Di Andrea Leoni
Le nuove misure che il governo Rajoy sta discutendo in materia di
ordine pubblico, i vari arresti contro il movimento NoTav e le pesanti
condanne dei fatti relativi dello scorso 15 ottobre oltre ai vari
episodi di inasprimento delle condanne commutate contro chi ha
partecipato a manifestazioni di protesta non fanno ben sperare. I nuovi
provvedimenti mirano a contrastare, con una brutale repressione e in
modo scientifico, ogni forma di protesta che risulti scomoda alle
approvazione delle varie riforme lacrime e sangue dei Paesi europei. Per
questo abbiamo parlato con l’avvocato Gilberto Pagani presidente
dell’associazione Legal Team Italia.
Come
giudica le varie misure in materia di ordine pubblico che i governi
europei, quello spagnolo in primis, si apprestano a discutere?
Diciamo
che sia quello che si sta discutendo in Spagna sia una proposta di
legge presentata recentemente in Italia da alcuni esponenti di centro
destra sono delle leggi che inaspriscono di molto le pene per
determinati comportamenti. In Spagna va fatta una notazione particolare:
le violenze di strada sono equiparate ad atti di terrorismo. C’è da
dire che lo Stato iberico ha una legislazione un po’ diversa dalla
nostra, le leggi delle regione autonome son parecchio repressive. È però
sicuramente in atto un inasprimento delle pene. Anche questa nuova
proposta di legge che nessuno sa se verrà accolta e che è stata
presentata da alcuni deputati di destra parlava di inasprire le pene per
manifestazioni non autorizzate, per blocchi stradali per tutte quelle
espressioni di lotta che sono comunemente condotte.
Infatti lei parlava nel documento dell’ottobre
del 2004 ad un convegno di Bordeaux di una nuova concezione del reato
associativo. In riferimento, invece, ai nuovi sviluppi soprattutto a
quanto propone il governo Rajoy come vede questo nuovo andamento?
Molto
male. Quel mio articolo che risale ad alcuni anni fa denotava tutte
cose che ora sarebbero in corso di attuazione, ma ciò che è importante, è
che c’è stato un mutamento di obiettivo. All’epoca tutta l’attenzione
era data al terrorismo, o sedicente terrorismo, e alla lotta
antiterroristica. Oggi, invece, gli aspetti sociali sono molto più
importanti, perché l’aggravarsi della crisi sta comportando ovunque la
presenza di un numero maggiore di proteste, anche molto più radicali e
che tendenzialmente vengono punite in maniera più severa. Altra cosa
importante è la militarizzazione. Come si vede in Italia questo concetto
è pratica comune e in Val Susa c’è l’esercito ovvero un contingente di
alpini reduci dall’Afghanistan. Che cosa ha a che fare l’esercito con
l’ordine pubblico? Poi fondamentalmente c’è un’occupazione militare nel
territorio per cui le installazioni per il tav sono considerate siti
militari e quindi l’intrusione in questi luoghi viene considerata come
intrusione in un sito militare. E’ una pesante presenza su tutto il
territorio e purtroppo è una esempio di come la militarizzazione
dell’ordine pubblico sia entrata nei programmi dei governi ed in
particolar modo del nostro.
Non pensa che anche in Italia sia in atto una vera e propria criminalizzazione dei movimenti di protesta?
Certamente
si. E il dato è drammaticamente importante, basti guardare la vicenda
di Torino dove alcune persone sono ancora in carcere per reati di
resistenza che non sono reati di violenza. Non c’è neanche una vera e
propria accusa per i detenuti. Purtroppo è molto importante la sentenza
che c’è stata circa un mese fa, quando a due giovani che furono
arrestati dopo la manifestazione del 15 ottobre a Roma sono state
comminate pene pesantissime: cinque anni con rito abbreviato, cioè otto
anni secondo il rito ordinario. Pene che nessuno si attendeva e che
vanno molto oltre la media di queste pene. Da parte della magistratura
c’è un convinto adeguarsi rispetto a questa linea fortemente repressiva.
Fondamentale è anche il ruolo dei media.
La
storia dei media è duplice da una parte i corportat media o i main
stream che formano l’opinione pubblica e che per qualsiasi episodio
minimo fanno nascere delle gazzarre e dei can can amplificando di molto.
Ancora una volta la Val Susa è paradigmatica per molte cose: quando ad
esempio ci sono dei piccoli scontri o magari vengono lanciati dei sassi,
immediatamente i giornali ne parlano in prima pagina. Quando una
manifestazione come quella di ottobre ha una partecipazione di decine di
migliaia di persone, il fatto viene relegato nelle pagine interne e non
viene utilizzato. Il problema è proprio questo: l’utilizzo di queste
notizie. Ed anche il lessico è fondamentale, infatti succede spesso che
ci siano delle contestazioni verbali, che rimangono solo verbali, che
magari non saranno molto educate, ma rimangono solo verbali ripeto e che
vengono bollate dai giornali come violenza e terrorismo. Dall’altra, i
media indipendenti fanno in modo che quello che avviene sia sotto
l’occhio di tutti, perché poi viene diffuso su tutta la rete in maniera
virale tramite ogni mezzo. Ancora una volta dobbiamo risalire a Genova,
la presenza di centinaia di persone che giravano con la telecamera ha
fatto sì che si riuscisse ad avere ad una grande quantità di materiale
che poi è stato molto utilizzato anche nei processi per smontare false
accuse. Il caso della Grecia [il caso è del fotoreporter brutalmente
picchiato dalla polizia, ndr] non è il primo. Chi cerca di documentare
quel che succedendo può essere vittima delle attenzioni della polizia.
Un ultimo episodio di questi giorni è poi che l’accesso al cantiere del
tav è stato vietato ad alcuni giornalisti. Alcuni possono entrare e sono
embedded (esattamente come in una situazione di guerra) altri invece
non sono graditi dalle autorità e vengono bellamente esclusi privando il
diritto di tutti noi quello di sapere ciò che accade.
Da E-il Mensile
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