Di Giorgio Cattaneo
Se pensate che non si possa vivere senza l’euro, andate in Sardegna e
provate a dire in giro che pagherete in Sardex. A parte benzina,
farmaci ed energia
elettrica, potrete comprare tutto, sia beni che servizi. E quindi
alberghi, dentisti, falegnami, elettricisti, meccanici, consulenti di
marketing. Ma anche sale congressi, corsi di lingua inglese, pubblicità
sui giornali locali. E poi vestiti, mobili, ristoranti e persino la
connessione Internet. Oltre a cibo, vino e carni, tutto rigorosamente
sardo. Il Sardex è la “moneta a chilometro zero”. Solo che non è una
moneta, nel senso che fisicamente non esiste. Non ne hanno stampato
nemmeno una banconota: esiste solo su Internet.
Tutti i Sardex in circolazione – oltre un milione, ma il dato cresce
ogni giorno – stanno su un server, un computer in un piccolo comune
agricolo tra Cagliari e Oristano: Serramanna. «Qui, in un bel casolare – scrive Riccardo Luna il 20 gennaio su “Repubblica”
– l’hanno inventato quattro ragazzi, sardi naturalmente, non solo di
nascita, ma di cultura. Fieri della loro terra». Quattro ragazzi che si
erano stufati di sentirsi dire che i sardi sono «pochi, matti e divisi».
Il Sardex sta già smentendo i luoghi comuni, perché si basa su due
principi di vita: «Il primo è che se il tuo vicino guadagna, stai meglio
anche tu; e il secondo afferma che nessuno se ne va col bottino e
nessuno resta solo».
La storia inzia nel 2006 da quattro amici: Carlo Mancosu, Piero Sanna, Giuseppe e Gabriele Littera. «Non hanno studiato economia
– racconta Luna – ma sono affascinati dal tema delle monete
complementari, le alternative currencies». Nel mondo ce ne sono
centinaia, spinte dal web e dalla fiducia reciproca invece che da una
imposizione legale. Secondo il “Wall Street Journal”, con la crisi di dollaro ed euro, rappresentano un possibile futuro dell’economia.
Alcune sono molto controverse, al limite della legalità, come i Liberty
Dollars o i Bitcoin; altre stanno avendo un buon successo come il Res belga o la sterlina ecologica di Brixton.
In Italia il fenomeno non è nuovo, racconta a “Repubblica” Pierluigi
Paoletti, 52 anni, ex consulente finanziario oggi vicino a “Occupy Wall
Street”, convinto del fatto che «la moneta è solo un sistema di
sopraffazione che serve a fare i ricchi più ricchi». Il primo
esperimento italiano, ricorda Paoletti, risale al luglio del 2000 quando
il giurista abruzzese Giacinto Auriti, che si batteva contro l’usura,
emise il Simec nel suo piccolo comune natale di Guardiagrele: i
pensionati si entusiasmarono per questa improvvisa iniezione di
liquidità ma la Guardia di Finanza
ne decretò bruscamente la fine. Tre anni dopo, in Calabria, il
presidente del parco dell’Aspromonte Tonino Perna fece stampare alla
Zecca dello Stato l’Ecoaspromonte: «Era bellissimo, troppo forse, ed
ebbe breve vita».
Nel 2007, a Napoli, l’associazione Masaniello stampa gli Scec, “lo
sconto che cammina”, un network fatto di ormai 10.000 associati e
duemila imprese: «Formalmente e fiscalmente è uno sconto – spiega
Paoletti – ma in realtà è un dono che tu fai a un altro membro della
comunità affinché lui spenda i suoi soldi lì». I modelli sono tanti, ma
nell’estate del 2006 i quattro ragazzi sardi si entusiasmano per
l’antica vicenda del Wir, una moneta creata in Svizzera da 16
imprenditori per superare la crisi
del ‘29: oggi rappresenta una rete di 80.000 aziende locali. Proprio
sul modello elvetico, nel luglio 2009 viene varato il Sardex: «Ci
vogliono nove mesi a mettere a segno la prima transazione», scrive
“Repubblica”, e da allora «è un crescendo continuo, 420 aziende affiliate e un totale delle transazioni quadruplicato in un anno».
Come funziona una moneta che non c’è? «Come una camera di
compensazione di crediti e debiti», spiegano gli inventori della moneta
sarda. Quando un’azienda entra nel circuito le vengono assegnati dei
Sardex: «È un fido bancario, ma senza interessi». L’assenza di interessi
è un punto fondamentale: non si fa denaro con il denaro, i soldi
servono solo a scambiarsi beni e servizi. Questa apparente eresia si
chiama finanza
etica. E quindi, continua “Repubblica”, i Sardex assegnati a chi
aderisce rappresentano l’importo di beni e servizi che ciascuno è
disposto a vendere e a comprare nel network. Entro dodici mesi, quella
posizione va pareggiata: se una azienda è in difficoltà si muovono tutte
le altre e se proprio è impossibile tornare in pareggio – ma non è
ancora mai accaduto – la posizione viene saldata in euro.
«L’euro però non scompare», spiega Riccardo Luna, «e non solo perché
ogni azienda decide di usare i Sardex per smaltire le possibili giacenze
di magazzino, i probabili tavoli vuoti al ristorante, le ore inoperose
di un artigiano. Ma perché in euro si pagano l’Iva, le altre imposte, i
contributi previdenziali. E questo rende il business legale, oltre che
trasparente: l’evasione nel mondo dei Sardex è impossibile, essendo
tutto tracciato in tempo reale». I veri vantaggi sono altri, però. «La
ricchezza resta sul territorio e vengono valorizzati i prodotti locali».
E con la crisi
in corso non è poco. Per questo il Sardex va. Renato Soru, l’inventore
di Tiscali, ne è un sostenitore entusiasta e prevede una espansione in
tutta Italia: in Sicilia sta partendo un network gemello che si chiama
Sicanex; a Torino in consiglio comunale il Popolo della libertà e i grillini concordano sulle necessità di creare il Taurino; e a Nantes, in Francia, due italiani sono al lavoro per creare il Bonùs.
Lo scorso 8 dicembre, Giuseppe Littera si è messo la coppola ed è
andato alla City di Londra dove è stato invitato a svelare l’arcano
sardo a una platea di investitori internazionali; nel frattempo i
dirigenti della Banca Centrale dell’Ecuador sono stati qualche giorno a
Serramanna per imparare. E finalmente sono arrivati i soldi (in euro) di
un venture capital per sviluppare il progetto con obiettivo
stratosferico: in dieci anni transare il 10% dell’economia
sarda, due miliardi e rotti di euro. Ci riusciranno? «Dipende da come
andrà il passaggio da moneta fra aziende (com’è adesso) a moneta per
consumatori, previsto in primavera», spiega “Repubblica”, secondo cui
«comunque vada a finire, l’impressione è che la guerra all’euro sia appena iniziata».
Del Sardex parlerà il 4 febbraio in valle di Susa Giovanni Acquati (finanza etica), nell’ambito della ressegna “Il Grande Cortile”, con Marco Berlinguer, sul tema dell’economia
dei territori, a partire dall’esperienza del cartello “Etinomia” che
raggruppa 160 imprenditori No-Tav. Appuntamento a Villardora, ore 15.
Da Libre
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