La perdita del sé

apr 29, 2012 0 comments
 Di Dada
«Non c’è nulla di più prezioso di un essere umano
di un altro essere umano»
Baruch Spinoza
«Temi il prossimo tuo come te stesso»
Slavoy Zizek
Un periodo di lotte sta per cominciare, anzi è già
cominciato. I tumulti, le sollevazioni, le impressio-
nanti assemblee che hanno visto riempire le piazze
di mezza Europa ed i luoghi simbolo del capita-
lismo nord americano, che a loro volta sono state
influenzate dalle rivolte delle giovani generazioni
arabe e medio orientali, sono la prova di un sentire
comune, una potenza in divenire, esistenzialmente
precaria, ma consapevole di non volersi piegare alla
colpevolezza.
Vittime di un processo di indebitamento culturale
sociale ambientale ed economico.
Ne parlo perché credo sia importante riflettere sulla
capacità di esserne partecipi in un periodo storico
che alcuni sociologi chiamano liquido, di passioni
tristi o di folle fredde.
Dopo 40 anni in cui il capitalismo occidentale,
attraverso le ristrutturazioni, la deregolamentazio-
ne ed il monetarismo ha reagito al conseguimento
di obiettivi – che negli anni precedenti portarono
all’istituzione del welfare state come dispositivo
pacificatorio all’interno del conflitto fra capita-
le e lavoro – ci si trova oggi confrontati con una
sistemica quanto globale riaffermazione di teorie
politiche che negano l’esistenza di contratti sociali
o meglio della stessa idea di società. Società intesa
come insieme di interessi comuni prodotti dalla
prospettiva umanamente riconosciuta di sentirsi ani-
mali sociali.
Negli ultimi anni, contemporaneamente all’ege-
monia del pensiero economico monetarista si è
imposto un modello culturale e filosofico che ha
rappresentato la (non) società attraverso il concetto
di stato di natura sul modello hobbesiano.
In sintesi, se gli uomini hanno dei diritti e tutti gli
stessi diritti, nello stato di natura ognuno ha diritto
a ogni cosa e, a causa della scarsità dei beni dispo-
nibili, gli uomini ingaggiano una guerra di tutti
contro tutti (l’uomo è un lupo divoratore per ogni
altro uomo).
Uno stato di natura che naturalmente vede nel patto
contrattualistico formulato da Hobbes attraverso il
Leviatano la sua risoluzione.
«Io autorizzo e cedo il mio diritto di governare me
stesso a quest’uomo o a questa assemblea di uomini,
a questa condizione, che tu gli ceda il tuo diritto,
e autorizzi tutte le sue azioni in maniera simile.
Fatto ciò, la moltitudine così unita in una persona
viene chiamata uno stato, in latino civitas. Questa è
la generazione di quel grande Leviatano o piuttosto
– per parlare con più riverenza – di quel Dio mortale,
al quale noi dobbiamo, sotto il Dio immortale,
la nostra pace e la nostra difesa…» (Leviatano)
La soluzione contrattualistica alla crisi permanente
in cui il finanzcapitalismo (i mercati) ci ha/hanno
fagocitato.
Forse solo Spinoza contemporaneo di Hobbes prova
a porsi in contrasto anche se assumendone il quadro
generale. Per Spinoza la ragione, che indica agli
uomini il loro vero bene, cioè la loro vera utilità,
li induce a istituire un patto sociale, con il quale il
diritto-potere di ciascuno viene limitato in modo
da garantire a tutti la sicurezza della propria per-
sona, cedendo parte del proprio potere personale
a favore di un’istanza superiore. Ma il popolo che
rinuncia parte del proprio potere come singolo lo
riacquisisce poi come collettività: in questo sta la
differenza rispetto ad Hobbes, secondo il quale il
popolo rinuncia al proprio potere individuale per
darlo ad una persona singola, il sovrano. È quindi lo
stesso impulso all’autoconservazione, lo sforzo di
perseverare nel proprio essere, che l’uomo condivi-
de con tutti gli esseri naturali a produrre in maniera
necessaria, il passaggio dallo stato di natura a quel-
lo civile. In due punti il pensiero politico di Spinoza
si differenzia da quello di Hobbes, prefigurandone
esiti del tutto diversi. In primo luogo, Spinoza non
ritiene che nel patto i singoli rinuncino al loro dirit-
to naturale, ma al contrario che essi attuino sempli-
cemente, attraverso la sua limitazione, le condizioni
necessarie per conservarlo. Per questo, per quanto
riguarda la quantità di diritto detenuto dal singolo,
la condizione civile per Spinoza deve somigliare
il più possibile a quella naturale. Se nello stato di
natura gli uomini erano eguali, eguali dovranno
essere anche nello stato civile. Ciò induce Spinoza
a preferire la democrazia alle altre forme di gover-
no (mentre Hobbes difendeva la superiorità della
monarchia).
Una sorta di illuminista ante literam come avran-
no modo di ricordarlo proprio gli illuministi.
Un’anomalia selvaggia che ad Amsterdam nella
repubblica d’Olanda assisteva alla piena espansione
del capitalismo mercantile e dove con l’aiuto del
capitale finanziario (bancario) cominciava a nascere
il capitalismo industriale.
Oggi gli Stati (le monarchie hobbesiane) agiscono
sempre più spesso in circostanze emergenziali senza
passare attraverso la consultazione popolare né
attraverso il parlamento (circostanze queste dettate
dalla dottrina dello shock). Leviatani, parvenze o
simulacri di se stessi che hanno oramai rotto il con-
tratto sociale che li reggeva.
Un contrattualismo senza contratto o meglio la rot-
tura del contrattualismo senza che “la moltitudine
così unita” se ne sia resa conto.
Un Leviatano postmoderno senza prerogative poli-
tiche dove le decisioni sostanziali sono il risultato
dello stato di natura oggi interpretato dal finanzca-
pitalismo.
Un modello culturale che permette di colpevolizza-
re le moltitudini riunitesi sotto le bandiere di stati
oramai zombificati. Morti viventi che non potranno
morire perché già morti.
A questo punto risulta chiaro come il liberismo non
sia nemmeno più in continuità con il liberalismo
classico (almeno se per tale dottrina politico-eco-
nomica ci riferiamo a Locke). Possiamo, se mi
passate la metafora, considerare il liberismo come il
mostro legittimato dalla cultura liberal-democratica
che ha fagocitato (semioticamente) se stessa (oggi
tutti i partiti di estrema destra che sono presenti nei
governi o nei parlamenti europei si auto definisco-
no liberali e/o democratici, un po’ come durante il
fascismo gli stessi partiti si richiamavano al sociali-
smo). Un lessico dominante che mistifica la realtà.
La priva di senso rendendola incomprensibile o
perlomeno vacua.
Per tornare a Locke, il quale considerava lo stato di
natura come condizione di perfetta libertà e di pari-
tà basata sul principio dell’uguaglianza originaria
degli uomini nelle facoltà e nei vantaggi:
«Per ben intendere il potere politico e derivarlo
dalla sua origine, si deve considerare in quale stato
si trovino naturalmente tutti gli uomini, e questo è
uno stato di perfetta libertà di regolare le proprie
azioni e disporre dei propri possessi e delle proprie
persone come si crede meglio, entro i limiti
della legge di natura, senza chiedere permesso o
dipendere dalla volontà di nessun altro. È anche
uno stato di eguaglianza, in cui ogni potere e ogni
giurisdizione è reciproca, nessuno avendone più
di un altro, poiché non vi è nulla di più evidente
di questo, che creature della stessa specie e dello
stesso grado, nate, senza distinzione, agli stessi
vantaggi della natura, e all’uso delle stesse facoltà,
debbano anche essere eguali fra di loro, senza
subordinazione o soggezione, a meno che il signore
e padrone di esse tutte non ne abbia, con manifesta
dichiarazione del suo volere, posta sopra le altre, e
conferitole, con chiara ed evidente designazione, un
diritto incontestabile al dominio e alla sovranità.»
(Saggio sul Governo)
A cui naturalmente aggiunse:
«Lo stato di natura è governato dalla legge di
natura, che obbliga tutti: e la ragione, ch’è questa
legge, insegna a tutti gli uomini, purché vogliano
consultarla, che, essendo tutti eguali e indipendenti,
nessuno deve recar danno ad altri nella vita, nella
salute, nella libertà o nei possessi, perché tutti gli
uomini, essendo fattura di un solo creatore onnipotente
e infinitamente saggio […] sono proprietà di
colui di cui sono fattura […] e, poiché siamo forniti
delle stesse facoltà e partecipiamo tutti d’una sola
comune natura, non è possibile supporre fra di noi
una subordinazione tale che ci possa autorizzare a
distruggerci a vicenda […].» (Saggio sul governo)
Sebbene Locke non mettesse mai in dubbio la con-
cezione (per lui evidentemente sacra) di proprietà
privata, rimane assai distante dal pensiero liberista.
Fra i vari contrattualisti non possiamo dimenticare
Rousseau il quale esprimendo il suo punto di vista
sul contratto sociale ci indica come la sua valenza
sia stata importante per permettere l’invenzione
dello Stato come costrutto sociale suggerito dai più
ricchi e potenti. I quali sanzionando la proprietà
privata, istituzionalizzarono la diseguaglianza come
se fosse inerente alla società umana. Rousseau con-
cepiva la propria proposta per un nuovo contratto
sociale come un’alternativa a questa forma fraudo-
lenta.
A questo punto dobbiamo però capire quando questi
quattro “contrattualisti” espressero le loro tesi.
(Se Thomas Hobbes, nato il 5 aprile 1588 e morto
il 4 dicembre 1679, è stato un filosofo britannico,
autore del famoso volume di filosofia politica inti-
tolato Leviatano nel 1651, Baruch Spinoza, nato ad
Amsterdam il 24 novembre 1632 e morto a L’Aia
il 21 febbraio 1677, è stato un filosofo olandese,
ritenuto uno dei maggiori esponenti del razionali-
smo del XVII secolo, antesignano dell’Illuminismo,
mentre John Locke, nato a Wrington il 29 agosto
1632 e morto a Oates il 28 ottobre 1704, è stato un
importante filosofo e fisico britannico della seconda
metà del Seicento ed è considerato il padre del libe-
ralismo classico dell’empirismo moderno e dell’il-
luminismo critico. Infine, Jean-Jacques Rousseau,
nato a Ginevra il 28 giugno 1712 e morto a
Ermenonville il 2 luglio 1778, è stato uno scrittore,
filosofo e musicista svizzero, di lingua francese e
cittadino della Repubblica di Ginevra.)
Ci risulta evidente come attraverso una rilettura
Hobbesiana e l’ausilio di un Leviatano assolutista
e/o monarchico che torna ad occuparsi della vita e
della morte ma non dei corpi delle moltitudini, ci
sia un ritorno ad un’epoca in cui il capitale comin-
ciava la sua marcia irresistibile, un processo di
accumulazione primitiva era in atto ed il capitali-
smo aveva nei territori e nei corpi in vendita nello
stato di natura, quella spinta che diede lo slancio
all’economia industriale.
Oggi Nuovi territori, nuovi commons sono prossimi
alla recinzione. In un epoca di informatizzazione
e di rimessa totale in discussione dei corpi e della
natura, il capitalismo si lancia in avanti riportandoci
alle sue origini.
Siamo al biocapitalismo, la nostra vita come terri-
torio da espropriare, un nuovo e/o ulteriore luogo/
spazio/territorio per una rinnovata accumulazione
originaria del capitale.
A queste condizioni torna ad essere indiscutibil-
mente (sebbene sempre lo sia stato) lecito parlare di
diritto di resistenza.
Oggi il sovrano non solo è illegittimo ma non esiste
più sebbene ancora ci appaia in pectore.
Non solo il re è nudo, il re è una controfigura e i
mercati sono lo stato di natura.
La sollevazione, la nostra arma per un nuovo
contratto sociale come alternativa a questa forma
fraudolenta. Ma attenzione, compito di noi libertari
è saper cogliere quali sono gli inganni del contrat-
tualismo.
Ogni gerarchia, potere, autorità che si instau-
ri necessita la nostra presenza per disarmarla.
L’assemblea, l’autonomia e l’autogestione sono
alcune delle nostre armi.
Ma sono sempre le relazioni umane a determinare
le lotte.
Se perdiamo la capacità di considerare la relazione
umana come una relazione empatica abbiamo perso
in partenza.
Io mi sono già perso ma questa è un’altra storia.

Fonte:Voce Libertaria n 20(marzo/ aprile 2012)

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