Ogni mese, dal Sinai ne arrivano 1200 circa. Una presenza sempre meno
accettata dalle autorità israeliane, che stanno costruendo barriera al
confine con l'Egitto.
Di Giorgia Grifoni
Il sindaco di Tel Aviv, Ron Huldai, li chiama "infiltrati". Per il
premier Benjamin Netanyahu sono invece "una minaccia per il tessuto
economico, sociale e demografico su cui si basa lo stato di Israele". Il
primo cittadino della capitale dichiara allarmato che "stanno cambiando
il volto di interi quartieri", mentre il presidente del Consiglio
assicura la determinazione nel "difendere i nostri confini e l'esistenza
dei nostri cittadini". Si punta il dito di nuovo contro gli immigrati,
in Israele. Non quelli ebrei che compiono l'aliya per tornare "a casa",
ai quali viene fornito un "Klita" (cestino) contenente tutti i benefici
-dal lavoro, alla casa, ai corsi di ebraico- che un ebreo che immigra in
Israele si merita. Ma quelli che vengono dall'Africa - principalmente
Eritrea, Sudan e Congo- e varcano la frontiera con il Sinai da
"rifugiati". E che presto saranno tenuti fuori dai confini da una
recinzione lunga 240 km.
E' di sabato la lettera che il sindaco di Tel Aviv ha inviato al suo
primo ministro, chiedendo un meeting urgente sui migranti stranieri in
Israele. Netanyahu ha risposto repentinamente dedicando la riunione di
gabinetto di domenica 4 dicembre alla questione. "Alcuni giorni fa ho
visitato Eilat - ha esordito il premier davanti agli altri ministri- e
ho ascoltato il pianto dei residenti per una città inondata dagli
infiltrati illegali. Bisogna stare lì ad ascoltare la disperazione delle
madri, dei padri, dei titolari di aziende, i cui lavori sono stati
portati via e che sentono che stanno perdendo la loro città ". Ha
promesso due cose: il completamento della barriera di separazione tra il
Sinai egiziano e il deserto del Negev entro un anno, e multe salate per
quei datori di lavoro che impiegano manodopera immigrata illegalmente.
Secondo fonti governative, ogni mese in Israele entrerebbero
illegalmente circa 1200 migranti. Spesso superstiti dei "campi della
morte" del Sinai, vengono condotti in centri di detenzione come la
prigione di Saharonim. Le autorità non si preoccupano di verificare lo
status del profugo, sia esso richiedente asilo o meno. Il risultato è
che, una volta rilasciata, la fiumana di migranti si riversa nelle
grandi città israeliane senza diritti né identità . Sostituti - a partire
dallo scoppio della seconda Intifada- dei Palestinesi nei lavori
agricoli ed edili, i "clandestini" sono stati tollerati dalle autoritÃ
fino a quando il loro numero non ha cominciato a minacciare la
preponderanza demografica ebraica.
Le stime indicano infatti che, dal 2007 a oggi, il numero degli emigrati
israeliani continua a crescere rispetto ai nuovi immigrati ebrei,
principalmente provenienti dalle ex-repubbliche sovietiche. Netanyahu ha
specificato più volte che vuole "preservare una maggioranza ebraica,
tale da assicurare a Israele il suo carattere ebraico". E il suo
ministro degli esteri, il leader del partito ultra-ortodosso Shas Eli
Yishai ha più volte tentato di espellere intere famiglie di immigrati
africani, non riuscendoci solo per interposizione delle associazioni per
i diritti umani. Durante l'era Mubarak, Israele era solito rimandare al
mittente molti dei rifugiati, che dall'Egitto venivano rispediti nei
loro paesi d'origine. Ma ora che il fidato vicino non c'è più, la
situazione si complica. Ed è qui che interviene la barriera di
separazione dall'Egitto, che viene costruita al ritmo di 800 metri al
giorno.
Secondo il comune di Tel Aviv, sarebbero circa 40mila i lavoratori
migranti e 20mila i richiedenti asilo presenti in città . Vivono quasi
tutti nel sud di Tel Aviv, tra il quartiere di Neva Sha'anan e il
sobborgo di Hatikva. Zone che, secondo Huldai, stanno cambiando aspetto e
vanno salvate. "L'anno scorso -spiega Shula Keshet, attivista
israeliana residente a Neve Sha'anan- durante le celebrazioni per il
centenario della fondazione di Tel Aviv, Huldai è venuto qui ed è
rimasto scioccato. Ha detto che questo quartiere necessita di molti
fondi. Ci ha dato un milione di shekel, con cui puoi riparare qualche
marciapiede, mettere delle panchine e un paio di lampioni. Per i
festeggiamenti, invece, ha stanziato 64 milioni. Poi quest'estate,
quando ha smantellato tutte le tendopoli delle proteste, ha deciso di
lasciare in piedi solo quelle di Hatikva e di Jaffa, perché c'erano dei
barboni. Gli ho fatto notare come qui fosse la stessa cosa. Lui ha
risposto: tra di voi ci sono anche rifugiati. E non ci sono ebrei".
Con cadenza annuale gli immigrati vengono utilizzati dalle autoritÃ
israeliane come spauracchio quando, spiega Oscar Olivier, attivista
congolese immigrato in Israele, "un politico non adempie alle proprie
promesse". Come Huldai -odiato dal movimento di protesta degli
"indignados" per le sue controverse politiche urbanistiche- che cerca
mobilitare gli israeliani che vivono nei quartieri poveri contro i
migranti, attribuendo loro la colpa di un degrado che è dovuto, in
realtà , all'indifferenza del Comune. Una municipalità che verrÃ
rinnovata nel 2013, della quale Huldai ha già perso la maggioranza in
consiglio comunale e dove rischia di non essere eletto per la quarta
volta consecutiva. Oppure un diversivo, come specifica l'attivista
Nadav Franckovich, "perchè si devono coprire un po' gli occhi
all'opinione pubblica sulla legislazione anti-democratica proposta dal
Governo. Una legislazione che delegittima le organizzazioni -tra le
altre- che aiutano i rifugiati".
Da Globalist Syndication
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