Di John Pilger
Le diffamazioni sui media suggeriscono una complicità svedese nelle mosse di Washington per punire Julian Assange
La guerra dei media, secondo la più recente dottrina militare, è importante quanto quella sul campo. Ciò avviene perché il vero nemico è l’opinione pubblica nazionale, la cui manipolazione e inganno sono essenziali per scatenare una guerra coloniale impopolare. Così come per l’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq, gli attacchi a Iran e Siria richiedono uno stillicidio sulla coscienza dei lettori e degli spettatori. È l’essenza della propaganda, che raramente si presenta con il vero nome.
Umiliando molte autorità e rappresentanti dei media, WikiLeaks ha fatto cadere la maschera che copriva i rapporti di connivenza tra i rapaci poteri occidentali e il mondo del giornalismo. Si tratta di un tabù di vecchia data; la BBC poteva affermare di essere imparziale e aspettarsi che tutti ci avrebbero creduto.
Oggi il pubblico è sempre più cosciente della guerra dei media, così come del processo mediatico ordito nei confronti dell'editore e fondatore di Wikileaks, Julian Assange.
Oggi il pubblico è sempre più cosciente della guerra dei media, così come del processo mediatico ordito nei confronti dell'editore e fondatore di Wikileaks, Julian Assange.
Presto Assange saprà se la Corte Suprema di Londra avrà accettato il suo ricorso contro l'estradizione in Svezia, dove dovrà rispondere delle accuse di molestie sessuali, molte delle quali sono state rigettate dal Pubblico Ministero di Stoccolma. In custodia cautelare da sedici mesi, ostracizzato e sottoposto agli arresti domiciliari, non gli sono state confermate accuse a suo carico. Il suo “crimine” è una forma epica di giornalismo investigativo: ha rivelato a milioni di persone le bugie e gli intrighi dei politici e dei funzionari, e la barbarie di guerre criminali condotte nel loro nome.
Per questo motivo, come espresso dallo storico americano William Blum, “decine di membri dei mezzi di comunicazione americani e funzionari pubblici hanno auspicato la [sua] condanna o il suo omicidio”. Se Assange dovesse passare dalle mani del governo svedese a quelle del governo degli Stati Uniti, gli verrebbero riservate una tuta arancione, delle catene e un'accusa prefabbricata. E il posto in cui finiscono tutti quelli che osano sfidare l’America canaglia.
Nel Regno Unito il processo dei media contro Assange ha preso le sembianze di una campagna, spesso inumana e codarda, per distruggere il personaggio, che tanto puzza di invidia per questo coraggioso outsider, mentre sono stati pubblicati libri ricolmi di pettegolezzi perfidi, sono stati firmati contratti cinematografici e sono state lanciate o resuscitate carriere nel mondo dei media basate sul presupposto che egli fosse troppo povero per essere perseguito legalmente. In Svezia questo processo da parte dei media è diventato, secondo l'opinione di un osservatore del posto, “una campagna di mobbing a tempo pieno contro una vittima senza possibilità di difendersi”. Per oltre 18 mesi il salace Expressen, l'equivalente svedese di The Sun, è stato rimpinzato di calunnie propinategli dalla polizia di Stoccolma.
L'Expressen è il megafono della Destra svedese, in figura il partito conservatore che è a capo della coalizione di governo. Il suo ultimo “scoop” è stato l'accusa non dimostrata sulla “grande guerra di WikiLeaks contro la Svezia”. Il 6 marzo l'Expressen ha affermato, senza alcuna prova, che WikiLeaks gestiva una cospirazione contro la Svezia e il suo Primo Ministro, Carl Bildt. Il risentimento politico è comprensibile. In un cablogramma dell'ambasciata degli Stati Uniti del 2009 intercettato da WikiLeaks, la tanto vantata posizione di neutralità dell'élite svedese si dimostra fasulla. (Titolo del cablogramma: “La Svezia butta la neutralità nel cestino della storia”.) Un altro messaggio diplomatico degli Stati Uniti rivela che “la misura della cooperazione [dell'intelligence e dell'esercito svedese con la Nato] non è nota a tutti” e, se non venisse tenuta segreta, “potrebbe esporre il governo a critiche a livello nazionale”.
La politica estera svedese è pesantemente controllata da Bildt, la cui deferenza nei confronti degli Stati Uniti risale alla sua difesa della guerra in Vietnam e annovera anche la sua guida del Committee for the Liberation of Iraq di George W. Bush. Conserva legami stretti con personalità dell’estrema Destra del Partito Repubblicano, come lo spin doctor di Bush, Karl Rove, ormai caduto in disgrazia. Si sa che il suo governo ha discusso “informalmente” del futuro di Assange con Washington, che ha chiarito la propria posizione. Un documento segreto del Pentagono descrive come l'intelligence americana abbia pianificato di distruggere “il centro di gravità” di WikiLeaks con “minacce di querele [e] procedimenti penali”.
In molti media svedesi, il giustificato scetticismo dei giornalisti sulle accuse contro Assange è sopraffatto dallo sciovinismo difensivo, come se l'onore della nazione fosse stato compromesso dalle rivelazioni che hanno riguardato la dubbia moralità di poliziotti e politici, figure universali.
Sulla TV di stato svedese gli “esperti” non discutono della tendenza sempre più militarista del Paese e del suo servilismo verso la NATO e Washington, ma delle condizioni mentali di Assange e della sua “paranoia”.
Un titolo comparso su Aftonbladet di martedì recita: “Il crollo morale di Assange”. L'articolo insinua che Bradley Manning, la presunta fonte di WikiLeaks, potrebbe non godere del pieno possesso delle facoltà mentali, e attacca Assange per non aver protetto Manning. Non si fa menzione del fatto che la sorgente era anonima, che non è stata dimostrata alcuna connessione tra Assange e Manning e che Aftonbladet, il partner svedese di WikiLeaks, ha continuato a pubblicare imperterrito le stesse indiscrezioni.
Ironicamente, questo circo ha avuto luogo malgrado le leggi più illuminate per la tutela dei giornalisti, ed è stato proprio per questo che nel 2010 Assange decise di spostare in Svezia la sede di WikiLeaks. Se dovesse essere concessa l'estradizione, con la vendetta di Washington e una spada di Damocle maliziosa che pendono sulla sua testa, chi proteggerà Assange e chi ci assicurerà la giustizia a cui tutti abbiamo diritto?
Fonte: The dirty war on WikiLeaks
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