La Spagna come la California, si è detto tante volte, per il suo clima costiero generoso nel dispensare sole e spiagge agli intirizziti continentali, ma anche per la somiglianza di due crisi immobiliari che hanno messo in ginocchio le rispettive economie. La California, però, non ha un debito sovrano, mentre il Paese iberico deve fare i conti con i severi parametri di Bruxelles, oltre che con agenzie di rating e investitori mondiali scettici. Succede così, che di manovra in manovra, siano sempre di più i municipi, grandi o piccoli, che non sanno più come fare per finanziare i servizi di base. Ecco allora che a qualcuno viene in mente di costruire un mega casinò, con leggi speciali proprie di un’enclave franca, nei pressi di Madrid o Barcellona, con il denaro di un magnate di Las Vegas. Ma le idee non mancano e se in uno sperduto paesino della Mancha gli abitanti del luogo hanno festeggiato l’arrivo di un cimitero di scorie nucleari, portatore di fondi europei e posti di lavoro, altri hanno pensato ad un modo più redditizio per far fruttare ampie terre poco utilizzate.
In un appartato paesino della provincia di Tarragona, al sud della Catalogna, assistiamo da alcuni giorni ad un inedito groviglio di interessi, materiali o etici, a seconda del caso, attorno ad una piantagione di marijuana. Siamo a Rasquera, un centro agricolo di poco più di novecento abitanti, che ha deciso di far fronte alla crisi con una controversa inziativa: cedere dei terreni a un’associazione antiproibizionista per la coltivazione della cannabis. E, lo diciamo subito, non si tratta di una boutade improvvisata, ma di un’iniziativa serissima con un importante appoggio legale, che ha suscitato però un immediato contrasto delle autorità di governo in tema di salute pubblica.
Bernat Pellissa, il sindaco di Rasquera, di Esquerra repubblicana, lo storico partito della sinistra indipendentista catalana, ha trovato in questo caso l’appoggio dell’opposizione e il sostegno della cittadinanza. I numeri, del resto, parlano chiaro: nelle casse municipali non ci sono i soldi neanche per pagare il servizio di raccolta dei rifiuti e il progetto portato avanti con ABCDA, l’associazione barcellonese interessata alla coltivazione di cannabis per l’autoconsumo, porterebbe inmediatamente 36.000 euro per la firma del contratto e 550.000 euro all’anno per l’affitto delle terre e la copertura di eventuali spese legali derivate dalle incognite giuridiche del progetto. Un bel colpo per il Comune, oltre ai 50 posti di lavoro che si creerebbero attorno alla piantagione che diventerebbe così il fornitore principale degli oltre 5.000 soci dell’associazione promotrice. Ma il codice civile spagnolo parla chiaro: è vietata la coltivazione, l’elaborazione e il traffico di droga, sebbene, di fatto, la Spagna sia ai primi posti al mondo per il consumo pro capite ed esistano già , specie nei Paesi Baschi, pratiche associative che convivono con la legge.
Ma questa volta, se non saranno le posizioni etiche o le azioni legali a prevalere, la ragione economica potrebbe averla vinta. Tanto più che a sostenere la depenalizzazione del consumo delle droghe leggere si sono levate in questi ultimi anni voci autorevoli di importanti economisti.
Ma questa volta, se non saranno le posizioni etiche o le azioni legali a prevalere, la ragione economica potrebbe averla vinta. Tanto più che a sostenere la depenalizzazione del consumo delle droghe leggere si sono levate in questi ultimi anni voci autorevoli di importanti economisti.
E il primo a pensarci, con una clamorosa presa di posizione in pubblico, fu niente di meno che Milton Friedman, che nel suo libro Free to choose appoggiò la legalizzazione della marjuana, seguito da 500 economisti che firmarono un appello al congresso americano. Le ragioni addotte sono varie e tutte hanno a che vedere con il fallimento delle attuali politiche di criminalizzazione delle droghe. I benefici sarebbero molteplici: la lotta al crimine organizzato, che ha nel narcotraffico uno dei suoi pilastri, la riduzione dei comportamenti violenti legati all’attuale sistema di produzione e vendita, una maggiore sicurezza socio-sanitaria rispetto al consumo e, naturalmente, introiti per le casse pubbliche.
La Spagna come la California, si era detto, dove in effetti fin dal 1996 fu approvata con un referendum la coltivazione e il possesso di marijuana per scopi terapeutici e dove, dal 2009, va avanti il dibattito per una completa liberalizzazione, che si è esteso poi ad altri Stati. Le imposte sul consumo, con addizionali ad hoc come per tabacco e alcol, e le licenze ai produttori e rivenditori, fanno leva sulla necessità di abbattere il deficit e le previsioni di introiti, a cui si sommano i risparmi derivati dalla lotta al traffico di marijuana, parlano di 1,3 miliardi di dollari all’anno per la sola California (dati: Agenzia delle entrate della California). E se le associazioni iberiche che lottano per la depenalizzazione rivendicano anche il fattore meramente ludico, di scelta personale, insomma, potrebbero dunque avere come maggiore alleato i dissestati conti pubblici del Paese. Perché se il progetto di Rasquera trovasse la via legale per andare avanti, evidentemente, si moltiplicherebbero i casi di questo tipo.
La partita è aperta e il governo del Partito Popolare si troverà a dover conciliare le due anime che lo compongono: quella più liberal, che ispira la sua politica economica, e quella più conservatrice e cattolica rispetto ai comportamenti e alle scelte individuali.
Fonte: Linkiesta.it
La partita è aperta e il governo del Partito Popolare si troverà a dover conciliare le due anime che lo compongono: quella più liberal, che ispira la sua politica economica, e quella più conservatrice e cattolica rispetto ai comportamenti e alle scelte individuali.
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