibilmente spalmandole su più
comuni della Piana di Gioia Tauro”.
Ma c’è anche chi pensa che la soluzione
alla crisi non passa attraverso lo sfruttamento di chi è più debole ma,
al contrario, dalla solidarietà e dalla cooperazione sociale. È il caso
di SOS Rosarno, la campagna di solidarietà che Equo Sud, insieme
all’Osservatorio Migranti Africalabria, ha avviato lo scorso inverno con
le “arance etiche dalla piana”.
Attraverso la rete dei Gruppi di Acquisto
Solidale, da un anno si sostiene una produzione etica che consente di
sperimentare un diverso rapporto tra lavoratori immigrati e piccoli
proprietari contadini. Le arance dei produttori di riferimento vengono
tutte, rigorosamente, da agricoltura biologica certificata. Tutti i
produttori sono piccoli proprietari, singoli o associati in cooperative,
assumono regolarmente la manodopera impiegata nella raccolta, per oltre
il 50% immigrata, e sono interni al circuito della solidarietà con gli
africani di Rosarno.
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