Di Eleonora Vio
Il primo presidente degli Stati Uniti di colore e dalla composita genealogia. Premio Nobel per la Pace, non tanto per i risultati ottenuti a pochi mesi dalla scalata al potere, ma per l’aura di cambiamento e rivoluzione insiti nella sua persona. Il portatore di un messaggio globale di pace e tolleranza in un momento dai pesanti squilibri tra comunitĆ vissute come distanti e ostili.
CosƬ Barack Obama era visto agli esordi della sua carriera da presidente. Il solo guardarlo e sentirlo parlare faceva sperare in un futuro migliore e in molti, in quanto vittime dirette o indirette della crisi economica o delle frazioni tra Est e Ovest tramutatisi in un testa-a-testa di natura religiosa, hanno sussurrato almeno una volta il catartico slogan “Yes, we can”.
Qualcosa si ĆØ spezzato. Difficilmente il presidente, che nel giugno 2009 all’UniversitĆ al-Azhar del Cairo affermava che “L’America non volterĆ le spalle all’aspirazione legittima dei palestinesi di acquisire dignitĆ , opportunitĆ e uno stato riconosciuto”, si concilia con l’individuo che qualche giorno fa di fronte alla lobby americana e pro-israeliana dell’AIPAC ha proclamato che “alla resa dei conti, ho il pieno supporto di Israele”.
Anche in passato, sebbene cosciente che certi proclami avrebbero attirato le critiche dei piĆ¹ intransigenti, Obama non ha mai inteso compromettere il prezioso rapporto con i fedeli alleati israeliani e con gli ebrei americani risiedenti nell’AIPAC e nella camera ovale nella fattispecie. Mantenere con loro una solida relazione andava di pari passo con l’apportare i cambiamenti sdoganati in campagna elettorale.
Obama non ha voltato le spalle ad Israele nel 2009, quando ha messo nero su bianco come una soluzione a due Stati che desse legittimitĆ ai palestinesi fosse “nell’interesse di Israele, della Palestina, dell’America edel mondo intero”. Tanto meno nel maggio del 2011, dopo aver identificato i confini del futuro Stato palestinese con quelli antecedenti alla guerra arabo-israeliana del ’67 ma apportando qualche modifica vista la densitĆ di colonie israeliane illegali (che, per inciso, Obama stesso intimava di interrompere).
La differenza tra l’Obama di allora e quello di oggi ĆØ la portata del messaggio da lui veicolato. Prima i referenti erano Israele, Palestina, l’America e il mondo intero. Ora i proclami e le politiche messi in atto dal presidente statunitense hanno come unici attori in gioco i due partner di sempre, Stati Uniti e Israele.
Thomas Friedman, penna storica statunitense, scrive sul New York Times: “L’unica domanda che mi pongo quando si parla del presidente Obama e di Israele ĆØ se lui sia il presidente americano piĆ¹ schierato con Israele o uno tra i piĆ¹ schierati”. Tale commento segue la chiacchierata rivelatrice di Obama con Jeffrey Goldberg del The Atlantic dove il presidente si sbottona e rivela il suo supporto incondizionato al partner israeliano rispetto all’impellente questione iraniana. “Fermare l’Iran dal possedere un’arma nucleare non ĆØ solo nell’interesse di Israele, ma ĆØ fondamentale per la sicurezza interna degli Stati Uniti”, dice Obama con fermezza.
L’evoluzione di Obama da un anno all’altro ĆØ graduale e sempre piĆ¹ spiccatamente in linea con la politica israeliana. “A partire dallo scorso autunno – dice l’ex portavoce dell’AIPAC John Block a The Daily Beast – si vede un reale sforzo da parte dell’amministrazione (di Obama) di lavorare con assiduitĆ per ricostruire la fiducia con la comunitĆ pro-israeliana e con il governo israeliano stesso”.
In questi termini si spiegano le mosse attuate dal “migliore amico di Israele,” come Friedman definisce poco scherzosamente il presidente statunitense. E’ finita l’era in cui, seppur bloccando ripetutamente la relativa mozione ONU per questioni diplomatiche, il presidente si faceva portavoce della necessitĆ per Israele di congelare le colonie e intimava le due parti a ripresentarsi al tavolo dei negoziati.
La causa palestinese ha fatto storia nell’immaginario del presidente Obama. E’ tempo di pensare a questioni piĆ¹ importanti: in cima alla lista c’ĆØ la sicurezza dello strategico staterello israeliano stretto nella morsa di tanti nemici pronti a sorprenderlo.
Obama ha supportato economicamente l’assistenza e riabilitazione dell’apparato militare israeliano come mai prima nella storia americana. Ha donato ingenti fondi per lo sviluppo dell’Iron Dome, il sistema di difesa aerea che permette di lanciare missili e mortai a basso raggio verso la Striscia di Gaza e ha autorizzato la vendita di macchine specializzate per la distruzione di rifugi antisommossa che era stata ritardata dal suo predecessore – dal non impeccabile trascorso – George W. Bush.
Cosa si nasconde dietro il cambiamento di rotta cosƬ precipitoso nell’andamento politico del Presidente Obama? C’ĆØ da aspettarsi che le presidenziali americane che avranno luogo da qui a pochi mesi stiano avendo una non trascurabile influenza sul suo operato.
Il candidato democratico deve rispondere alla campagna senza esclusione di colpi della controparte repubblicana e tenta di emergere alla volta di pio sostenitore d’Israele per ricevere l’appoggio della lobby israeliana d’America – che comprende l’ala ebrea e cristiana dell’elettorato – e i cospicui incentivi economici che ne derivano.
Seppur Obama di fronte all’AIPAC si sia detto pronto ad usare qualsivoglia arma diplomatica per evitare una guerra aperta contro il nemico iraniano, se lo scontro diretto non fosse evitato, il popolo americano dovrebbe se non altro avere la percezione che si tratti di un atto congiunto di Israele e Stati Uniti volto a proteggere entrambi gli interessi in gioco. Questo ĆØ il motivo per cui la questione iraniana ha scalzato tutte le altre negli scorsi giorni di dibattito.
“Obama, assieme all’esercito americano e alle agenzie di intelligence – dice Goldberg in The Atlantic – sa bene che una guerra con l’Iran avrebbe conseguenze catastrofiche per gli Stati Uniti e il mondo. Ma non puĆ² dirlo esplicitamente”.
Quale che sia la motivazione dietro alle parole e ai gesti della massima carica statunitense, e dell’uomo con in mano le sorti di una buona fetta di mondo, poco importa. Le aspettative in lui riposte sono state disilluse.
Quale che sia la motivazione dietro alle parole e ai gesti della massima carica statunitense, e dell’uomo con in mano le sorti di una buona fetta di mondo, poco importa. Le aspettative in lui riposte sono state disilluse.
Per il momento, come dice la portavoce palestinese Hanan Ashrawi, “concordo con il Presidente Obama che nessuno ha servito Israele piĆ¹ fedelmente di lui.
Da Nena News
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