Di Massimo Mazzucco
La scorsa settimana Michael Moore si è presentato nello studio di Piers Morgan (il giornalista che ha preso il posto di Larry King alla CNN) eccitato ed ansimante, poco dopo aver partecipato ad una manifestazione accanto agli “indignados” di Wall Street.
E’ stata quella la prima volta che il pubblico americano è venuto a sapere da una rete televisiva mainstream di un evento – l’ “occupazione” di Wall Street, appunto – che era in corso già da 4 giorni. E lo hanno saputo da un talk-show della CNN, non da un regolare TG.
Da quel momento in poi sono stati costretti un pò tutti ad inseguire la notizia, dal New York Times a Fox News, dal Washington Post a tutti gli altri network nazionali.
Ma la riluttanza con cui i media mainstream stanno dedicando il loro spazio alle proteste di Wall Street viene superata solo dalla disperazione con cui cercano a tutti i costi di far apparire la protesta per quello che non è: una specie di “happening” stile anni 70’, animato di fricchettoni che non hanno niente di meglio da fare nella vita, di cui “non si capisce nemmeno bene cosa vogliano”.
Di certo è molto divertente vedere come i grandi media americani siano prontissimi a celebrare le “primavere colorate” altrui, ma fatichino decisamente a riconoscere che qualcosa sta cambiando anche in casa loro.
In tutto questo i media alternativi si stanno divertendo un mondo, nel prendere in giro i loro colleghi delle “corporate news” chiaramente terrorizzati dall’idea di dover prendere seriamente …
… quello che sta succedendo nelle strade di Manhattan.
Keith Olberman, passato a Current TV, si diverte nel raccontare come dopo 5 giorni di protesta fossero usciti in nordamerica soltanto due articoli, di cui uno in Canada.
Su Democracy Now Amy Goodman e Naomi Klein rifanno il verso ad una giornalista della CNN, che è “scesa in piazza” insieme ai manifestanti, facendo finta di non capire cosa volessero, e riuscendo addirittura a concludere dicendo che “in fondo il salvataggio delle banche ha fatto guadagnare dei soldi ai cittadini”.
Nella stessa intervista, Naomi Klein offre anche una seria analisi dei danni portati dal capitalismo estremo, che dopo aver allargato al massimo la forbice del benessere si ritrova costretto a “mangiare i propri figli per sopravvivere”. In alte parole, spiega la Klein, dopo aver tolto alla middle-class quasi tutto quello che aveva, i grandi monopoli finanziari hanno dovuto inventarsi il giochino del credito facile purchè questi continuassero comunque a fare acquisti.
Anche “The Real News” presenta una interessante intervista nella quale l’economista Gerry Epstein propone un’analisi storica che individua le radici dell’odierna crisi finanziaria globale al fatidico 1971 (sganciamento del dollaro dalla parità con l’oro). Ma non fu tanto la fine della parità in sè – dice Epstein – a gettare le basi per la crisi odierna, quanto lo spostamento delle alleanze che ne derivò, fra potere industriale e potere finanziario, nel momento in cui il secondo ricevette il via libera per operare senza più restrizioni, finendo per lasciare a terra l’intera forza-lavoro americana.
Altri commentatori indipendenti suggeriscono che le proteste di Wall Street rappresentino il punto in cui il cittadino ha capito che un vero cambiamento non potrà mai avvenire attraverso le urne, e quindi ha deciso di prendere il futuro nelle proprie mani.
Insomma, sui media alternativi si discute, ci si confronta, si cerca di capire, mentre sui media mainstream si continua a far finta che sia sempre domenica.
Ma gli “indignados” di Wall Street non mollano, e stanno entrando ormai nella terza settimana di protesta. Curiosamente, era stata una delle prime cose che Michael Moore aveva detto, presentando da Piers Morgan le proteste appena iniziate: “This won’t go away,” disse. “Questa roba non se ne andrà da sola, è perfettamente inutile ignorarla. Nelle strade di Manhattan sta iniziando qualcosa che è destinato ad arrivare molto lontano”.
Fino ad oggi ha avuto ragione lui.
Da Luogocomune
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