Di Luca Aterini
«Tutti devono capire che abbiamo di fronte a noi decisioni critiche
da prendere. Il progetto europeo non può più proseguire con modalità
elitarie»›. Le parole dell'ottantaduenne Jürgen Habermas, riportate dal
tedesco Der Spiegel, sono state pronunciate nell'auditorio del
Goethe-institute di Parigi. Disegnano in pieno la delusione di chi è
stato osservatore attento della nascita di quel sogno europeo che
rischiamo ora di veder naufragare, colpita dallo scontro tra gli
imperativi «sistematici e quelli funzionali» portati in superficie dalla
crisi, ovvero quelli dettati dai debiti sovrani da una parte e dalle
pressione dei mercati dall'altra.Habermas definisce «semplicemente inaccettabile» il diktat che, per mano dell'Unione, ha segnato la perdita di sovranità della Grecia; il filosofo e sociologo tedesco, una delle grandi menti pensanti afferenti alla scuola di Francoforte, rinnova le sue accuse verso quel «voltare le spalle agli ideali europei», descrivendo nel suo ultimo libro ("Zur Verfassung Europas" - "Sulla Costituzione europea") come «l'essenza della nostra democrazia è cambiata sotto la pressione della crisi e la frenesia dei mercati», passando dai cittadini a «corpi di dubbia legittimità democratica, come il Consiglio europeo», in una sorta di silenzioso «colpo di stato messo in scena da tempo dai tecnocrati». Tecnocrazia che, in rappresentazione dello strumento scientifico, è necessario incoraggiare ad essere una buona guida - assieme a quella dell'organica e tradizionale degli intellettuali classicamente intesi - da affiancare al potere democratico, ma non da porre innanzi.
Tacciando di «post-democrazia» il modus operandi messo in piedi dal duo Merkel-Sarkozy durante la crisi, Habermas descrive un Parlamento europeo privato di ogni influenza, il fluttuare della Commissione in una «strana posizione sospesa» e il deciso rafforzamento del Consiglio come un «ente governativo che si occupa di politica senza essere autorizzato a farlo››, verso un capovolgimento dell'ottica federalista che animava il disegno dell'Unione in quello di una ‹‹supremazia intergovernativa del Consiglio» - che poi è l'indirizzo su cui il presidente Sarkozy spinge negli ultimi giorni, quando parla di una "riforma dei trattati europei".
Lo scopo dell'intervento di Habermas, è quello di lanciare l'allarme prima che sia troppo tardi per un'Europa in balia dei mercati e guidata da partiti politici che condanna, poiché «i nostri politici sono stati a lungo incapaci di aspirare a qualsiasi cosa altra dall'essere rieletti. Non hanno alcuna sostanza politica, né convinzione».
La parola che più frequentemente campeggia nel quadro europeo di questi giorni è "riforme". Riforme necessarie, riforme invocate. Eppure, riforme tutte ancora da definire. Riformare l'Europa significa semplicemente cambiarla, ma le idee in merito sono effettivamente molto diverse l'una dall'altra. Quella più gridata parla di un'Europa germanizzata, anziché di un'europeizzazione della Germania, e sono vincolate a riduzioni di spesa - giuste, ma quanto davvero eque? - ed al totem della crescita e della produttività.
Di progetti per un definitivo decollo della green economy se ne sente parlare sempre più spesso, ma quasi sempre e principalmente come gancio per afferrare la crescita economica che manca per ridurre l'incidenza del debito sui bilanci degli Stati. Il cambiamento - innanzi tutto culturale - radicale e per questo veramente necessario, in cui la parola sostenibilità richiama ad un equilibrio tra l'uomo e l'ecosistema che si rifletta e completi in una convivialità (per dirla con Ivan Illich) tra individui, ancora appare lontano, ed al contempo urgente da raggiungere.
A queste riforme che ruotano attorno alle difficoltà del momento, infatti, si affianca improrogabile la necessità di un ripensamento ad ampio raggio, che riporti al centro quel sogno europeo il cui destino anche Habermas non intende certo veder «consegnato al cestino della storia del mondo». Se oggigiorno le riforme si rendono necessarie, il primo passo da compiere è riconoscere che, effettivamente, qualcosa è stato sbagliato nel cucire l'Europa. Tornando alle radici della crisi, col senno di poi è possibile accorgersi come questa trovi un suo fedele corrispettivo nell'allargarsi della forbice delle disuguaglianze, nell'atomizzazione sociale e nell'interesse quasi esclusivo per il tempo presente, che trova nell'ingordigia irrazionale della speculazione finanziaria la sua incarnazione più feroce. Su tutto questo, primariamente, è necessario agire.
Da Green Report
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