Messico:Cristiani in fuga, Frattini tace

set 24, 2011 0 comments
Di Miguel Martinez


ROMA – Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha inviato all’ Alto rappresentante Ue per la politica estera Catherine Ashton una lettera, co-firmata dai capi delle diplomazie di Francia, Polonia e Ungheria, in cui si chiedono «misure concrete» contro le persecuzioni dei cristiani e per la promozione del rispetto della libertà di religione.
In una piccola cittadina di un paese del Terzo Mondo, settanta cristiani sono stati costretti a fuggire da una folla che minacciava di crocifiggerli.
Lo so che state già meditando una rappresaglia contro la più vicina moschea, ma rilassatevi.
I cristiani in fuga sono evangelici, chi li sta cacciando sono cattolici e la nazione in cui ciò avviene è il Messico. Il paese in cui, secondo i nostri media, non succede mai nulla.
La località precisa si chiama San Rafael Tlanalapan. I resoconti sono un po’ di parte, nel senso che provengono soprattutto da fonte evangelica, e forse la storia della minacciata crocifissione è un po’ esagerata.
Comunque i settanta evangelici locali, cui non è mai stato permesso costruirsi un luogo di culto, sono stati fatti oggetto di manifestazioni e di minacce.
Lo scorso 7 settembre, gli evangelici sono stati convocati a una riunione con Antonio García Ovalle, il presidente auxiliar del municipio di San Martín Texmelucan, di cui fa parte Tlanalapan.  Ed è stato intimato ai protestanti di lasciare il paese entro cinque giorni. Si dice che l’invito sia arrivato in seguito alle prediche del focoso parroco cattolico, Ascensión González Solís, che avrebbe invitato i fedeli a usare “bastoni e machete” per cacciare i protestanti/evangelici.
La decisione dell’espulsione, e qui vediamo un elemento molto messicano, sarebbe stataconfermata dalla segreteria generale del governo dello Stato di Puebla.
E’ interessante notare che gli evangelici hanno prima accettato la decisione, per contestarla alcuni giorni dopo. Non in nome della libertà di religione, ma perché la richiesta di espulsione non era firmata da tutti i membri della comunità.
A questo punto, deve essere successo qualcosa – si parla persino di “mediatori delle Nazioni Unite”. Comunque, il governo dello Stato di Puebla ha cambiato improvvisamente la propria decisione, non solo revocando l’espulsione, ma anche promettendo di permettere la costruzione di un tempio evangelico nella cittadina.
Alcuni giorni dopo, la polizia – già presente in forza nel paese – ha aperto un’indaginecontro i cattolici per istigazione alla violenza.
Il Messico ha un grande vantaggio: non suscita emozioni in Italia. E quindi questo episodio ci permette di capire davvero cosa si nasconde dietro tanti episodi nel mondo che i media ci spacciano per “conflitti religiosi”.
Intanto, constatiamo il silenzio dei cristianisti nostrani, che preferiscono far finta che certe cose succedano solo dove ci sono i musulmani: in realtà, gli evangelici parlano di 47 attacchi da parte di cattolici contro di loro in Messico. E non stiamo parlando di piccole violazioni del codice del politicamente corretto, ma di distruzione di case, esproprio di terre e – tipica prassi messicana – l’esclusione dal sistema della distribuzione dell’acqua.
Possiamo immaginare poi la risposta laicista – ecco la prova che la Chiesa intollerante è sempre in agguato… in realtà, il parroco è stato sospeso immediatamente dall’arcivescovo di Puebla, che lo ha costretto anche a dire di non essere stato lui a promuovere la cacciata dei protestanti; e le istituzioni cattoliche sembra che abbiano spinto per permettere agli evangelici di restare.
Per capire cosa è successo davvero, dobbiamo partire dal nome del paese coinvolto: San Rafael Tlanalapan. O dai nomi dei paesi vicini, Santa Rita Tlahuapan, San Martin Texmelucan e Santa Ana Nopalucan.
Tutti nomi costruiti allo stesso modo: combinando il nome di un santo del repertorio cattolico-europeo con una parola in lingua nahua, che descrive qualche aspetto preciso del territorio. Ci troviamo infatti nel pieno altipiano del Messico, sotto i due volcani, Iztaccihuatl e Popocatépetl. Cioè la culla di una civiltà, indipendente da tutte le altre del mondo, le cui radici agricole potrebbero risalire a circa 10.000 anni fa; e che ha conservato la propria struttura di fondo, digerendo e rielaborando in modo del tutto originale una serie di simboli e stimoli esterni. Tra cui, in primo luogo, quelli cattolici.
Una ventina di anni fa, il grande antropologo Guillermo Bonfil Batalla scrisse un’opera, allora eretica, oggi quasi ovvia: México profundo: una civilizacion negada.
Il Messico, scrive Bonfil, ha due livelli – quello superficiale e quello profondo.
In superficie, il Messico è costituito dai suoi portavoce politici, che da cinquecento anni fingono che quello su cui esercitano il potere sia un paese occidentale (lo so, la definizione non è geograficamente molto sensata, ma è quella che si usa in Messico). Secondo le mode, guardano a Madrid, a Roma, a Parigi, a Mosca, a Washington, e inventano un paese immaginario, in cui ogni dichiarazione e ogni legge è una finzione. Tutti muoiono, magari arricchiti, ma delusi da un paese che si rifiuta di adattarsi alle loro fisime.
Il nucleo della resistenza è la comunità indigena: una gran varietà di popoli e di lingue, ma accomunati dal radicale attaccamento a un’agricoltura autosufficiente e diversificata, fondata materialmente su gruppi rigorosamente endogamici e sostanzialmente paritari, in cui molti lavori sono collettivi ed eseguiti gratuitamente a beneficio della comunità. La famiglia si estende anche nel tempo, grazie agli onnipresenti e celebratissimi morti.
Il piano pratico e quello simbolico sono inscindibili: l’unità del gruppo e la sua sopravvivenza sono garantite dalle figure elettive dei capi tradizionali, condannati a rotazione a gestire a proprio spese le feste.
Le feste seguono insieme il calendario agricolo e quello dei santi; e comprendono un gran numero di rituali e un uso smodato di bevande alcoliche, che ha sempre scandalizzato gli osservatori illuminati.
Questa cultura è sopravvissuta alla catastrofe del saccheggio spagnolo, alla conversione religiosa, al saccheggio liberale/positivista dell’Ottocento, alle confuse ingegnerie dei rivoluzionari e dei loro eredi, all’assalto neoliberista del 1994, persino alle migrazioni nelle città, dove si sono spesso ricostruite le stesse comunità.
Molto più difficile è sopravvivere al protestantesimo. Che fu introdotto deliberatamente negli anni Venti dai governanti del Messico, convinti che solo una conversione di massa alla religione dominante degli Stati Uniti avrebbe trasformato i messicani in un popolo di imprenditori occidentali. Un’improbabile convergenza di radicalismo giacobino, interessi industriali del nord del Messico, i fondi dei Rockefeller e missionari statunitensi, questi ultimi spesso molto coraggiosi e in indubbia buona fede, non diversamente dai loro compari salafiti oggi che predicano nel contesto del mondo islamico.
Una polemica superficiale in Messico identifica i protestanti come agenti della CIA; la realtà è molto più complessa, anche perché si tratta di comunità veramente democratiche, che non ricevono ordini dagli Stati Uniti. Nella misura in cui si interessano di politica, gli evangelici hanno idee molto diverse. Persino su Israele, nonostante le immense pressioni filosioniste che provengono dai loro confratelli statunitensi. La storia poi passa anche per loro, e nascono forme sincretistiche assai bizzarre.
Mostrando un’onestà personale spesso notevole, imparando le lingue indigene, i missionari introducono uno stile di vita austero, onesto, laborioso. Non bisogna mai sottovalutare, in Messico, la motivazione autenticamente spirituale, ma gli evangelici sicuramente prosperano individualmente più degli altri.
L’evangelico esce dal mondo locale e familiare, entrando nell’immensa ed efficiente rete mediatico-spettacolare della telepredicazione.
Parlando in modo rigoroso di salvezza e dannazione eterne, gli evangelici riescono facilmente ad avere il sopravvento sulle fumosità del clero postconciliare, di cui denunciano – spesso a ragione – le grettezze e la corruzione.
Nei loro rituali estatici, i pentecostali poi risvegliano echi sciamanici; come fanno anche quando prendono sul serio gli dèi e i santi, trasformandoli però in demoni pericolosi da esorcizzare.
Ma chi diventa protestante deve immediatamente uscire dalla comunità, per due motivi: non può partecipare all’idolatria e non può ubriacarsi.
Visto che il livello pratico e quello simbolico sono inseparabili, questo vuol dire non partecipare ai lavori collettivi, non contribuire i fondi per le feste, non andare ai matrimoni o ai battesimi. Spezzano poi il requisito fondamentale della cultura mesoamericana, che è una democrazia non della maggioranza, ma dell‘unanimità. Tutti, nessuno escluso, deve essere convinto delle decisioni prese.
Dove passa la predicazione evangelica, quindi, si distrugge automaticamente la comunità, anche nelle sue basi materiali. E la comunità applica quindi automaticamente e unanimamente la pena imposta dalla costumbre: il bando. E’ infatti solo sulla mancata unanimità che lo Stato ha potuto imporre il ritorno degli evangelici a Tlanalapan.
Come abbiamo visto parlando della Nigeria, quelli che vengono presentati nei media come conflitti tra opinioni religiose nascondono spesso realtà molto diverse.

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