Visto la scottante attualità,dopo i tragici fatti di Firenze e Torino,ripropongo questo articolo di Matteo Bean(un giornalista freelance triestino morto in Messico a giugno)contro il razzismo e il controllo sociale derivante da esso.Il dividere l'umanità su gerarchiche basi razziali,etniche,fisiche,mentali,culturali e sociali e (aggiungo)gli esseri viventi in gerarchiche basi speciste ,oltre ad essere innaturale,non fa altro che allontanarci da ciò che siamo veramente,ovvero esseri viventi,aventi tutti specifiche differenze ma uguali nell'essenza e nella condizione di abitanti del Pianeta Terra e dell'Universo.Infatti il Dividi et Impera è sempre stata la strategia del Potere,di ogni Potere,la base dell'odio e dello sfruttamento che da migliaia di anni ci opprime.Si tratta,ora,di combattere contro questa ingiusta e opressiva logica e cercare la libertà,la vera libertà,uniti nelle diversità.
Salvatore Santoru
Nessun essere umano è illegale
Oltre
all’enorme quantità di norme nazionali e continentali che cercano di
regolare il fenomeno migratorio – come sostengono i loro promotori – o
meglio reprimerlo e controllarlo – come dicono gli oppositori – c’è un
aspetto di queste politiche pubbliche che è necessario segnalare e
denunciare non solo per la loro assoluta mancanza di rispetto delle
leggi fondamentali su cui si poggia (o dovrebbe poggiare) lo stato di
diritto ma anche per il loro manifesto carattere inumano. Mi riferisco
ai Centri d’Identificazione ed Espulsione che possiamo anche chiamare
Centri d’Internamento per Stranieri (i famosi CIE). Ad ogni modo questi
centri non sono altro che centri di detenzione per migranti privi di
documenti, del tutto simili a quelli che in altre parti del mondo sono
chiamati Stazioni Migratorie. L’apparente disputa sul modo di chiamare
questi spazi non è triviale, infatti dal loro nome passa la costruzione
dell’immaginario collettivo riguardo l’opportunità di rinchiudere degli
esseri umani la cui unica responsabilità è quella di non avere i
documenti che giustifichino la loro permanenza su un determinato
territorio.
La detenzione amministrativa. Il
Observatori del Sistema Penal i els Drets Humans (OSPDH), della
Universidad de Barcelona ha definito i CIE come “strutture pubbliche di
carattere non penitenziario per la detenzione, la custodia e la messa a
disposizione dell’autorità giudiziaria degli stranieri soggetti a una
procedura di espulsione dal territorio nazionale”. Da parte loro le
leggi nazionali di ogni paese membro dell’Unione Europea non si trovano
d’accordo sulla definizione di che cosa siano esattamente questi spazi.
Ciononostante tutte le legislazioni sono d’accordo sul fatto di
rifiutare la penalizzazione della “mancanza di documenti” per la
permanenza legale. D’altro canto, però, c’è una convergenza anche per
quanto riguarda la prassi di “trattenere amministrativamente” chi non
possiede questi documenti.
Il concetto di “detenzione amministrativa” è stato introdotto in sequenza in tutto il continente europeo a partire dagli anni ottanta attraverso le diverse legislazioni nazionali. Lo stato spagnolo per esempio ha introdotto tale norma – chiamata “internamento” – con la Legge Quadro 7/1985 sui diritti e le libertà degli stranieri. In Italia invece questa figura legale è stata introdotta solamente nel 1998 con la Legge 40/98 che andava a modificare la prima legge sulla migrazione del 1990.
Il concetto di “detenzione amministrativa” è stato introdotto in sequenza in tutto il continente europeo a partire dagli anni ottanta attraverso le diverse legislazioni nazionali. Lo stato spagnolo per esempio ha introdotto tale norma – chiamata “internamento” – con la Legge Quadro 7/1985 sui diritti e le libertà degli stranieri. In Italia invece questa figura legale è stata introdotta solamente nel 1998 con la Legge 40/98 che andava a modificare la prima legge sulla migrazione del 1990.
In
generale tutte le norme hanno in comune il fatto che la “detenzione
amministrativa” ha la funzione di trattenere il migrante senza documenti
“quando non è possibile rendere esecutiva l’espulsione accompagnando
[lo straniero] alla frontiera o non è possibile espellerlo perché deve
essere soccorso o sono necessarie ulteriori verifiche sull’identità o la
nazionalità, oppure è necessario un tempo di attesa per ottenere i
documenti per il viaggio [di ritorno], o per mancanza di un mezzo di
trasporto adeguato”. Analizzando questo concetto, molti osservatori e
analisti continuano a segnalare quantomeno come sorprendente il fatto
che si possa privare una persona della libertà per assicurare
un’eventuale sanzione amministrativa. E’ lì dove troviamo secondo i
critici le maggiori contraddizioni. Considerando che, in pratica, la
condizione del migrante senza documenti non è perseguibile penalmente,
ci si chiede come sia possibile togliere la libertà per questioni
amministrative, per un delitto che potrebbe anche assimilarsi a
un’infrazione del codice della strada.
Brutale, fredda e orwelliana.
Brutale, fredda e orwelliana.
Ancora
oggi sono poche le persone che sono potute entrare in un CIE che non
fossero appartenenti alle forze dell’ordine, membri del governo e del
parlamento o migranti detenuti. Anche se i CIE non sono formalmente
delle carceri e i migranti sono trattenuti in qualità di “ospiti”, la
verità è che questi non possono uscire dalle strutture dei CIE. Oltre a
questo bisogna segnalare che, sebbene le strutture di detenzione in
generale sono date in gestione a imprese private – in molti casi
organizzazioni della stessa società civile europea più inclinate a
gestire l’esistente anziché cercare di cambiarlo – sono i governi
nazionali che s’occupano della sicurezza nei CIE. In altre parole anche
se i migranti formalmente potrebbero uscire dai Centri, dato che secondo
la legge sono passibili di sole sanzioni amministrative, esistono
comunque muri, fili spinati videocamere e centinaia di poliziotti
frapposti tra loro e la libertà.
Questi
controlli, però, non solo impediscono ai migranti di esercitare il
diritto alla libera circolazione ma precludono anche a noi che stiamo
fuori, noi cittadini o migranti “regolari”, la possibilità di entrare e
sapere che cosa succede veramente lì dentro. L’informazione è talmente
scarsa da gridare allo scandalo. Infatti sono all’ordine del giorno le
denunce di abusi contro i detenuti da parte della autorità, così come
l’assenza di servizi, i tentativi di ribellione e di fuga – spesso
riusciti – e anche i maltrattamenti, le molestie psicologiche e
sessuali. La lista potrebbe continuare e rompere il muro del silenzio
che circonda questi spazi che la società civile europea, nelle sue
componenti solidarie con la causa dei migranti, non esita a definire
come “campi di concentramento”.
Non li chiamerei “campi di concentramento” in quanto i nazisti pensavano di annichilire la persona fino alla sua eliminazione fisica. “Nei CIE non si arriva a tanto”, dice Fabrizio Gatti, un giornalista italiano che nel 2005 riuscì a introdursi in un CIE facendo finta di essere un immigrato mediorientale e in seguito denunciò gli abusi cui sono soggetti i detenuti. “Mi piacerebbe che se domani si scrivesse una storia della migrazione, questi luoghi venissero chiamati con la loro brutale, fredda e orwelliana sigla: CIE. Questa sigla dice tutto”. Effettivamente sembra proprio così dato che i centri di detenzione per migranti rappresentano quasi un mondo a parte in cui nessuno sa che cosa succede e come. Dinnanzi a tutto ciò la rete euro africana delle organizzazioni civili per i diritti dei cittadini migranti, la Migreurop, ha organizzato quest’anno la seconda visita ai CIE della Germania, dell’Italia, della Francia e della Spagna come conseguenza della lunga campagna lanciata a livello continentale dal titolo piuttosto chiaro: per il diritto di ispezione nei luoghi di confino.
Non li chiamerei “campi di concentramento” in quanto i nazisti pensavano di annichilire la persona fino alla sua eliminazione fisica. “Nei CIE non si arriva a tanto”, dice Fabrizio Gatti, un giornalista italiano che nel 2005 riuscì a introdursi in un CIE facendo finta di essere un immigrato mediorientale e in seguito denunciò gli abusi cui sono soggetti i detenuti. “Mi piacerebbe che se domani si scrivesse una storia della migrazione, questi luoghi venissero chiamati con la loro brutale, fredda e orwelliana sigla: CIE. Questa sigla dice tutto”. Effettivamente sembra proprio così dato che i centri di detenzione per migranti rappresentano quasi un mondo a parte in cui nessuno sa che cosa succede e come. Dinnanzi a tutto ciò la rete euro africana delle organizzazioni civili per i diritti dei cittadini migranti, la Migreurop, ha organizzato quest’anno la seconda visita ai CIE della Germania, dell’Italia, della Francia e della Spagna come conseguenza della lunga campagna lanciata a livello continentale dal titolo piuttosto chiaro: per il diritto di ispezione nei luoghi di confino.
Nonostante
le difficoltà di tipo amministrativo, alcuni rappresentanti della
società civile europea, accompagnati da alcuni deputati di diversi
paesi, hanno potuto visitare alcuni dei CIE esistenti nella UE. Le
conclusioni della carovana che è stata in questo viaggio-missione per
l’Europa dal 7 marzo all’uno aprile sono chiare e non lasciano adito a
dubbi: “L’obiettivo di questa seconda campagna della rete Migraeurop,
che ha chiesto nel 2010 la chiusura dei centri di internamento di
cittadini stranieri dentro e fuori dall’Europa, era rendere note le
condizioni di confino dei migranti e la violazione sistematica dei loro
diritti. Le differenti visite realizzate hanno permesso di mettere in
evidenza le loro difficoltà materiali e nell’accesso ai diritti così
come la mancanza di trasparenza su quanto in realtà sta succedendo
dentro i centri. Rendendo così manifesti gli effetti nefasti e
repressivi dell’arresto dei migranti, la conclusione delle differenti
visite non fa altro che confermare l’illegittimità dei fermi e la
necessità di chiudere i centri di confino, proprio come hanno dichiarato
senza giri di parole alcune delegazioni al termine della loro visita”.
Repressione Vs. Controllo. Malgrado
la diffusione di retoriche anti-migrante sparate a voce alta dai leader
politici europei a livello continentale e anche locale, i quali sperano
in questo modo, e in parte ci riescono, di raccogliere voti e consensi,
le politiche europee sul tema migratorio non hanno l’intenzione di
reprimere tout court i flussi di immigrati che da molte zone del pianeta
arrivano al territorio della UE. Al contrario i muri che si alzano e le
leggi che si producono, così come i centri di detenzione che si
costruiscono, hanno la funzione primaria di controllare i migranti.
Diventano una specie di filtro darwiniano in cui tutti questi strumenti
selezionano i migranti, li separano tra capaci e non, adatti o no, per
svolgere il lavoro che – pur con gli indici di disoccupazione del
vecchio continente – è abbondante per i cittadini di seconda categoria
in cui si trasformano gli stranieri senza documenti della UE.
Un
prova di questo è costituita dalle decine di CIE che la UE, tramite
accordi bilaterali, ha fatto costruire in territorio africano. In Libia,
a Tunisi, in Marocco, tanto per citare alcuni esempi, i CIE sono nati
negli ultimi anni come strutture per contenere i flussi migratori
diretti verso il vecchio continente. Con una chiara dinamica di
esternalizzazione delle frontiere – tipica anche nell’emisfero
americano, basti pensare al confine tra Messico e Stati Uniti – la UE
non cerca solamente di frenare quello che la stampa presenta come
“un’invasione” di “illegali, clandestini o senza documenti” ma prova
altresì a riprodurre in terra straniera – e pertanto lontano dagli
sguardi indiscreti delle società nazionali – gli spazi adatti al
contenimento e alla selezione del nuovo “esercito di riserva”, di
reminiscenze marxiane, che è sempre necessario per coprire posti
abbandonati in produzione dai loro pari europei. .Non
si tratta quindi di reprimere l’immigrazione per reprimerla. Non si
tratta nel modo più assoluto di impedire che milioni di esseri umani che
scappano dalla povertà, dalle guerre, dalle repressioni o che
semplicemente vogliono cambiare vita, riescano a stabilirsi nella UE. Si
tratta semplicemente di formare progressivamente un contingente di
persone che costituiscano una riserva di mano d’opera a basso costo.
D’altra parte è gioco forza anche che quella forza lavoro a costo infimo
possa pure divenire oggetto di ricatti e minacce capaci di
trasformarsi, di conseguenza, in un gruppo di soggetti utilizzabili
all’occorrenza secondo le necessità di padroni e governi.
Inoltre i CIE e la loro distribuzione territoriale svolgono un altro compito: quello di far sfumare il potenziale di coesione tra i migranti. Un esempio è la pratica costante dei trasferimenti di cui sono oggetto i migranti spostati da un CIE all’altro.
Inoltre i CIE e la loro distribuzione territoriale svolgono un altro compito: quello di far sfumare il potenziale di coesione tra i migranti. Un esempio è la pratica costante dei trasferimenti di cui sono oggetto i migranti spostati da un CIE all’altro.
In
questi ultimi mesi di presunta “emergenza migrazione” nella UE i flussi
di tunisini – tanto per menzionare un gruppo nazionale vituperato dalla
stampa europea quest’anno – sono stati separati, divisi e inviati in
località differenti. Si tratta in effetti di spezzare vincoli, nessi
possibili tra comunità di migranti che si riconoscono prima di tutto per
la loro nazionalità ma anche per la destinazione imposta con la
reclusione nei CIE. E’ forse possibile affermare che i CIE sono l’ultimo
territorio europeo che un migrante calpesta sulla via dell’espulsione.
Questa affermazione sarebbe vera fino a un certo punto. Infatti,
malgrado la propaganda sulle espulsioni e le deportazioni di massa – per
cui la famigerata Direttiva sui rimpatri del 2008 sarebbe il principale
strumento di riferimento – la UE non possiede strumenti e mezzi (prima
di tutto economici) concretamente per deportare le grandi masse di
esseri umani stipati nei CIE. La soluzione, quindi, passa dal rilascio
di “decreti di espulsione” che il cittadino migrante deve rispettare,
cui deve adempiere “con mezzi propri”. Dunque che faranno questi
cittadini? L’opzione unica diventa l’inserimento nel mercato del lavoro
in nero della Unione Europea.
http://informazioneconsapevole.blogspot.com/2011/07/nessun-essere-umano-e-illegale.html
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