Di Ivano Marescotti
Gunter Grass critica la politica dello Stato di Israele. Opinioni opinabili ma legittime, come altre. Sulle quali, ora, non entro nel merito. Ma leggo sui giornali: “Per l’ex presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, Amos Luzzato,
si è trattato di un vero e proprio proclama antiebraico”. Per il
delegato dell’ambasciata israeliana a Berlino, Emmanuel Nahshon, quelle
di Grass sono accuse che ricordano l’antisemitismo vecchio stampo”. Io non ho letto nulla di simile nella poesia di Gunter Grass.
Ma non c’è nessun politico italiano che abbia l’elementare coraggio di
dire che criticare la politica di uno Stato non significa criticarne
l’etnia o la religione o il colore della pelle dei suoi abitanti?
Sarebbe come dire che attuare il sacrosanto diritto di criticare il nazismo,
realizzato dallo Stato germanico negli anni Trenta, ma accettato dalla
stragrande maggioranza della sua popolazione (“I volenterosi
carnefici di Hitler”), significhi essere razzisti antitedeschi. Ed è pur
vero che ancora oggi, fra le vecchie generazioni, gridare “arrivano i
tedeschi!” fa venire la pelle d’oca. Tu dagli torto!
C’è un’ipocrisia insopportabile. Infatti è lo stesso Stato di Israele che
si autodefinisce “stato ebraico”, termine accettato senza fare una
piega dalla sfera politica occidentale e che assume un significato
razziale, antidemocratico da Stato etico, religioso, confessionale,
lontano dalla concezione europea di stato laico. Occorre essere
identificato come ebreo per trasferirsi e vivere in Israele? Nutro dubbi
sul carattere democratico di quel paese.
La politica di uno Stato, di qualunque Stato, è criticabile e chi identifica volutamente ebraismo con Israele è ipocrita e vigliacco
se non idiota in malafede. Chi lo fa in genere non è chi critica quello
Stato ma i suoi presunti difensori! Creare uno Stato in pochi mesi (con
una direttiva ONU, dopo la guerra) in territorio altrui, assumendo la
caratteristica di una classica occupazione coloniale,
probabilmente è stato un errore fatale. E mi pare incontestabile che una
tragedia irrisolta sia in atto da allora. Ma ora lo Stato c’è (così
come la Rhodesia, oggi Zimbabwe, e il Sud Africa nel
continente africano) e quella popolazione ha tutto il diritto di vivere
in pace nel proprio Paese dove è nato. Rimediare agli errori “tornando
indietro” non è la scelta giusta. Non sarebbe giusto ora (eliminare lo
Stato di Israele e far tornare a casa loro, in Europa, i loro abitanti
quivi trasferiti dal 1948) così come non fu giusto all’atto della
creazione di uno Stato concepito come il ritorno a casa dopo duemila
anni di esilio.
Quanta ragione in più avrebbero, allora, i neri d’America
che, non duemila, ma solo duecento anni fa sono stati forzatamente,
disumanamente deportati sottraendoli alla loro terra africana e venduti e
comprati come schiavi in terra straniera al pari di animali? Che cosa
si direbbe loro se si organizzassero (sono 30 milioni!) e pretendessero
un territorio in Africa da proclamare come loro “Stato” per tornare,
così, “a casa loro”? Magari ritagliando una bella fetta di quelli più
grandi come il Congo, la Nigeria ecc. Del resto i confini di quegli
Stati erano tagliati con l’accetta dagli occidentali… Le “Black Panther” degli anni sessanta e settanta avevano anche questo obbiettivo.
C’è qualcuno, tra coloro che erano d’accordo con la nascita di Israele in Palestina,
che sia d’accordo con questa tesi? Molti Stati del Medio Oriente, Iran e
Siria soprattutto, hanno caratteristiche profondamente antidemocratiche
e mentalità medievali, sono pericolosi, razzisti e tirannici. E fin
dalla sua nascita Israele, lì in mezzo, costituisce un magnifico
pretesto per la loro odiosa politica oppressiva. Ma
Israele non fa nulla per evitare le tensioni. Anzi provoca sviluppando,
contro le decisioni ONU, l’occupazione e la colonizzazione del
territorio non suo mentre al suo interno si comporta come un classico
paese coloniale applicando una sorta di apartheid contro
la popolazione palestinese israeliana (più di un milione di persone
tenute in subalternità politica, economica e sociale). Non ha mai
applicato nessuna delle direttive Onu (migliaia ormai) compresa quella
di ritirarsi entro i suoi confini assegnati che sono quelli del 1948.
Criticare Israele, senza essere tacciati di antisemitismo, non solo è un diritto ma è un dovere per chi ama Israele, la pace, la democrazia, e la giustizia sociale.
Per Gunter Grass come per chiunque.
Fonte:il Fatto Quotidiano
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