Il movimento “Occupy” sbarca nell’Asia dell’est. A Hong Kong e Taipei,
due regimi esemplari del capitalismo “modello cinese” diversi soggetti
sociali si sono riuniti dopo il 15 ottobre per chiedere un cambiamento
della politica economica.
Articolo tratto da Extreme Asie (tradizione Imq)
Il movimento “Occupy” sbarca in Asia dell’Est. A Hong Kong e Taipei, due
regimi esemplari del capitalismo “modello cinese” diversi soggetti
sociali si sono riuniti dopo il 15 ottobre per chiedere un cambiamento
della politica economica.
Occupy Central a Hong Kong
Paese dalle complete libertà economiche per i capitalisti, Hong
Kong è anche il paese sviluppato più diseguale del pianeta e il 15° a
livello mondiale (Coefficiente di Gini 55,3). Da quando la Cina ha lanciato le riforme economiche nel 1978,
le industrie di Hong Kong sono state poste in concorrenza con quelle
della Cina continentale e il ruolo finanziario della prima è stato
insidiato da quello di Shanghai. La tendenza alla delocalizzazione è
accelerata dopo la restituzione di Hong Kong alla Cina e la sua
integrazione politica nel 1997 e dopo la realizzazione del Cepa
(l’accordo di commercio bilaletale) con la Cina nel 2003.
Conseguentemente, la sua struttura economica si è indirizzata fortemente
verso il settore terziario.
Poco sindacalizzati, con una sicurezza sociale debolmente sviluppata, i
giovani e la classe media di HK sono ora preoccupati soprattutto per l’inflazione dei diplomi delle superiori, l’aumento della durata del lavoro supplementare e il rialzo dei prezzi del settore immobiliare.
Questi problemi hanno costituito la base delle rivendicazioni del
movimento “Occupa Central” che si è sviluppato a partire dal 15 ottobre a
Exchange Square nel centro di HK, di fronte alla sede della Banca Hsbc.
Tra i partecipanti si ritrovano i giovani universitari della sinistra radicale come “Left 21”,
“Sacom” e “Alleanza Democrazia Sociale” che sono presenti nei movimenti
sociali da una decina d’anni. Sono stati poi raggiunti da gruppi e
associazioni con rivendicazioni specifiche come “l’Associazione Vittime
di Lehman Brothers” e il “Fronte contro la riforma dele pensioni”. I
militanti di “OCcupy Central” hanno fatto appello a contrattaccare
“l’egemonia finanziaria “ e “l’egemonia immobiliare” con la richiesta di
rafforzare la regolazione del capitale e creare un sistema giusto.
Il 15 ottobre più di 500 manifestanti si sono concentrati in piazza e a
questo appuntamento ne è seguito un altro, il 23 ottobre, con una
manifestazione contro la nuova riforma che punta alla finanziarizzazione
delle pensioni. A novembre la “comune” d’Exchange Square ha continuato a mobilitarsi, permettendo agli occupanti e ai simpatizzanti di discutere e scambiarsi idee anticapitaliste.
Occupy Taipei
A Taiwan, nonostante le ineguaglianze siano meno drammatiche
che a Hong Kong, i cittadini e le cittadine si sentono ugualmente
minacciati dalla globalizzazione. Come a HK, le riforme della Cina hanno
favorito la delocalizzazione delle industrie taiwanesi in Cina
continentale per assicurarsi profitti più alti. Nella stessa Taiwan, gli
imprenditori hanno fatto pressione sul governo per ottenere delle
riduzioni d’imposta mostrando come esempio i paesi dell’Asia sudest dove
queste sono più basse. A fare le spese di questa politica sono stati i salari dei lavoratori e l’ambiente.
Il salario reale è aumento meno dell’1 per cento in cinque anni mentre i
prezzi del settore immobiliare sono aumentati del 44 per cento nello
stesso periodo. La riduzione delle imposte ha portato il debito al 39 per cento del Pil,
che è una bassa percentuale in rapporto ai paesi occidentali ma che non
considera i debiti nascosti. Inoltre, la politica industriale di un
governo ispirato dal sostegno incondizionato alle industrie inquinanti
(high-tech, chimica, petrolio) e la costruzione di 4 nuove centrali
nuclerari dal 1970 hanno favorito la nascita di un movimento
antinuclearista ed ecologista.
Sono queste preoccupazioni ad aver permesso l’incontro degli “occupanti” davanti a Taipei 101,
il grattacielo situato nel cuore del distretto commerciale e
finanziario di Taipei. Il 15 ottobre, circa 200 manifestanti hanno
sfilato davanti a Taipei 101 mentre alcuni sono entrati nel
pianterreno cantando “l’Internazionale”. Un momento quasi storico per un
movimento sociale a Taiwan.
I componenti di “Occupy Taipei” sono sostanzialmente militanti sindacali, precari e disoccupati
ma anche militanti ecologisti e antinuclearisti. A loro si sono uniti
studenti e lavoratori che hanno scarsa esperienza con il movimento
sociale ma che sono stati coinvolti dalle varie reti sociali. Le quali
hanno organizzato anche un accampamento nel parco a fianco di Taipei 101
con una serie di Forum, concerti, trasmissioni radio per prolungare il
movimento. Ma gli animatori delle reti si sono concentrati soprattutto
sulla riflessione culturale, la necessità del “detournement” (Jamming
culture) o sul ruolo del consumo nella società taiwanese. Un’evoluzione
che rischia di spoliticizzare il movimento e di esonerare lo Stato dalle
proprie responsabilità nell’accentuazione delle diseguaglianze sociali.
Ce n’est qu’un début …
Nonostante le conseguenze sociali delle politiche economiche non siano
del tutto identiche tra Hong Kong e Taiwan, la configurazione dei
movimenti sociali sembra simile. In entrambi i casi, lo sviluppo
economico si è prodotto senza forze di sinistra per specifiche ragioni
storiche (la colonizzazione a Hong Kong e una “guerra fredda” tra la
Cina e Taiwan). Inoltre in entrambi i paesi i governi hanno limitato la
sindacalizzazione e i diritti dei lavoratori e favorito gli interessi
dei capitalisti. Infine, lo slancio economico della Cina da tre decenni
in qua ha avuto effetti comparabili nel settore immobiliare e
sull’evoluzione dei salari reali. Questi fenomeni sono suscettibili di
favorire azioni solidali contro il potere.
La nascita del movimento “Occupy” a HK e Taipei mostra
un’angoscia comune tra i giovani, le classi medie, la popolazione
marginale. Comunque, al di là del discorso contro “il
capitalismo”, ci sembra che il movimento sia animato più da un legame
simbolico con “Occupy Wall Street” che dall’analisi delle specificità
della propria società. Il movimento ha permesso una convergenza spaziale
dei soggetti dei diversi movimenti per protestare contro il
“capitalismo”. E’ un primo passo importante. Ma senza una propria e
specifica analisi in grado di spiegare le cause dell’oppressione, gli
“oppressi” – i disoccupati, le vittime della crisi finanziaria, gli
studenti indebitati, i senza-casa, etc. – restano frammentati sul piano
teorico e incontrano difficoltà a concepire una strategia comune.
Detto altrimenti, privati di un movimento significativo della sinistra e
senza un pensiero accumulato, la riflessione del movimento “Occupy” a
Hong Kong e Taiwan resta una “traduzione” di Ows. Perché la
contestazione si sviluppi nell’Asia dell’Est, occorrerà che i movimenti
si dotino di una maggiore riflessione relativa alla loro situazione
specifica.
Da il Megafono Quotidiano
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