Di Tommaso Caldarelli
Sotto gli occhi di tutti, la struttura ha operato almeno fino al 2009
Come
nella lezione di Edgar Allan Poe: se si vuole nascondere qualcosa,
bisogna farlo sotto gli occhi di tutti. Così è stata posta la prigione
segreta della Cia nella città di Bucarest, capitale della Romania: una
struttura ipercelata che, racconta un’inchiesta dell’Associated Press,
svolgeva sostanzialmente il lavoro più sporco per le divisioni del
servizio segreto americano all’estero. Nome in codice della struttura
proprio accanto ad una delle stazioni ferroviarie della città rumena,
Bright Light.
LA PRIGIONE SEGRETA – I reporter dell’Ap, insieme a
quelli della tv pubblica tedesca, si sono recati nella capitale rumena e
hanno, silenziosamente, rintracciato la location della struttura: si
sapeva della sua esistenza “da tempo”, dice l’Huffington Post
che pubblica l’inchiesta dell’agenzia di stampa internazionale, ma
nessuno sapeva esattamente dove fosse la struttura ombra della Cia,
parte della rete di siti all’estero fra Thailandia, Polonia e Lituania.
La particolarità della struttura rumena, rispetto alle altre prigioni
sotto copertura in altri paesi del mondo – l’abbiamo visto – era la sua
location. “In Lituania” la Cia si era sistemata in aperta campagna,
così come in Polonia: la struttura rumena era “in piena vista, a un paio
di isolati di distanza da una strada principale, in una via
residenziale, su ferrovie trafficate”. L’edificio in cui la prigione
segreta trovava spazio era la struttura del Registro nazionale per le
Informazioni Classificate, una struttura dei servizi insomma che
conteneva “documenti classificati della Nato e dell’Unione Europea”.
Molti ex ufficiali dei servizi avrebbero identificato la prigione
“proprio con quella struttura” attraverso il riconoscimento tramite foto
dell’edificio. “Impossibile, impossibile”, ha detto il direttore del
Registro Nazionale: “Questa è la struttura più sicura che abbiamo. Gli
americani non hanno mai avuto una prigione qua”. E invece pare proprio
di sì, aperta in Romania dopo la chiusura dell’analogo sito in Polonia:
lo confermano agenti Cia “che parlano sotto condizione di anonimato”,
non essendo possibile “divulgare dettagli del programma strutture
detentive”; di dettagli ne emergono parecchi.
TORTURE – “Chiudere i detenuti nella struttura
senza essere visti era relativamente facile. Atterrati a Bucarest, i
detenuti venivano trasportati in furgoni”; si entrava da una strada
laterale attraverso una porta di servizio che portava alla “reale
prigione”, che consisteva di “sei celle prefabbricate”, ognuna di esse
con “un orologio e una freccia che puntava verso la Mecca”. Parliamo del
luogo dove Khalid Sheik Mohammad, l’architetto dell’attentato dell’11
settembre, fu trattenuto prima di essere trasferito alla base di
Guantanamo. Nella prigione i detenuti venivano trattati “con la massima
cura”, cibati quotidianamente con carne halal; d’altronde il regime di
sicurezza era piuttosto basso, nel senso che non era certo necessario un
imponente dispositivo di sorveglianza. A scoraggiare i curiosi era la
location della prigione, inserita in un edificio governativo – presso il
quale, nella Romania post-comunista, tuttora nessuno si avvicina con
particolare serenità. Il dossier “prigioni segrete della Cia” è al
centro del dibattito soprattutto in relazione alle potenziali violazioni
dei diritti umani che in esse si sarebbero realizzate: principalmente
il waterboarding,
la tecnica di tortura che prevede le gambe della vittima legate più in
alto della testa, sulla quale viene gettata acqua. Annegamento
controllato: i servizi americani hanno finora negato sia l’esistenza di
questi siti, sia l’utilizzo di questa pratica. “Non ne sappiamo nulla”,
dice il presidente rumeno Traian Basescu. Ma i registri aerei, che
mostrano trasferimenti di soggetti pericolosi islamici dalla Polonia
proprio nel 2003, dimostrerebbero il contrario.
Da Giornalettismo
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