Di Astrit Dakli
Col passar delle ore si prospetta sempre più drammatica la situazione
nella provincia petrolifera del Kazakhstan, dove la repressione del
regime contro gli operai in sciopero potrebbe aver causato 70 morti e
centinaia di feriti nella città di Zhanaozen e dove arrivano voci di
rivolte di massa in diverse città. Le comunicazioni telefoniche e via
internet sono state bloccate dalle autorità, che hanno inoltre messo
praticamente tutta la regione di Mangystau in stato d’assedio, con posti
di blocco lungo le strade di accesso. Tre giornalisti russi che stavano
indagando sugli avvenimenti di questi giorni sono stati arrestati. Il
bilancio ufficiale dei “disordini” di venerdì, il cui contorno comincia a
chiarirsi con le testimonianze che filtrano dalla zona isolata, è
ancora fermo a 13 morti e 86 feriti, ma diversi sindacalisti e testimoni
oculari affermano che le vittime dovrebbero essere molte di più, almeno
70, e i feriti contarsi a centinaia. Quel che è peggio, la repressione
sta continuando con arresti in massa e anche con nuovi scontri e
sparatorie. A prender parte alle azioni, che sembrano mirate a stroncare
definitivamente una protesta operaia in atto da sette mesi, sono stati
chiamati anche reparti d’assalto dell’esercito. Da parte loro gli
operai, in gran parte appartenenti all’azienda petrolifera OzenMunaiGas,
avrebbero risposto proclamando nuovi scioperi “a gatto selvaggio” che
coinvolgono gran parte delle attività petrolifere nella regione e con
azioni di sabotaggio – pare ad esempio che abbiano divelto le rotaie su
interi tratti della ferrovia che serve per trasportare petrolio e
macchinari. Nella capitale regionale Aktau sono stati segnalati scontri
fra manifestanti e polizia, e anche ad Almaty, la città più importante
del Kazakhstan, ci sono state manifestazioni di protesta per la
sanguinosa repressione, le cui notizie cominciano a circolare in tutto
il paese nonostante la censura dei principali media.
Silenziosa o quasi, finora, la morbidissima “opposizione” ufficiale,
che si è limitata a sollecitare un’inchiesta sui fatti di Zhanaozen –
peraltro già ordinata dal presidente Nazarbaev, che ha anche proclamato
lo stato d’emergenza fino al 5 gennaio. Circa la dinamica della strage,
la ricostruzione più credibile sostiene che c’è stato un preordinato
piano di provocazione: nella piazza principale di Zhanaozen, dove gli
operai petroliferi da sette mesi mantengono un presidio con tende e
striscioni, le autorità hanno fatto installare un grande palco per le
celebrazioni del 20esimo anniversario dell’indipendenza e la polizia ha
iniziato a mandar via gli operai; a quel punto sulla scena avrebbe fatto
irruzione un gruppo di uomini con le tute dell’azienda petrolifera
statale KazMunaiGas, che avrebbe attaccato direttamente i poliziotti
(come si vede in alcuni brevi filmati) e cercato di dare alle fiamme
alcuni veicoli e un paio di uffici governativi; a questo punto è
scattata una reazione violentissima della polizia che si è messa a
sparare facendo una strage. Poco dopo le comunicazioni telefoniche sono
state interrotte e grossi contingenti militari hanno bloccato gli
accessi alla città.
La lotta degli operai petroliferi è iniziata questa primavera, con
ripetuti scioperi per ottenere migliori condizioni di lavoro e paghe più
alte; la totale chiusura incontrata da parte delle aziende e in
particolare le due più importanti semi-statali – KazMunaiGas e
OzenMunaiGas – ha spinto i lavoratori ad azioni più clamorose, in
particolare a stabilire un presidio permanente nella piazza principale
di Zhanaozen (90.000 abitanti), dove ogni giorno gruppi di lavoratori
erano presenti con striscioni e cartelli. Nel corso dei mesi le autorità
e i dirigenti delle compagnie hanno tentato in vari modi di spezzare la
resistenza degli operai, sia con licenziamenti in massa (più di tremila
hanno perso il lavoro) sia con arresti sempre più numerosi (tra cui
anche gli avvocati che difendevano la causa operaia) sia infine con
attacchi diretti e provocazioni condotte da gruppi in abiti civili, che
hanno portato all’uccisione di due scioperanti. Questa lotta è stata
circondata da un silenzio molto fitto, rotto solo da una tv privata
locale, Kplus, e da qualche giornale russo, nell’indifferenza
più totale dei media occidentali sempre sensibili alle proteste di
qualche politico liberale a Mosca ma assai poco sensibili alle proteste
di migliaia di lavoratori orientali – tantopiù che tra le aziende
petrolifere della regione ce ne sono parecchie occidentali, in testa
Eni, Chevron, ecc.
Da il Manifesto
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