Di Rosa Ana De Santis
E’ prevista per fine mese la sentenza sulla diatriba legale che da tempo il colosso farmaceutico Novartis porta avanti contro il governo indiano sulla questione dei brevetti e dei farmaci generici equivalenti, venduti a basso costo. Medici Senza Frontiere torna a ricordare che questa formula è l’unica che permette a tantissimi paesi in via di sviluppo di evitare autentici flagelli umanitari e invita la multinazionale ad abbandonare la causa.
Novartis si difende rivendicando il solo riconoscimento della proprietà intellettuale, ma è semplice dedurne una serie di conseguenze per milioni di persone e dei loro paesi ch a questo punto dovranno adempiere a ben altri oneri economici di quelli finora corrisposti all’India, considerata un po’ come la farmacia del Sud del mondo.
La politica che il governo indiano persegue sul tema del brevetto è molto attenta al valore della salute pubblica e, ad esempio, non riconosce la concessione di nuovi brevetti (e quindi nuove occasioni di affari) per semplici cambiamenti di medicinali già presenti sul mercato.
Cancro, tubercolosi, HIV, sono le malattie contro cui si combattono nei paesi in via di sviluppo le battaglie più difficili. Prima della Novartis era stata la Bayer a battersi legalmente per impedire l’introduzione sul mercato della versione generica di un proprio farmaco antitumorale. La richiesta del colosso tedesco non passò e le cure furono assicurate a milioni di pazienti poveri.
La situazione sanitaria dei paesi in via di sviluppo non è soltanto legata all’accesso ai farmaci, ma anche al know - how delle professioni sanitarie, alle infrastrutture cui ci si rivolge, al livello - spesso inesistente - della prevenzione che rimanda anche a specificità culturali e del territorio su cui intervenire non è affatto semplice.
La campagna per l’accesso ai farmaci essenziali impegna da moltissimi anni Medici Senza Frontiere e vede coinvolti numerosi organismi che operano nel settore. I cosiddetti generici nascono da principi attivi mai o non più coperti da brevetto con processo di produzione e prodotto finale copiati da ditte farmaceutiche debitamente attrezzate, mentre i brevetti sono quasi tutti in mano alle aziende farmaceutiche occidentali.
Il braccio di ferro con cui le multinazionali hanno provato a ricattare il Sud del Mondo ha raccolto clamorose sconfitte legali, come nel 2001 al Processo di Pretoria in Sudafrica e con la Dichiarazione di Doha, con la quale è stata ribadita la priorità del diritto di cura sul business. E’ del resto il principio che sovraintende qualsiasi sistema pubblico sanitario in cui le cure essenziali vengono garantite come diritto e non come prestazioni commerciali.
Altrettanto vani tutti i tentativi di intromettersi nella politica dei prezzi dei generici con l’evidente indifferenza a cosa sarebbe accaduto ai milioni di persone ammalate nei paesi poveri. Se infatti i brevetti sono appannaggio di pochi, se le capacità economiche sono tutte dell’Occidente, è evidente che ai paesi in via di sviluppo non rimangono che due possibilità : fare in casa o quasi i farmaci con una politica dei prezzi sostenibili oppure, evidentemente, lasciar morire le persone per mancanza di capacità economica.
Pur con i generici la situazione dei paesi poveri è tutt’altro che risolta. Le pressioni politiche, le difficoltà di approvvigionamento e la corruzione di molti governi in combutta con gli affari del nord del mondo, sono tali per cui la penuria di farmaci taglia comunque fuori interi paesi o aree di essi. Ed è li che solo lo sforzo delle organizzazioni umanitarie riesce, faticosamente, a strappare migliaia di persone dalla condanna a morte.
Peraltro, ad inquinare il dibattito internazionale, si aggiunge un problema emergente nei paesi in via di sviluppo: quello dei farmaci contraffatti. La questione viene spesso e ad arte confusa con la questione dei farmaci generici che nulla invece hanno a che vedere con le medicine falsificate, ovvero sotto dosate, che producono fallimenti terapeutici, pericolose resistenze o tossicità vere e proprie.
Il dogma dei brevetti, anche sui famosi test genetici sempre più diffusi in Occidente, sta alimentando sempre di più riflessioni di ordine morale non soltanto sulla politica economica che ne consegue, ma anche sulla correttezza concettuale di ammettere la brevettabilità del genoma umano al pari di un prodotto commerciale o di laboratorio. L’etica, lo vogliano o no i colossi del farmaco, non può prescindere dal mercato dei loro prodotti proprio per la natura degli stessi. Non sono capi d’abbigliamento, non sono scarpe, ma beni fondamentali per la vita.
E nel caso dei paesi poveri bisogna riconoscere, senza falso stupore, che il comportamento delle multinazionali dei farmaci è coerente con quello di tutte le altre imprese occidentali. Dalle coltivazioni transgeniche, allo sfruttamento della manodopera, all’imposizione del latte in polvere la storia di un nuovo colonialismo efferato, apparentemente non violento, è presto documentato. Ma non c’è dubbio che la cura negata ad una persona malata e povera, sia molto di più che il volto cinico degli affari. Piuttosto l’immagine migliore del male.
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