Un rapporto balistico presentato ieri al tribunale di Parigi attribuisce agli estremisti Hutu l’attentato contro il presidente del Ruanda Juvénal Habyarimana avvenuto nel 1994, che fu l’innesco per ilmassacro che nei tre mesi successivi fece più di 800.000 morti nel Paese. Dal rapporto emerge senza alcun dubbio che il missile che abbatté l’aereo su cui viaggiava il capo di Stato proveniva dal campo della sua guardia presidenziale. I risultati dell’indagine dell’équipe di tecnici, incaricati dal giudice antiterrorismo Marc Trévidic di stabilire la dinamica dell’attentato del 6 aprile 1994, hanno posto così un termine al dibattito francese durato 18 anni e tolto ogni possibile ombra di responsabilità nell’omicidio dell’attuale presidente del Ruanda Paul Kagame.
Nel 2006, il giudice che precedette Trévidic, Jean-Louis Bruguière, accusò infatti Kagame e i tutsi di aver ucciso Habyarimana. La teoria secondo la quale i tiri che colpirono il velivolo presidenziale provenissero dalla collina di Masaka, a Kigali, e che a lanciarli fossero stati i ribelli del Fronte patriottico ruandese (Fpr) con lo scopo di impadronirsi del potere trovò allora il sostegno di molti “specialisti” in Francia. La tesi implicava perciò che i ribelli avrebbero provocato con questa decisione la rovina della loro stessa etnia e, inoltre, smentiva che il genocidio potesse essere stato pianificato. Alcuni sostenitori della cosiddetta “tesi Masaka” arrivarono al punto di giustificare il massacro, in quanto vendetta spontanea del popolo hutu per l’attentato subito.
L’inchiesta di Bruguière e nove mandati di arresto nei confronti di esponenti del Fpr provocarono non pochi problemi ai rapporti diplomatici tra Parigi e Kingali. Kagame rifiutò sempre le accuse e il governo del Ruanda fu unanime nel credere che il giudice Bruguière fosse stato orientato da una direttiva governativa nella gestione del processo, con la finalità di distogliere l’attenzione dalleresponsabilità effettive che la Francia stessa ebbe nel massacro dei tutsi.
La nuova perizia, disposta da Trévidic nel settembre del 2010, si dimostra fondata su una base scientifica solida: dallo studio della traiettoria del missile basato sull’impatto sulla carcassa dell’aereo è emerso che il colpo partì da meno di un chilometro di distanza dal velivolo che stava atterrando all’aeroporto di Kigali e, dunque, dall’area occupata dalle truppe presidenziali. L’evidenza dell’impossibilità per i ribelli tutsi di introdursi in quel territorio per mettere in pratica l’attentato ha convinto perciò gli investigatori ad aprire una nuova pista, quella degli estremisti delle file di Habyarimana. Il risultato a cui l’indagine è pervenuta corrisponde esattamente alla versione fornita da Kagame, che ha sempre insistito sulla responsabilità degli hutu più estremisti, che consideravano il presidente troppo moderato e cercavano un pretesto per scatenare la premeditata strage.
Furono gli stessi ufficiali che gravitavano attorno al capo dello Stato a tradirlo. Nell’agosto del 1993 il presidente aveva siglato degli accordi di pace con il Fpr e la comunità internazionale faceva pressioni affinché gli accordi venissero applicati. Il 6 aprile del 1994 il presidente proveniva da un incontro a Dar es-Salaam, in Tanzania, dove era stato trattato il processo di pacificazione, e a Kigali era atteso dal direttore di gabinetto del governo che gli avrebbe fatto firmare la lista del futuro governo di transizione. Alcuni però, contrari alla pace, premettero il grilletto che scatenò l’immenso orrore del terzo genocidio della storia.
Il massacro che seguì all’assassinio di Habyarimana tra il 6 aprile e il 4 luglio del 1994 condotto dal regime hutu contro la popolazione tutsi fece più di 800.000 morti. Il rapporto presentato martedì dimostra finalmente senza ombra di dubbio che si trattò di un massacro pianificato fin dal 1991 e che l’attentato al presidente del Ruanda non fu altro che un pretesto per scatenare la carneficina.
Da E-il mensile
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