Damasco accetta l’ultimatum della Lega Araba per l’ingresso degli ispettori. Bloccate le nuove sanzioni previste contro Bashar. Dietro le quinte i Paesi del Golfo sperano di liberarsi di un regime nemico e di favorire la salita al potere dei Fratelli Musulmani. E Hamas continua a tacere, spezzata da contraddizioni interne.
Di Emma ManciniBeit Sahour (Cisgiordania), 5 dicembre 2011, Nena News (nella foto, il presidente siriano Bashar al-Assad) – La Siriaaccetta la richiesta della Lega Araba e apre la porta di casa agli osservatori internazionali. Sabato il comitato ministeriale della Lega aveva concesso a Damasco altre 24 ore per permettere l’ingresso nel Paese di osservatori internazionali. Le 24 ore erano trascorse senza che il presidente Bashar al-Assad non avesse dato alcuna risposta.
Risposta che è giunta oggi per bocca del ministro degli Esteri siriano, Walid al-Moallem. In una lettera indirizzata a Nabil Elaraby, presidente della Lega Araba, Damasco dice di “rispondere positivamente” alla richiesta dell’organizzazione.
Il regime alawita di al-Assad potrebbe così evitare le nuove sanzioni economiche e finanziarie minacciate e che si aggiungeranno alle misure che il mondo arabo, l’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno fatto piovere nelle scorse settimane sopra il regime alawita, accusato di reprimere nel sangue le proteste di piazza: secondo l’ultimo report delle Nazioni Unite, sarebbero almeno 4mila i manifestanti uccisi dalle forze di sicurezza governative. Uno scudo, quello della difesa dei diritti umani, che Occidente e Paesi del Golfo stanno utilizzando nell’obiettivo di far cadere il regime di Bashar e aprire la strada ai Fratelli Musulmani, nuovi partner di Stati Uniti e Unione Europea.
Ieri un funzionario del governo del Qatar aveva fatto sapere che la Siria aveva chiesto alla Lega Araba “nuovi chiarimenti e ulteriori modifiche al protocollo proposto per il dispiegamento della missione degli osservatori”. Una richiesta rigettata dai ministri dei Paesi membri della Lega, che come risposta hanno concesso soltanto un estensione dell’ultimatum.
Le nuove sanzioni che la Lega Araba ha minacciato di imporre a Damasco prevedono l’embargo nella vendita di armi da parte dei Paesi arabi al presidente al-Assad e il taglio della metà dei voli di compagnie arabe da e per la Siria a partire dal 15 dicembre. Inoltre, è stata redatta una lista nera di 19 ufficiali siriani a cui sarà proibito l’ingresso nei Paesi della Lega: tra loro il generale Maher al-Assad, fratello del presidente Bashar e capo della Quarta Divisione Corazzata, e Rami Makhluf, cugino e noto magnate delle telecomunicazioni. Nella lista anche i capi militari e dell’intelligence siriana e i ministri della Difesa e degli Interni.
A questi la Lega starebbe pensando di aggiungere anche uomini di affari e imprenditori, di modo da fare pressioni a livello economico: “Questo è un messaggio ai businessman rimasti in silenzio – ha detto Najib Ghadban, membro del Consiglio Nazionale Siriano, partito di opposizione – così sceglieranno da quale parte stare”. Una pressione economica che la Lega aveva avviato alla fine di novembre con la prima ondata di sanzioni (congelamento immediato delle transazioni con la Banca Centrale di Damasco e degli accordi economici in atto tra i Paesi arabi e la Siria) e che solo qualche giorno fa era stata rafforzata dalla Turchia, ex alleato del presidente Bashar: Ankara ha stabilito sanzioni finanziarie ed economiche particolarmente dure, nell’obiettivo di cavalcare la situazione e sostituire la Siria nel suo ruolo di leadership del mondo arabo.
E proprio ieri, la Turchia ha aggiunto la sua voce a quella statunitense: Washington e Ankara si sono detti pronti ad aiutare il popolo siriano nel momento in cui Bashar dovesse cadere, senza pensare ad alcuna operazione militare contro il regime alawita. La missione degli osservatori rappresenterebbe “un modo pacifico per tentare di fermare questo ciclo di violenza in cui Assad ha coinvolto la Siria”, ha detto ieri Jeffrey Feltman, assistente del Segretario di Stato Usa per gli affari del Vicino Oriente. Aggiungendo che Damasco ha trovato nell’alleato iraniano il supporto necessario alla repressione della spinta democratica del popolo siriano.
Il timore americano e turco è quello di infiammare ulteriormente un mondo arabo in rivoluzione, soprattutto in vista dalla prossima partenza delle 20mila truppe americane dall’Iraq. John Biden, in un’intervista, si è detto sereno: il collasso del regime di al-Assad non provocherebbe necessariamente un contagio del conflitto settario in atto in Siria, tra maggioranza sunnita e minoranza alawita-sciita.
Ma la caduta di Bashar permetterebbe ai poteri occidentali e alla Lega Araba di spezzare lo stretto legame tra Hezbollah, Siria e Iran, asse sciita che in particolare i Paesi del Golfo hanno bisogno di sostituire. Tanto da non far mancare le proprie pressioni anche contro il regime iraniano. Ma se contro Teheran gli Stati Uniti non hanno alcun timore di imporre ulteriori sanzioni, diverso è il ruolo di Ankara: la Turchia importa il 30% del proprio fabbisogno energetico dall’Iran, importante partner commerciale.
Se Bashar cadesse, il mondo arabo perderebbe uno dei pochi esempi di Stato laico, insieme a Libano e Algeria. I Fratelli Musulmani in breve tempo sono riusciti nell’obiettivo di conquistare il controllo di Tunisia, Egitto (insieme ai salafiti), Marocco, Libia. Sono maggioranza in Sudan, Giordania, Paesi del Golfo. Un’eventuale sconfitta del regime di al-Assad in Siria permetterebbe la creazione di un regime islamista unico in tutta la regione, quello dei Fratelli Musulmani, ora considerati validi alleati da Stati Uniti e Europa.
Che non temono di utilizzare diritti umani e democrazia per distruggere un regime, quello siriano, protagonista di riforme laiche dall’economia ai diritti delle donne. Riforme a cui i media occidentali non danno alcuno spazio, come non danno voce alle manifestazioni di massa nelle piazze siriane a favore del regime alawita.
E proprio il ruolo e gli obiettivi dei Fratelli Musulmani, la maggior forza di opposizione in Siria, sono la spiegazione al silenzio assordante di Hamas. Il partito palestinese tace da mesi, non assume posizioni in merito alla crisi siriana e sta lasciando gradualmente il Paese, storico quartier generale di Hamas all’estero: decine di membri di Hamas stanno tornando a Gaza o si stanno spostando in Giordania.
Storicamente alleato di Bashar, Hamas ora si trova a vivere una seria contraddizione interna: da una parte il suo ruolo di opposizione ai regimi coloniali occidentale e sionista e la resistenza di cui è protagonista in Palestina, dall’altra l’appartenenza ai Fratelli Musulmani. Un’appartenenza che lo avvicina a Stati Uniti, Europa e Paesi del Golfo, costringendolo ad un dannoso silenzio. Se Bashar al-Assad dovesse cadere, il Medio Oriente perderebbe la sua leadership laica. Nena News
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