Secondo il rapporto di Greenpeace quando un consumatore mette nel carrello della spesa una scatoletta di tonno non sa bene cosa compra. Nel 50% dei casi non viene indicata la specie di tonno e nel 90% neanche l’area di pesca, solo nel 3% dei casi si indica la modalità di pesca.
Scatolette di tonno. Se ne trovano per tutti i gusti e tutte le tasche, disposte una sopra l’altra negli scaffali dei supermercati. In Italia se ne consumano 140 mila tonnellate l’anno.
Cosa c’è in una scatoletta? L’industria del tonno non dice tutto e Greenpeace lo ha indagato e monitorato passando al setaccio gli scaffali della grande distribuzione e rendendolo noto in un nuovo rapporto i Segreti del tonno.
I volontari della ONG sono entrati in 173 punti vendita italiani, analizzando più di 2000 scatolette di tonno. Il risultato è che solo il 7% di queste fornisce indicazioni precise sull'area di pesca. Nel 97% dei casi il metodo di pesca non è indicato.
“Sono trascorsi due anni dal lancio della campagna Tonno in trappola e la situazione non è migliorata - denuncia Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace Italia -. Se alcune aziende hanno aggiunto delle informazioni in più sulle etichette, la maggior parte dei prodotti non offre garanzie né sul tipo di tonno che portiamo in tavola, né sulla sostenibilità dei metodi con cui è stato pescato. Tutto fa pensare che le aziende produttrici stiano cercando di nascondere qualcosa”. Ma cosa?
Secondo il rapporto, il consumatore mette nel carrello della spesa scatolette di tonno ma senza sapere bene cosa compra. Nel 52% dei casi non è indicata la specie di tonno e l’unica informazione fornita è molto generica, “ingredienti: tonno”. Quando la specie di tonno è riportata in etichetta è fornito un nome comune, mentre il termine scientifico viene usato solo nel 12% dei casi.
Spesso si ritrova la dicitura “tonno pinna gialla”, che viene usata più che altro come un marchio di qualità , ma raramente è ripresa negli ingredienti, come richiederebbe una vera etichettatura trasparente. Sul 93% delle confezioni non compare alcuna indicazione sull’area di pesca. Solo i marchi AsdoMar, Donzela, Coop e in parte Mareblu indicherebbero da che oceano arriva il tonno.
È eclatante la totale mancanza di indicazioni sul metodo di pesca
Per Greenpeace, che ormai da anni si occupa di questa delicata questione, la strada è in salita. Per quanto alcune aziende abbiano fatto lo sforzo – si legge nel rapporto - di aggiungere qualche informazione sulle etichette, oltre al generico “ingredienti: tonno”, la maggior parte non offre informazioni esaustive e in alcuni casi sono proprio assenti, soprattutto quelle sui sistemi di pesca. È ancora diffuso il ricorso a metodi di pesca distruttivi come i FAD oggetti galleggianti che permettono la cattura di esemplari giovani di tonno, non consentendo neppure il confronto tra specie diverse, ma anche tartarughe, squali e altre specie in via di estinzione.
L'utilizzo dei FAD sta distruggendo l'ecosistema marino e conducendo gli stock di tonno verso il collasso (video di Greenpeace):
Una situazione che alcuni Paesi stanno cercando di migliorare. In Inghilterra tutti i più importanti marchi di tonno e delle maggiori catene di supermercati hanno deciso di utilizzare solo tonno pescato con amo e lenza e senza metodi di pesca insostenibili come i FAD.
Perché l’Italia non può fare altrettanto? Fornire i dati in etichetta è possibile anche in Italia, se vi è la volontà dell'azienda ad essere trasparente.
Greenpeace sostiene che l’industria del tonno e le grandi catene di distribuzione debbano garantire subito la piena tracciabilità e trasparenza ai propri consumatori e ripulire i prodotti da specie a rischio, impegnandosi a vendere solo tonno pescato in maniera sostenibile. Solo così si potranno realizzare cambiamenti positivi anche in mare.
Da il Cambiamento
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