Da Nena News
La rabbia popolare non ha fermato la Formula Uno ma il Gran Premio
non ha dato del Bahrain l’immagine di un paese tranquillo, normalizzato,
come avrebbe voluto la monarchia degli al Khalifa. Al contrario ha
riacceso la protesta. Si potrebbe riassumere così la prima giornata di
prove sul circuito di Sakhir. Ieri si sono accesi regolarmente i motori,
con la Mercedes di Nico Rosberg davanti a tutti nelle prove, ma a pochi
km di distanza hanno preso il via anche gli annunciati “tre giorni
della rabbia” proclamati dai giovani della rivoluzione del 14 febbraio.
Mentre i piloti giravano in pista, decine di migliaia di persone, 100
mila secondo gli organizzatori, sono scese in piazza a Manama, chiedendo
«riforme e libertà».
La protesta ha riempito le strade di Budaiya, nella zona ovest della
capitale. La polizia ha sparato granate assordanti e candelotti
lacrimogeni sui dimostranti quando uno spezzone del corteo ha provato a
raggiungere Piazza della Perla, il luogo in cui si erano concentrate le
manifestazioni che lo scorso anno portarono alla cancellazione del Gran
premio. La notte precedente c’erano stati scontri in diversi villaggi
abitati da sciiti, che sono maggioranza nel paese. Negli ultimi giorni
ci sono stati almeno 80 feriti e 70 arresti tra gli oppositori al
regime. I quali lottano contro la monarchia assoluta che governa il
Paese con il pugno di ferro. E in particolare chiedono la liberazione di
Abdulhadi al-Khawaja, attivista per i diritti umani arrivato al 70mo
giorno di sciopero della fame (ieri ha smesso anche di bere e le sue
condizioni sono sempre più critiche).
In mattinata il principe Salman bin Hamad Al Khalifa aveva risposto
alle domande dei giornalisti, ammettendo che il Bahrain forse «non è
perfetto», ma ribadendo che «annullare il Gran premio avrebbe
significato darla vinta agli estremisti». Sempre ieri il patron della
Formula 1, Bernie Ecclestone, ha dato l’ennesima prova di cinismo e
scarsa coscienza di quanto sta accadendo nel Paese: «Se la gente
protesta – ha detto – lo farà per qualche altro motivo, la Formula 1 non
c’entra». Secondo l’attivista Nabeel Rajab, citata dalla Bbc, «la
protesta sta avendo risalto internazionale grazie alla presenza dei
media stranieri per la Formula 1, ma dopo la repressione continuerà e il
mondo non vorrà più saperne del Bahrain».
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