Si tratta di uno dei progetti agroalimentari piú assurdi e insostenibili di tutta la Patagonia. Un consorzio agroalimentare cinese della multinazionale Heilonijang Agriculture Company, che raggruppa compagnie di produzione di carne e granaglie, ha affittato 320 mila ettari nella provincia del Rio Negro, in Argentina, per coltivare soia, colza e altre piante foraggere, tutte transgeniche. Due compagnie associate, la Wondesun Pharmaceutical Co. e la Beidahuang Meat Industry hanno incominciato a chiedere permessi per coltivare altre aree supplementari nella zona costiera del rio Colorado. Per questi impresari si tratta di «valorizzare economicamente delle aree improduttive»; per le comunità locali è una depredazione della loro risorsa piú preziosa, l'acqua.
Infatti il megaprogetto prevede di irrigare queste coltivazioni industriali con le acque dei fiumi rio Negro, rio Colorado e del canale derivatore di Pomona. In una zona con poca acqua e dove piovono in media solo 200 mm annuali, pare inconcepibile alla popolazione locale che il prezioso liquido vitale proveniente dalle cordigliere e dai ghiacciai andini, vada ad alimentare le coltivazioni transgeniche di questo trust agroindustriale - che del resto giá possiede e contamina 56.200 chilometri quadrati nel nordest della Cina attraverso un centinaio di strutture produttive.
Oltre all'acqua, il progetto minaccia le foreste. Le coltivazioni infatti prenderanno il posto dei boschi nativi di questa regione del sud patagonico, adattati da millenni per resistere alle forti radiazioni solari e alle sempre piú costanti siccità.
Le autorità statali della provincia argentina, sotto la pressione di una coalizione di gruppi ambientalisti locali, comunitá indigene mapuche, semplici cittadini e ricercatori universitari, sostiene che il progetto è stato approvato dopo una «seria e dettagliata analisi ambientale, grazie alla quale è stata determinata una zonificazione del territorio con le rispettive categorie di rischio». La neonata coalizione in difesa del territorio del Rio Negro sostiene invece che non sono stati effettuati né studi di impatto ambientale né audizioni pubbliche per informare gli abitanti di questo progetto, che secondo i cinesi «apporta una autentica e sostenibile valorizzazione economica al territorio patagonico» (sic).
La legge provinciale e la stessa legge nazionale ambientale argentina prescrivono l'obbligo di consultazione previa all'approvazione di qualsiasi progetto, insieme a studi di impatto ambientale da affidare da varie università e centri di ricerca. Non solo: la legge forestale nazionale numero 26.311 sancisce che le risorse boschive sono patrimonio della comunità che abita e sfrutta i boschi.
«Come lo presentano, questo non è sviluppo sostenibile», si legge in un recente comunicato stampa della coalizione: «Usano questo termine come uno slogan politico e non come una reale pratica che orienti lo sviluppo della nostra provincia. Un piccolo gruppo sta decidendo il futuro ambientale delle prossime generazioni e di tutto l'ambiente patagonico. Cosa succederà della biodiversità di queste zone semidesertiche, che continua a sostenere i tradizionali sistemi dei chacras e dell'allevamento estensivo? Come eviteremo la contaminazione dei fiumi e delle terre con i residui agrochimici dei pesticidi?».
Allarme giustificato, tanto più che il cambiamento del clima in atto in tutta la regione australe americana si traduce ormai non solo nelle siccità interminabili, ma anche nelle sempre più frequenti e forti tormente di sabbia, dovute in buona parte al disboscamento e al cambio di uso del suolo provocato da progetti agricoli intensivi, che ha innescato fenomeni di erosione dei suoli.
Da il Manifesto
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